Intervista a Luca Pantaleone | Antonella Vitelli
Scontri tra addetti ai lavori, dichiarazioni apparentemente confuse, prassi in continua revisione e decisioni nazionali e sovranazionali spesso in contraddizione con gli assiomi di partenza. In due parole: il Caso Astrazeneca, il vaccino più travagliato di questa pandemia da Covid-19. Prima consigliato alla popolazione giovane, poi considerato a bassa criticità per le persone sopra i 60 anni. Comunicare la scienza non appare compito facile soprattutto se la base sulla quale si muove questa comunicazione è provvisoria perché provvisori sono i dati. Di certo c'è poco di stabile nel mondo dei non dogmi e del "vale fino a prova contraria". Ma realmente cosa sta accadendo? A che punto è la notte? Come sintetizziamo la necessità di rassicurare con quella di informare nella più totale veriticità e trasparenza? Ne abbiamo parlato con Luca Pantaleone, Vicepresidente ed esperto in filosofia del Comitato di Bioetica della Usl Toscana Sud-Est e membro dell'Istituto Italiano di Bioetica.
Cosa sta succedendo con il vaccino Astrazeneca?
Diciamo che durante la pandemia abbiamo assistito alla generale presa di consapevolezza, del tutto nuova per parte dell’opinione pubblica ma ben radicata nei filosofi, che il metodo scientifico non è in grado di asserire verità, ma procede per tentativi, conferme e - soprattutto - fallimenti.
Popper nella Logica della scoperta scientifica afferma che le regole metodologiche tipiche del fare scientifico non sono altro che convenzioni, e che “dalla metodologia non ci si devono aspettare verità profonde” (K. Popper, Logica della scoperta scientifica, Einaudi, Torino, 2010, p. 39). L’asserzione base della scienza quindi non va considerata come verità inconfutabile, bensì come elemento sempre falsificabile. Anzi c’è di più, sempre secondo Popper è proprio il fatto che sia possibile confutare gli asserti scientifici che ci consente di distinguere (ovvero, come dice lui, demarcare) l’ambito della scienza da quello delle pseudoscienze o della magia.
La falsificabilità degli asserti scientifici dunque è una cosa positiva, che deve avvalorare il metodo scientifico rispetto a quello non scientifico, e non denigrarlo.
Tornando ad Astrazeneca, molti si sono stupiti del fatto che EMA abbia prima indicato l’utilizzo del vaccino al di sotto dei 55 anni, per poi, alla luce delle segnalazioni spontanee di trombosi cerebrali e spleniche che hanno portato alla raccomandazione del PRAC dell’altro giorno, promuoverne l’uso sicuro al di sopra dei 65 anni, evidenziando invece un rischio maggiore di trombosi rispetto alla media statistica dei non vaccinati al di sotto dei 55 anni.
È avvenuto esattamente ciò che diceva Popper. L’asserto iniziale è stato falsificato alla luce di nuove osservazioni (le segnalazioni spontanee di cui parlavamo), che hanno portato alla rivalutazione del rischio da parte della Pharmacovigilance Risk Assessment Committee (PRAC) per pazienti sotto i 55 anni, ribadendo comunque, in virtù dell’esiguo numero di eventi trombotici rispetto alla popolazione vaccinata (un’ottantina circa su 25 milioni di vaccinati, dati raccolti prevalentemente in Regno Unito) un rapporto rischio/beneficio favorevole per il prodotto in questione. Ovvero, è più probabile incorrere in morte da non vaccinati (a causa del coronavirus) che da vaccinati (a causa di trombosi).
In un tuo video hai parlato di una maggiore consapevolezza all’estero rispetto al nostro paese sul percorso del metodo scientifico. Abbiamo visto però uno stop importante sotto i 60 in paesi come Francia e Germania. Quali sono secondo te gli errori dell’Ema e delle agenzie del farmaco dei singoli paesi in questa fase delicata?
A livello scientifico non c’è nessun errore. Come dicevamo, è assolutamente normale che la scienza rigetti i propri asserti sulla base di nuove osservazioni.
Lo stop di paesi come Francia e Germania poi mi sembra normale. Se, come abbiamo detto, l’insorgenza di eventi trombotici nei vaccinati con Astrazeneca è superiore alla media statistica per la fascia di età al di sotto dei 55 anni, rimanendo nella media invece dai 55 anni in su, le autorità sanitarie hanno pensato bene di tutelare la popolazione sotto i 55 anni, optando per questi pazienti per l’utilizzo di altri vaccini.
Restringere l’indicazione è uno dei modi per migliorare ancora il rapporto rischio beneficio di cui parlavamo prima.
Io nel mio video dell’8 Aprile, come sottolineavi, ho parlato di più consapevolezza di come funzioni il metodo scientifico all’estero rispetto all’Italia. Il motivo è che qui da noi, anziché applicare la ragione critica a fatti e avvenimenti che ci riguardano, optiamo invece per un esercizio di fiducia, o di fede, verso l’istituzione o l’autorità. Alle prime avvisaglie di possibili effetti indesiderati del vaccino Astrazeneca non elencati nel foglietto illustrativo (e quindi non osservati durante le fasi di sperimentazione pre-registrative) si è preferito non prendere sul serio tali sintomi ed optare invece per l’ostentazione di una presunta fede nella scienza, termine che - per quanto abbiamo detto sopra a proposito dell’impossibilità della scienza di asserire verità - mal si concilia con il suo metodo.
