Acqua: La risorsa che definisce il nostro futuro

Acqua: La risorsa che definisce il nostro futuro

Intervista a Cristina Cotorobai di Antonella Vitelli

Accanto all'aria, l'acqua rappresenta probabilmente la risorsa naturale più importante del pianeta. I disastri climatici sempre più frequenti di questi anni stanno mostrando come questo elemento sia la chiave per affrontare ogni crisi connessa all’ambiente in cui viviamo. Nonostante ciò, l'acqua è spesso trascurata nelle discussioni globali. Tuttavia, il Global Risks Report 2023 del World Economic Forum indica che nove dei dieci principali rischi per il prossimo decennio sono correlati all'acqua. Secondo le Nazioni Unite, circa il 40% della popolazione mondiale affronta una grave scarsità d'acqua, e questa percentuale potrebbe aumentare a causa dei cambiamenti climatici, dell'aumento demografico e dell'uso insostenibile delle risorse idriche e per quanto riguarda l’accesso all’acqua potabile i dati non sono più confortanti. Attualmente, circa 2,2 miliardi di persone nel mondo non hanno accesso a servizi di acqua potabile sicuri. Le problematiche connesse all'acqua, sia che si tratti di eccesso o di carenza, nonché della sua contaminazione e mancanza di sicurezza, stanno già contribuendo all'insicurezza alimentare e sanitaria prolungata in vaste regioni. Da qui è facile capire come con “acqua” si vanno ad indicare tante cose, inclusa la possibilità di una vita nonché di una banale prosperità economica. Un rapporto del Who ci dice che ogni 80 secondi un bambino sotto i cinque anni muore per una malattia causata dall'acqua inquinata, ma questa è solo la punta dell’iceberg visto che le cose sono peggiorate da perdita di biodiversità e riscaldamento globale. Sembra che la nuova realtà nella quale viviamo sia inadeguata rispetto alle misure che ci siamo dati fino a qui. Siccità e alluvioni, scarsità ed eccesso e se c’è una risorsa che pare racchiudere meglio di qualunque altra questi opposti è ancora una volta l'acqua.

E di acqua parliamo con Cristina Cotorobai, nota su instagram come @cotoncri. Cristina, una volta modella e ora divulgatrice della sostenibilità racconta con una "incostanza" spontanea, ironica, fluida e credibile, non da guru dell’engagement, l'impatto delle nostre azioni sul pianeta. 

Cristina in un altro mondo possibile, quello che ti piacerebbe immaginare in questa intervista  come sarebbe affrontata la questione dell’acqua? Quattro aggettivi.

Efficiente. Rapido. Sistemico. Sostenibile. 

Quali sono le criticità che noti rispetto al modo in cui viene affrontata la crisi idrica? 

Sicuramente una criticità che ancora persiste è lo spreco idrico per usi civili e soprattutto per usi agricoli. Necessitiamo di politiche di adattamento che tengano conto dei periodi siccitosi sempre più frequenti e duraturi, e dello spreco lungo la rete di approvvigionamento.

Lo spreco idrico rappresenta una seria problematica sia per usi civili che agricoli. Nella sfera domestica, abitudini di consumo e impianti inefficienti sono responsabili dello spreco. Tuttavia, il settore agricolo è il principale sprecone, con pratiche di irrigazione inefficienti e uso eccessivo di acqua. Questo spreco ha conseguenze negative sulle riserve idriche, la desertificazione e gli ecosistemi. Per affrontare il problema, occorre educare sulla conservazione dell'acqua, adottare tecnologie efficienti e promuovere pratiche agricole sostenibili. La regolamentazione e l'innovazione sono fondamentali per un uso responsabile delle risorse idriche.

Secondo te quali sono le possibili soluzioni o strategie che possono essere adottate a livello globale per affrontare la crisi idrica e garantire un uso sostenibile delle risorse idriche?

