Intervista a Ramon Mantovani a cura di Antonella Vitelli
La Turchia vive da anni in bilico tra democrazia e fondamentalismo e la situazione in Medio Oriente non agevola certamente la stabilizzazione del quadro politico.
Così la deputata AVS Francesca Ghirra, da Istanbul, dove ha preso parte alla delegazione internazionale organizzata dal Dem Parti per sostenere una soluzione pacifica della questione curda. Nel suo racconto emerge con forza il clima cupo in cui si muovono oggi i difensori della democrazia: città blindate, fumettisti arrestati “per tutelarli” dopo una vignetta ritenuta blasfema, manifestazioni di fondamentalisti islamici contro i diritti LGBTQIA+, mentre in Turchia si restringono gli spazi per la satira e il dissenso.
In questo contesto, scrive Ghirra:
abbiamo consegnato una nuova richiesta al Ministero della Giustizia per poter incontrare Apo nell’isola carcere di Imrali, dove è rinchiuso da ben 26 anni.
Öcalan sta facendo per la pace più di ogni altro attore coinvolto, ha scritto in questi giorni il deputato Marco Grimaldi (AVS), rilanciando l’appello per la sua liberazione in occasione della Giornata di azione mondiale dedicata al leader curdo.
Difatti l’appello di Öcalan del 27 febbraio per il disarmo ha portato a un cessate il fuoco annunciato il 1° marzo dal PKK e alla decisione di proseguire la lotta solo per vie politiche.
Un processo fondamentale verso la democrazia e la pace – scrive Ghirra – a cui siamo tutte e tutti chiamati a partecipare.

A ribadire la centralità della figura di Abdullah Öcalan sono arrivati tanti gesti altamente simbolici, tra questi la cittadinanza onoraria conferita dal Comune di Bologna.
«Un tassello in più contro i fondamentalismi e le oppressioni», ha dichiarato la vicesindaca Emily Clancy, consegnando la targa a Omer Öcalan, nipote del leader curdo. Dalla sua cella sull’isola di Imrali, Öcalan ha elaborato un pensiero politico innovativo: il confederalismo democratico, un progetto di democrazia diretta, ecologista e femminista, che oggi ispira l’esperienza del Rojava e numerosi movimenti nel mondo.
Öcalan rimane una figura centrale anche se reclusa: è ancora considerato il leader spirituale e strategico non solo del PKK, ma anche delle milizie curde che operano in Siria, Iraq e Iran.
Oggi, milioni di persone in tutto il mondo hanno firmato per chiedere la liberazione di Öcalan e di tutti i prigionieri politici in Turchia, affermando che "la sua libertà sarà una pietra miliare per la democratizzazione della Turchia e per la pace in Kurdistan". Öcalan è temuto da Ankara e da altri regimi autoritari perché è il simbolo di una visione radicalmente opposta all’identità unica imposta dai nazionalismi e dai fondamentalismi: una visione multiculturale, femminista e anticapitalista.

Il movimento curdo ha mostrato al mondo la possibilità concreta di un altro modello di società. Dopo aver sconfitto l’ISIS, i curdi hanno costruito nei territori del Rojava un sistema basato sull’autogestione, sulla parità di genere, sulla convivenza tra popoli. Il cuore di questo sistema sono le donne: intellettuali, guerrigliere, madri e amministratrici, che non solo combattono il patriarcato e il fondamentalismo, ma coordinano i villaggi e ispirano le nuove generazioni in tutto il Medio Oriente.
Ma cosa accadde davvero nel 1998, quando Öcalan arrivò in Italia? Perché scelse proprio il nostro Paese per lanciare la sua proposta di pace? Quali forze si mossero per accoglierlo – o per ostacolarlo – e quali responsabilità ebbe la politica italiana? E quale lezione ci offre oggi quella vicenda, alla luce degli sviluppi più recenti?
Lo abbiamo chiesto a Ramon Mantovani, allora deputato e responsabile esteri di Rifondazione Comunista, protagonista diretto di quell’episodio cruciale.
Il mio partito, Rifondazione Comunista, fin dalla sua nascita nel 1991 è sempre stato solidale con la causa kurda. Un anno prima della vicenda di Öcalan in Italia, il PKK mi contattò per chiedermi di sviluppare un’iniziativa parlamentare a sostegno del cessate il fuoco unilaterale e dell’apertura di una trattativa di pace. Il 10 dicembre 1997 la Commissione Esteri della Camera dei Deputati approvò una mia risoluzione, unificata con un’altra presentata da Alleanza Nazionale.