Qual è la valenza del Prac e cosa dice nel caso di Astrazeneca? Una persona di 35 anni si starà chiedendo: mi conviene più vaccinarmi con tutti i rischi annessi o prendermi il Covid?
Il PRAC è un importante organismo interno all’EMA (l’Agenzia Europea dei Medicinali) che si occupa di determinare il rischio associato all’utilizzo dei farmaci, fornendo raccomandazioni successive alla ricezione di segnalazioni riguardanti effetti avversi (come è avvenuto in questo caso), valutando studi di sicurezza post-autorizzativi e compiendo inoltre ispezioni di Farmacovigilanza, che è quella fase dello sviluppo di un farmaco in cui si raccolgono proprio gli effetti indesiderati post-immissione al commercio che non sono emersi durante le fasi di sperimentazione.
Nel caso di Astrazeneca il PRAC ha affermato che ci può essere effettivamente l’insorgenza, in rari casi (i sopracitati 80 casi circa su 25 milioni), di trombi inusuali che si formano entro 2 settimane dalla somministrazione del vaccino.
Credo che il problema per il 35enne non si ponga, perché prevedo che sarà il nostro sistema sanitario in primis, recependo la raccomandazione del PRAC, a indicare l’uso del vaccino al di sopra dei 60 anni, come già avvenuto in altri paesi europei.
Come si concilia secondo te questa necessità di “ripensamento” fisiologico fino a prova contraria della scienza con il decollo della campagna vaccinale? Quali sono le leve da utilizzare per non affossare la questione in un ambito solo emotivo?
Le leve sono come sempre quelle della ragione e della consapevolezza di cosa sia e di come funzioni il metodo scientifico. È importante far capire alla popolazione che nessun mezzo di indagine a nostra disposizione ci consente di poter raggiungere verità certe e definitive. Il fatto che la scienza non faccia eccezione non deve portarci ad un atteggiamento “negazionista”, a negare quindi la bontà, per così dire, o il valore del metodo scientifico, ma ad accettarne vantaggi e limiti.
Potremmo naturalmente fare a meno della scienza e della tecnica, ma dovremmo rinunciare agli innumerevoli vantaggi che il pur fallace metodo scientifico ha arrecato alle nostre società (l’aumento della longevità media, il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie, l’avanzamento tecnologico ect.). In altre parole, in virtù del suo metodo la scienza gode naturalmente di elementi logico-osservativi conoscitivamente superiori rispetto al senso comune, pur non potendo raggiungere l’obiettivo impossibile di arrivare a verità certe e definitive (anzi, direbbe Popper, la scienza è superiore proprio grazie a questo suo limite).
Quello che eviterei, e mi rivolgo soprattutto a medici e operatori sanitari, è prorompere in frasi come “la scienza non è democratica” (Burioni), o far intendere in qualche modo che verso la scienza occorre compiere un atto di fede cieca paragonabile a quello a cui siamo stati abituati per anni nelle parrocchie.
La scienza è democratica e deve imparare ad esserlo ancora di più, per poter riuscire a comunicare e a far comprendere al maggior numero di persone possibile quale sia il suo metodo e su che base vengono ricavati i suoi asserti.
Nelle ultime ore si sta parlando anche del vaccino americano Johnson & Johnson, anche questo a vettore come Astrazeneca. Proprio sul vettore sembra esserci qualche approfondimento e relazione con le trombosi. Corriamo il rischio di trovarci a maggio con soli vaccini per la popolazione più adulta? Anziana?
Direi che non ci sono ancora elementi per associare i medesimi effetti avversi riscontrati per il vaccino Astrazeneca al vaccino Johnson&Johnson. Certo è che mi aspetto un’ulteriore comparsa di reazioni avverse non studiate per tutti i vaccini anti-Covid, in generale. Ma, ripetiamolo ancora, questo non deve spaventare perchè: 1) è esattamente quello che accade per tutti i farmaci, dall’aspirina all’omeprazolo, e 2) l’importante è che il rapporto rischio/beneficio rimane favorevole. Ovvero l’importante è che statisticamente rimanga più conveniente assumere la propria dose di vaccino che incorrere il rischio di contrarre il Covid.
Statisticamente, essendo interessata per la prima volta nella storia l’intera popolazione mondiale (circa 7 miliardi), è probabile poi che l’insorgenza di effetti non studiati possa essere anche più frequente rispetto a farmaci assunti solo da qualche milione di persone.
Quanto ha influito la morbosità informativa sulla nostra ricerca del rischio zero? Sembra che a differenza di ogni altro farmaco sui vaccini ci sia una certa intransigenza. Da cosa deriva?
Sicuramente i vaccini hanno lo svantaggio di dover essere somministrati in assenza di sintomi o di malattia. È come quando si stipula una polizza sulla vita: non se ne toccano mai i vantaggi. Credo che l’intransigenza derivi tutta da qui. A livello di informazione più che di morbosità dovremmo parlare di ignoranza. I giornalisti sono i primi a non sapere come funzioni il metodo scientifico. Basti pensare a quante volte in questo periodo si è sentito chiamare i vaccini “siero”.
Come ci prepariamo al futuro e qual è la lezione che dovremmo imparare come UE ed europei da questa esperienza?
Personalmente conosco un unico modo di prepararmi al futuro: studiando. Dobbiamo adoperarci per un innalzamento della soglia di istruzione di livello superiore e soprattutto per la promozione del pensiero critico, che è l’unica arma in nostro possesso in grado di non farci cadere in una delle due estremità del campo, ovvero i negazionisti e gli scientisti (coloro che assumono i precetti e gli asserti scientifici come dogmi).