Ci sono soluzioni alquanto semplici da attuare in grado di ridurre la nostra richiesta idrica. Come utilizzare l'acqua piovana accumulata o acque grigie depurate per il risciacquo dei WC, lavatrice, lavaggi esterni. Eppure la nostra classe politica non ha ancora preso posizione su questo in modo concreto. 

I casi nel mondo

Ci sono diversi paesi che hanno adottato o stanno adottando diverse soluzioni e strategie per affrontare la crisi idrica e garantire un uso sostenibile delle risorse idriche. Ecco alcuni esempi:

In Australia a causa delle persistenti siccità e della scarsità idrica, l'Australia ha implementato un'ampia gamma di misure per affrontare la crisi idrica. Queste includono programmi di riutilizzo delle acque reflue per scopi non potabili, l'adozione di tecniche di irrigazione efficienti nell'agricoltura, la promozione dell'efficienza idrica attraverso l'uso di dispositivi a basso consumo idrico e la gestione integrata delle risorse idriche a livello di bacino idrografico.

Israele: Essendo una regione caratterizzata da una grave scarsità di acqua, Israele ha adottato diverse soluzioni innovative per l'uso sostenibile delle risorse idriche. Queste includono il riciclaggio delle acque reflue per l'irrigazione agricola, l'uso di tecnologie avanzate per il monitoraggio e la gestione delle risorse idriche, l'implementazione di sistemi di irrigazione a goccia e la promozione di pratiche agricole efficienti dal punto di vista idrico.

Singapore: Come una delle nazioni più dense al mondo con risorse idriche limitate, Singapore ha sviluppato un sistema integrato per la gestione delle risorse idriche. Questo include il riciclaggio delle acque reflue attraverso il processo di NEWater, che produce acqua potabile ad alta qualità, l'uso di tecniche di desalinizzazione per aumentare l'approvvigionamento idrico e la promozione dell'efficienza idrica attraverso l'educazione e l'adozione di tecnologie avanzate.

Paesi Bassi: Noti per le loro soluzioni innovative per la gestione delle risorse idriche, i Paesi Bassi hanno adottato approcci come l'agricoltura idroponica e l'agricoltura a goccia per ridurre la dipendenza dall'acqua e ottimizzare l'uso delle risorse. Inoltre, il paese ha implementato sistemi di gestione delle acque di alta precisione e ha sviluppato infrastrutture come dighe e argini per proteggere le terre e mitigare il rischio di inondazioni.

Giordania: Con una grave scarsità idrica e una crescente popolazione, la Giordania ha adottato diverse misure per affrontare la crisi idrica. Ciò include l'uso di tecnologie di desalinizzazione per aumentare l'approvvigionamento idrico, il riciclaggio delle acque reflue per scopi agricoli e industriali, la promozione dell'efficienza idrica attraverso l'adozione di pratiche e tecnologie sostenibili e la gestione condivisa delle risorse idriche con i paesi confinanti.

Come possono le politiche pubbliche e i governi contribuire a mitigare la crisi idrica e promuovere una gestione sostenibile delle risorse idriche?

Ricollegandomi alla risposta precedente, bisogna pensare in modo sistemico. Andare all'origine. Il problema della crisi idrica, siccità e l'attuale necessità di gestire sostenibilmente le risorse del pianeta a nostra disposizione derivano da una scarsità e riduzione che sta caratterizzando il nostro tempo. Tutto ciò è ricollegabile ad una causa principale: il riscaldamento globale. L'aumento della temperatura del pianeta è collegamento conseguentemente alle nostre emissioni, derivanti da una eccessiva produzione e consumo di risorse. Per sconfiggere la siccità sono necessarie soluzioni sistemiche e non emergenziali, che affrontino le cause dei cambiamenti climatici e i nostri consumi idrici. Soprattutto tenendo conto che l'acqua dolce che utilizziamo previene da fiumi e laghi e che ad oggi, il 52% dei laghi del pianeta ha registrato una riduzione della propria superficie.  Troppo spesso dimentichiamo che l'acqua è una risorsa finita e insostituibile, fondamentale per il benessere umano.  È una risorsa rinnovabile solo se ben gestita e la sostenibilità dell’uso dell’acqua richiede un equilibrio tra domanda e disponibilità.