Per la prima volta uno Stato dell’Unione Europea prendeva posizione sulla questione kurda, riconoscendo l’esistenza di un conflitto armato e invitando il governo italiano a favorire una soluzione politica. Dopo l’approvazione, il Ministro degli Interni Giorgio Napolitano dichiarò che il rilascio dello status di rifugiati a cittadini kurdi era conseguenza diretta di quella risoluzione. Qualche tempo dopo, il Presidente Öcalan fece sapere di voler incontrare una delegazione del nostro partito. Nel settembre 1998, insieme a Walter De Cesaris e Alfio Nicotra, lo incontrammo in Siria. Informammo previamente i governi siriano e italiano, ma rendemmo noto solo che l’incontro si era svolto in Medio Oriente.
L’incontro ci confermò che la nostra relazione con il movimento kurdo poteva andare oltre la solidarietà politica. Scoprimmo un terreno comune: critica alla globalizzazione capitalistica, impegno per la pace e per i diritti delle minoranze. Rilevammo anche un punto cruciale: l’ingresso della Turchia nell’UE, senza una soluzione al conflitto kurdo, avrebbe aggravato la natura tecnocratica dell’Unione.
Öcalan decise di venire in Italia perché considerava il nostro Parlamento il più avanzato sulla questione kurda e voleva lanciare un appello per il negoziato in un Paese dell’UE, della NATO e con il Vaticano. Ci adoperammo per facilitare il suo arrivo e la richiesta di asilo politico.
Alla fine, lo incontrai a Mosca in un'area presidiata da agenti russi. Gli spiegai che in Italia sarebbe stato arrestato ma portato in ospedale per motivi di salute e che, come da prassi, un magistrato lo avrebbe probabilmente rimesso in libertà. Lo invitai a valutare anche altre alternative, poiché l’Italia, per la sua subordinazione agli USA, avrebbe potuto subire pressioni. Lui rispose che era determinato a venire, convinto che il messaggio di pace dovesse partire proprio dall’Italia. Disse anche di non temere un’estradizione in Germania, che infatti non fu mai richiesta. Prendemmo il primo volo per Roma. Io gli consigliai di passare dalla frontiera diplomatica con la segretaria e il traduttore per chiedere asilo, mentre io e gli altri saremmo passati da un’altra corsia per mantenere riservato il nostro coinvolgimento.
Tutto andò come previsto. Öcalan fu arrestato, portato in ospedale e assistito dagli avvocati Giuliano Pisapia e Luigi Saraceni. Qualche giorno dopo un magistrato lo mise in libertà. I kurdi in Italia, con l’aiuto dei servizi, affittarono una villetta nella periferia di Roma, dove Öcalan visse fino alla sua partenza, protetto da un imponente schieramento di sicurezza.

Quali furono le sue prime impressioni personali, umane e politiche, quando incontrò Öcalan per la prima volta?
L'impressione fu certamente di parlare con un leader mediorientale, ma molto diverso dagli altri da noi conosciuti. Conosceva molto bene sia la storia sia il pensiero politico di Antonio Gramsci e quindi conosceva bene la natura del comunismo italiano e delle nostre profonde differenze con le esperienze del “socialismo reale”. Dimostrò grande curiosità sulle nostre posizioni rispetto alla globalizzazione capitalistica e sui differenti nostri impegni in diversi processi di pace nel mondo (Colombia, Sahara Occidentale, Messico per fare solo tre esempi) e del nostro incessante impegno contro le diverse guerre in corso o in preparazione, come quella della NATO contro la Serbia per il Kossovo o quella contro l’IRAQ.
In particolare fu molto colpito dal nostro racconto dei nostri rapporti con l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale e dei nostri colloqui con il famoso Subcomandante Marcos.
In seguito, proprio per questo ci adoperammo affinché il PKK e l’EZLN stabilissero qualche tipo di rapporto fra loro. Ma la persona di Ocalan emanava anche una grande simpatia. Trovammo il tempo, nel viaggio fra Mosca e Roma per parlare di cose amene. Per esempio di calcio, e lui non esitò a dire di avere una vaga simpatia per la squadra italiana della Roma giacchè, pur essendo kurdo, era tifoso del Galatasaray di Istanbul che ha gli stessi colori della Roma. Insomma. Oltre ad essere politicamente molto importante ed evidentemente molto colto ed intelligente era umanamente modesto, simpatico e curioso.
Ci sono state a suo avviso nella vicenda influenze che hanno condizionato le scelte del governo dell’epoca?