La domanda può essere gestita (ridotta) dai fornitori e dai responsabili delle regolamentazioni, usando misure quali la fatturazione, la misurazione del consumo, nonché l’educazione e la sensibilizzazione degli utenti in materia di conservazione dell’acqua.

Il caso delle Fragole della Doñana

La coltivazione delle fragole è un'attività di rilievo nel Doñana, con una superficie agricola di quasi 6.000 ettari. Questa regione produce la maggior parte delle fragole di Huelva e circa il 60% di quelle in Spagna. Tuttavia, questa produzione ha un grave impatto sulla qualità e sulla quantità di acqua disponibile per le zone umide del parco nazionale, nonché su altre aree di valore all'interno del Doñana.

L'utilizzo illegale dell'acqua per la coltivazione delle fragole è diffuso, con circa il 50% dei campi che utilizzano pozzi non autorizzati per estrarre acqua senza le necessarie autorizzazioni e licenze. Inoltre, una parte delle piantagioni di fragole è stata realizzata nelle aree forestali, comportando la rimozione illegale di alberi di pino senza i permessi adeguati.

Negli ultimi 30 anni, i contributi della falda acquifera al Rocina Creek, uno dei principali affluenti del parco nazionale, sono diminuiti del 50%. Questo fenomeno è aggravato dalla distribuzione spaziale delle fragole e dalle infrastrutture ad esse associate, che hanno frammentato gli habitat circostanti le aree protette e ostacolato i corridoi naturali per la fauna selvatica. L'uso illegale dell'acqua e gli impatti ambientali che ne derivano minacciano la biodiversità e la conservazione a lungo termine delle specie più sensibili del Doñana. Questa problematica del "furto d'acqua" è ben nota da decenni e documentata in vari rapporti e documenti fin dagli anni '80. È noto che questo fenomeno provoca una riduzione dei livelli di acqua disponibile per il Parco Nazionale di Doñana, i laghi, i fiumi e gli utenti legittimi, compromettendo la gestione corretta delle risorse idriche.

Ma soprattutto cosa dovremmo fare concretamente noi cittadini, ogni giorno? 

In quanto cittadini e consumatori tutti noi abbiamo un ruolo e modo di ridurre lo spreco idrico. Partiamo col ridurre o, meglio ancora, eliminare le proteine animali: hanno l’impronta idrica tra le più alte di tutti gli alimenti.

Acquistiamo meno vestiti, possibilmente di seconda mano: un semplice paio di jeans consuma fino da 7 a 10 mila litri d’acqua. Controlliamo e ripariamo le perdite di water e rubinetti, installiamo i riduttori di flusso per risparmiare fino al 30% d’acqua potabile. Cito anche il famoso e spero ormai assodato consiglio di fare docce brevi dato che una tipica doccia utilizza da cinque a dieci litri d'acqua al minuto. Ma in quanto singoli individui, e rischierò di ripetermi, ridurre il consumo di carne e derivati è la più grande arma che abbiamo per abbattere la propria impronta idrica (e non solo)!

Crisi idrica e moda

Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, l'industria della moda contribuisce all'8-10% delle emissioni globali di CO2, pari a 4-5 miliardi di tonnellate di anidride carbonica rilasciate ogni anno. Inoltre, il consumo di acqua è un problema significativo, con l'ONU che stima che il settore sia responsabile del 20% dello spreco idrico globale, classificandosi come la seconda causa principale dopo l'agricoltura. Una persona impiega circa 10 anni a bere 10.000 litri d'acqua, una quantità quasi uguale a quella necessaria per produrre un chilo di cotone per un paio di jeans. Si stima che l'industria della moda consumi complessivamente circa 79.000 miliardi di litri d'acqua all'anno, anche se le stime variano dai 20.000 ai 200.000 miliardi di litri d'acqua consumati annualmente. Inoltre, secondo un rapporto del National Institute of Standards and Technology (NIST) del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti, l'utilizzo di prodotti chimici, inclusi i PFAS, nella filiera della moda rappresenta la seconda causa globale di inquinamento delle acque, subito dopo l'agricoltura.