A partire dalla presenza di Ocalan in Italia nonostante sia Ocalan sia il PKK avessero proclamato un cessate il fuoco unilaterale, chiesto l’apertura di un negoziato e dichiarato di rinunciare alla prospettiva dell’indipendenza del Kurdistan, il governo di Ecevit del Partito della Sinistra Democratica (membro dell’Internazionale Socialista) provocò una grave crisi nei rapporti tra Italia e Turchia, cancellò commesse militari per centinaia di milioni di dollari e rifiutò qualsiasi trattativa dichiarando che in Turchia non esisteva nessuna minoranza nazionale kurda.
I kurdi in Turchia sono tra i 15 e i 20 milioni ed altrettanti ce ne sono divisi in Iran, Iraq e Siria. Il governo italiano, che in ottemperanza della risoluzione parlamentare più sopra citata avrebbe dovuto provvedere a concedere l’asilo politico ad Ocalan non solo non lo fece ma si prodigò per “convincere” Ocalan a lasciare il nostro paese.
Inoltre dopo che un giornale greco pubblicò la notizia che sull’aereo con Ocalan c’erano due deputati italiani e due deputati greci (notizia falsa perché c’era solo il sottoscritto) la stampa italiana “ricordò” improvvisamente che Liberazione aveva pubblicato un resoconto con tanto di fotografie del nostro incontro con Ocalan di tre o quattro mesi prima e cominciò la caccia al “colpevole” di aver “portato” Ocalan in Italia. Seppi da un deputato della destra italiana, amico della causa kurda, che Berlusconi si apprestava a “rivelare” la mia presenza sull’aereo con Ocalan. Dovetti precederlo per spiegare che avevo semplicemente aiutato Ocalan a venire in Italia su sua richiesta e che l’Italia aveva il dovere ed anche l’opportunità di farsi promotrice di un processo di pace che chiudesse una guerra civile allora più che ventennale. Naturalmente, come purtroppo avevamo previsto, la questione kurda passò in secondo piano e fiorirono mille polemiche di politica interna e il nostro aiuto ad Ocalan venne descritto perfino come una manovra politica di Rifondazione per dare fastidio al neonato governo D’Alema.
Recentemente D’Alema sul Manifesto ha raccontato di enormi pressioni degli USA sul suo governo affinché non concedesse l’asilo e non ospitasse Ocalan in Italia. D’Alema dice oggi che fu quasi eroica la sua resistenza a quelle pressioni, che alla fine il governo non concesse l’asilo perché la apposita commissione aveva dato parere negativo e che aiutò Ocalan a lasciare l’Italia. Su queste posizioni di D’Alema, che tentano di cancellare le proprie responsabilità, per apparire perfino “amico” del popolo kurdo, è necessario che io faccia delle precisazioni.
Il governo doveva, e sottolineo doveva, concedere l’asilo. Ciò è tanto vero che due o tre mesi dopo che Ocalan era stato indotto a lasciare l’Italia un tribunale della Repubblica Italiana gli concesse l’asilo politico, contro il parere dell’Avvocatura di Stato istruita dal governo ad opporsi alla concessione dell’asilo, che per questo venne anche condannata a pagare le spese processuali.
Il governo, o funzionari dello stato traditori della Repubblica, redassero una relazione sull’arrivo di Ocalan all’aeroporto di Fiumicino completamente falsa. La relazione di polizia raccontava che Ocalan aveva tentato di passare la frontiera clandestinamente presentando un passaporto falso e che, riconosciuto, era stato tratto in arresto. Io lo venni a sapere perché la magistratura, conseguentemente, mi indagò ed interrogò per il reato di favoreggiamento di ingresso clandestino. Durante l’interrogatorio spiegai al magistrato che mi interrogava che Ocalan su mio consiglio si era recato all’ingresso dei passaporti diplomatici con la segretaria ed un interprete e al nugolo di poliziotti in divisa e in borghese, che evidentemente lo aspettavano, aveva si consegnato un passaporto falso dichiarando però la sua identità e chiedendo asilo. Aggiunsi, sempre rispondendo alle domande del magistrato, che non era plausibile che chi volesse introdursi clandestinamente nel paese scegliesse il varco dei diplomatici alla frontiera e che la magistratura poteva verificare tutto semplicemente visionando i filmati delle diverse telecamere presenti in quello spazio dell’aeroporto. Il magistrato concluse l’interrogatorio dicendo di credermi sulla base del fatto che tutti i filmati delle diverse telecamere di quella sera erano “misteriosamente” scomparsi. C’è da chiedersi quale delle seguenti due cose che mi appresto a dire sia la più grave. O il governo diede ordine di scrivere una relazione falsa o qualche dirigente della Polizia di Stato l’aveva fatto su indicazione di un servizio di un altro stato. Si tratta di un fatto di inaudita gravità. Ho più volte denunciato e rivolto domande pubbliche su questo fatto ma non ho mai avuto nessuna risposta.
L’Italia per legge non può estradare nessuno verso un paese dove è imputato di reati che prevedono la possibilità che sia condannato a morte. E’ successo diverse volte anche per cittadini degli USA che l’Italia si è rifiutata di estradare. La signora Madeleine Albright, allora ministra degli esteri USA, arrivò a dire pubblicamente che l’Italia “doveva” estradare Ocalan in Turchia e il governo italiano fece finta di non aver sentito. Come se gli USA avessero il potere di intromettersi nelle relazioni fra due stati sovrani addirittura ordinando al governo di violare le stesse leggi della Repubblica. 4) Ovviamente vi furono gravissime pressioni da parte di imprese pubbliche e private che esportavano ed esportano allegramente armi alla Turchia e non mancarono pressioni che riguardavano anche la dialettica interna al governo italiano. Successe infatti che ad un certo punto D’Alema e Diliberto, mentendo, dissero che il governo non era competente per la concessione dell’asilo e lo stesso giorno due ore dopo tre ministri (Scognamilio, Difesa; Dini, Esteri, e Fassino, Commercio con l’estero) dissero che il governo NON doveva concedere l’asilo. Chiunque lo può verificare negli archivi delle agenzie di stampa. Stranamente nessun giornalista di solito dedito ad amplificare qualsiasi piccolo screzio dentro il governo, se ne accorse.
Dopo le pressioni che ricevette il governo italiano gli uomini che mantenevano relazioni con Ocalan per conto del governo D’Alema esercitarono numerose pressioni direttamente su Ocalan per fargli lasciare il paese. Lo fecero dicendo una cosa vera. E cioè che un minuto dopo che l’Italia avesse risposto negativamente alla richiesta di estradizione in Turchia, in forza di un trattato di collaborazione contro il terrorismo fra Italia e Turchia stipulato negli anni 70 e mai revocato dopo il colpo di stato in Turchia degli anni 80, un qualsiasi giudice italiano avrebbe potuto arrestare Ocalan e sottoporlo a processo con le accuse che gli rivolgeva la magistratura turca. E lo fecero perfino minacciando di togliergli la protezione che era stata organizzata dai corpi speciali delle forze di polizia italiane.
Per quanto riguarda l’arresto e l’eventuale processo gli avvocati sostennero che con le accuse generiche e senza l’addebito di nessun fatto di sangue specifico e personale, la libertà provvisoria e l’assoluzione nel processo sarebbero stati cosa certa. Per quanto riguarda le minacce di ritiro della protezione io spiegai che si trattava di un bluff perché se l’avessero fatto lo avremmo denunciato pubblicamente e qualsiasi cosa fosse successa ad Ocalan avrebbe portato in tribunale e poi in prigione i responsabili.
Io parlai a lungo con il Presidente spiegandogli, come gli avvocati, che l’arresto sarebbe stato breve e che il processo sarebbe stato favorevole all’assoluzione. Non mi permisi di dare consigli sia perché era decisione che spettava unicamente ad Ocalan e al PKK. Ma anche se mi fosse stata chiesta una opinione diretta non avrei potuto darla non conoscendo le eventuali alternative alle quali il PKK aveva sicuramente lavorato. Ma comunque fu una lunga discussione nel corso della quale Ocalan insistette su una cosa che gli fa molto onore. Prima della sua sicurezza e salvezza personale egli metteva in rilievo il fatto che un eventuale suo arresto, e quindi insuccesso della proposta di negoziato, sarebbe stato interpretato dal popolo kurdo come una sconfitta definitiva e avrebbe alimentato certamente tendenze e azioni disperate. Per questo era orientato a lasciare l’Italia e a cercare una alternativa. Dopo il mio colloquio con il Presidente esponenti di primo piano del PKK, mi chiesero un incontro nel quale mi dissero che, dati i nostri rapporti fraterni, mi facevano sapere che il PKK propendeva per far restare il Presidente in Italia, fermo restando che l’ultima parola sarebbe stata la sua. A quel punto dissi loro che se lo ritenevano utile potevano dire al Presidente che anche il mio partito pensava come il PKK che la cosa migliore era la sua permanenza in Italia.
Alla fine come è noto Ocalan decise di partire. Io non so direttamente niente delle tappe del suo viaggio e dei contatti che il PKK aveva attivato. Seppi, però, dagli avvocati che il governo greco aveva preso l’impegno di tutelare Ocalan ospitandolo in una propria legazione diplomatica presso un terzo paese in attesa di procedere alla concessione dell’asilo o meno. Seppi con certezza dall’avvocato Pisapia (che allora era anche responsabile giustizia di Rifondazione) che Ocalan si trovava nell’ambasciata greca di Nairobi, in Kenia, e che Pisapia si era recato di persona a Nairobi per parlare con il suo assistito.