Un altro grande problema è rappresentato dal fatto che l'industria della moda è responsabile del 35% delle microplastiche che finiscono negli oceani, corrispondenti a circa 190.000 tonnellate di microplastiche all'anno, principalmente provenienti dal poliestere utilizzato nella fast fashion. La moda veloce rappresenta sicuramente il punto debole, dal punto di vista ambientale, di tutto il settore della moda.

Una recente revisione sistematica evidenzia gli impatti che l'industria del fast fashion ha ambientali negativi legati al consumo di acqua, alle emissioni di carbonio e all'impronta energetica, specialmente nella fase di utilizzo dei capi d'abbigliamento. Si verifica anche una saturazione dei mercati internazionali dell'abbigliamento e un aumento dei rifiuti tessili a fine vita. La ricerca su questo argomento è in aumento, ma ancora limitata rispetto ad altri fattori di degrado della qualità dell'acqua nel mondo. L'industria della moda, in particolare il fast fashion, esaurisce anche altre risorse come l'energia e il suolo. Le principali aziende del fast fashion, come H&M e GAP, hanno un ruolo significativo nell'aumentare l'impronta ambientale attraverso cicli di moda più brevi. L'industria tessile produce una vasta gamma di sostanze chimiche e generi acque reflue contenenti elevate concentrazioni di sostanze inquinanti. L'impronta idrica è una misura del consumo e dell'inquinamento idrico sia da parte dei consumatori che dei produttori. Sono emerse relazioni importanti tra gli interessi di ricerca nel campo e le affiliazioni regionali, con una rilevanza particolare della Cina, che è un attore chiave nell'industria della moda veloce e affronta seri problemi di inquinamento idrico. L'Europa è la regione più attiva nella ricerca e implementa programmi per mitigare gli effetti dannosi del fast fashion, concentrandosi sul riciclo dei rifiuti tessili. Esiste un'opportunità per approfondire gli studi sull'impronta idrica, sul riciclaggio e su metodologie che favoriscono un'industria della moda più sostenibile e un'economia circolare. I cambiamenti nel comportamento dei consumatori possono influenzare il mercato del fast fashion. Questa industria utilizza una quantità considerevole di risorse naturali e genera emissioni di gas serra che contribuiscono al cambiamento climatico. Secondo le Nazioni Unite, l'industria della moda è responsabile dell'8-10% delle emissioni globali, superando l'aviazione e il trasporto marittimo combinato. Si prevede che le vendite globali di vestiti possano aumentare fino al 65% entro il 2030. Gran parte dell'impatto ambientale della moda è dovuto all'utilizzo di materie prime. Ad esempio, la produzione di cotone per l'industria della moda richiede circa il 2,5% delle terre agricole mondiali. I materiali sintetici come il poliestere richiedono circa 342 milioni di barili di petrolio ogni anno. Inoltre, i processi di produzione dei vestiti, come la tintura, utilizzano circa 43 milioni di tonnellate di sostanze chimiche all'anno. L'industria della moda è anche un grande consumatore di acqua.

In sintesi, il fast fashion ha un impatto significativo sull'ambiente a causa del suo utilizzo intensivo di risorse naturali, delle emissioni di gas serra e dell'alto consumo di acqua. È importante adottare misure per ridurre l'impatto ambientale dell'industria della moda, come la promozione di pratiche sostenibili di produzione e consumo.

 

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