Ma una sera, improvvisamente l’ambasciatore greco ricevette l’ordine dal proprio governo di espellere Ocalan dell’ambasciata. Ad aspettarlo c’era un commando che lo sequestrò e lo condusse in Turchia. Ovviamente il sequestro fu fatto in violazione del diritto internazionale, senza alcuna decisione di nessuna autorità del Kenia, ed era composto sicuramente anche da agenti del Mossad. Perfino D’Alema dice di averlo saputo da fonti credibili.
Va detto, anche se in Italia la notizia non ebbe nessuna rilevanza, che ben tre ministri greci, a cominciare dal ministro degli esteri, dovettero dimettersi per l’espulsione di Ocalan dalla ambasciata greca.

Lei ha definito Abdullah Öcalan “il Nelson Mandela del popolo kurdo”. Cosa rende, a suo avviso, la sua figura così rilevante anche oggi?
La popolarità di Ocalan non solo è rimasta intatta presso i kurdi dovunque vivano, ma è aumentata sia in Turchia, in Siria, in Iran, in Iraq ed anche presso centinaia di migliaia emigrati in Europa, soprattutto in Germania. Qualsiasi giornalista serio lo può testimoniare. Come Nelson Mandela (che fu capo militare dell’African National Congress oltre che iscritto al Partito Comunista Sudafricano) ha cercato per gran parte della sua vita di aprire un varco per una soluzione politica e negoziata del rispetto dei diritti del popolo kurdo.
Durante la sua carcerazione, come Gramsci, ha a lungo riflettuto sulla storia della Mesopotamia, del Medio Oriente, ed ha scritto numerosi libri ed elaborato una proposta originale per la soluzione del problema kurdo e per la convivenza, senza mettere in discussione le frontiere degli stati, di popoli diversi con il “confederalismo democratico”. Ha affermato, unico leader ed unico partito nel Medio Oriente che nessun cambiamento sociale e politico democratico è possibile senza una rivoluzione delle donne ed una uguaglianza totale ed a tutti i livelli.
Le sue elaborazione teoriche hanno trovato applicazione nella regione del Rojava in Siria dove i Kurdi che l’hanno sempre abitata storicamente hanno ospitato moltissimi profughi in fuga dalla guerra, hanno organizzato una resistenza vittoriosa contro l’ISIS, nonostante i continui ed incessanti attacchi provenienti dalla Turchia, ed hanno creato istituzioni di autogoverno democratiche fondate sulla parità fra uomini e donne, sulla convivenza e sul rispetto totale di tutte le culture e religioni. Nel corso di 26 anni di detenzione di Ocalan sono stati fatto almeno 4 o 5 tentativi di trattativa di pace, sempre boicottati dei militari che hanno poteri superiori a quelli del parlamento turco. Recentissimamente il Presidente del PKK Ocalan ha proposto la fine per sempre del conflitto armato considerando raggiunto l’obiettivo di preservare il popolo kurdo da un genicidio culturale. Diverse autorità parlamentari turche anche storicamente nemiche del PKK hanno affermato che è giunto il momento di negoziare e di risolvere pacificamente il conflitto. Perfino Erdogan prima di partire per il vertice della NATO tenutosi pochi giorni fa a l’AIA ha dichiarato commentando la proposta di Ocalan fatta pochi mesi fa: “Siamo determinati a portare questo processo, che stiamo portando avanti come una politica di stato, a una conclusione positiva.
In attesa che cominci finalmente e per davvero un negoziato politico continuerà la mobilitazione di tutti i democratici del mondo per la liberazione di Abdullah Ocalan. Nel corso degli anni sono stati creati comitati nazionali ed internazionali composti da parlamentari, personalità del mondo accademico, artistico, sociale e politico che chiedono con forza la liberazione di Ocalan. Solo in Italia decine di comuni hanno concesso la cittadinanza onoraria ad Ocalan. In testa Palermo e Napoli e recentissimamente anche Bologna, nonostante il PKK ed Ocalan figurino, vergognosamente, nella lista delle organizzazioni terroristiche della Unione Europea. Anche Nelson Mandela era per il Sudafrica e per i suoi due alleati, USA e Israele, un terrorista.
Basta leggere gli scritti di Ocalan per rendersi conto di quanto sia assurda questa accusa e di quanto siano invece terroristi quelli che l’hanno formulata.