Beethoven, i Beatles e l'AI

Beethoven, i Beatles e l'AI

Intervista a Maurizio Ferraris a cura di Antonella Vitelli

Tutto ebbe inizio qualche anno fa all'interno della casa natale di Beethoven dove fu ritrovato un prezioso manoscritto risalente al 1822. Tra le note musicali erano presenti abbozzi della sua decima Sinfonia. Questa sinfonia, purtroppo, non fu mai terminata. Beethoven, nei suoi ultimi anni di vita dopo il 1822, si dedicò ad altre composizioni, come la celebre Missa Solemnis e tre sonate per pianoforte. Morì il 26 marzo 1827 all'età di 56 anni e la X Sinfonia restò un progetto incompiuto. In occasione del 250º anniversario della nascita del compositore gli abbozzi della decima sinfonia sono stati estratti dagli archivi. Esperti e musicologi provenienti da diverse parti del mondo hanno lavorato su un progetto rivoluzionario, completando la sinfonia utilizzando un'Intelligenza Artificiale chiamata "Beethoven-KI (Künstliche Intelligenz)".

  

I critici dell'iniziativa fanno notare che una vera sinfonia di Beethoven non può essere riprodotta o ricreata in base a frammenti isolati. La personalità e l'originalità del compositore non possono essere sostituite da un'IA. Molti esperti ritengono che una sinfonia di Beethoven sia un'esperienza unica e individuale che va oltre le semplici note e pause. Nonostante le critiche, gli ideatori del progetto difendono il loro lavoro. Affermano che l'obiettivo non è replicare o sostituire Beethoven, ma dimostrare come la collaborazione tra l'intelligenza umana e quella artificiale possa portare a risultati sorprendenti. Questa iniziativa solleva una serie di domande importanti sulla creatività umana, ma niente a confronto alle questioni che sta sollevando l'uscita di "Now and Then".

Ricavata da un demo registrato da John Lennon alla fine degli anni '70 il brano in questione é felicità rimpianta, malinconia, è l'essenza stessa della nostalgia.  Squote, "fa venir voglia di piangere" dicono alcuni vecchi e nuovi fan su Tik Tok e fa piangere, anche se non c'è competizione con i brani instancabili e rivoluzionari che già negli anni '60 hanno reso i Beatles immortali.  

Al di là di tutto, al di là dei nostri output, una delle principali sfide era la qualità del suono. L'uso di software avanzati, come quelli impiegati da Peter Jackson per isolare parti vocali e strumentali dalle tracce mono durante la realizzazione del documentario "Get Back" nel 2021, ha permesso di estrarre e migliorare la voce solista di Lennon. McCartney e Starr hanno poi completato "Now and Then" utilizzando parti del 1995, nuove registrazioni effettuate nel 2022 e un nuovo arrangiamento per orchestra d'archi. Inoltre, dagli archivi delle sessioni dei Beatles, sono state inserite parti corali provenienti da brani come "Here, There and Everywhere," "Eleanor Rigby," e "Because". Niente di miracoloso, il che non vuol dire niente di toccante. Niente di così imprevedibile, il che non vuol dire che non ci sia sorpresa. Si tratta ancora una volta del potere della techne di prolungarci, di cambiare ciò che siamo o direzionare ciò che altrimenti non saremmo stati. 

Fin dai primi decenni del XX secolo, vari scrittori e filosofi come Spengler, Camus, Jaspers, Anders e Heidegger hanno esaminato criticamente lo sviluppo tecnologico e hanno sollevato preoccupazioni riguardo al crescente dominio delle macchine sull'umanità. Il progresso della tecnica appare come irreversibile, definitivo, anche se perennemente modificabile. Questa oscillazione tra paura e rassicurazione non sembra mai arrivare ad una sintesi. A volte la tecnica sembra la nostra salvezza, altre la misura di qualcosa che abbiamo perso, o ancor peggio che perdiamo incessantemente, quotidianamente. Anima, coscienza, etica, emozioni, sogni, politica.

Che tipo di società avremmo avuto senza l'invenzione della ruota? Come sarebbe stata la nostra natura umana e il nostro sviluppo come specie se non avessimo conosciuto la tecnologia? Ne abbiamo parlato con il Professor Maurizio Ferraris, docente di Filosofia teoretica all’Università di Torino, presidente del Labont (Center for Ontology). 

Professor Ferraris quanto sta la tecnica all’uomo?

Ci sono persone che pensano che ci sia una contrapposizione, secondo me è una visione sbagliata. L’animale umano diventa umano quando si fornisce di apparati tecnici cioè l’umano allo stato di natura non è umano, ma un animale abbastanza disagiato. Solo con gli apparati tecnici l’umano si umanizza.

Professore da più parti emerge un certo pensiero di preoccupazione sulle macchine e sull’intelligenza artificiale. Qual è secondo lei il grande equivoco che si è generato anche leggendo alcuni suoi colleghi come Byung-chul Han sulla differenza tra le macchine e l’uomo e che condiziona la nostra idea di futuro?

Primo punto: spesso gli allarmismi sulla tecnica si basano sulla convinzione falsa che la tecnica sia qualcosa di moderno. La tecnica c’è da sempre. Ci si preoccupa in modo nuovo, ma non si tratta di un meteorite. Secondo: che differenza c’è tra umano e tecnica?

Umano è un organismo, la tecnica è un meccanismo senza bisogni che risponde ai bisogni dell’umano.

Può fare una macchina per fare la pizza, per distribuirla, non può fare una macchina per mangiare la pizza. Deve esserci un umano.

Quindi la differenza tra uomo è macchina è nel bisogno o nel desiderio?

Esattamente, sono tutte le finalità interne dell’organismo. Il meccanismo invece ha delle finalità esterne da noi richieste.

Beatles - Beethoven e AI. Noto che c’è imbarazzo a dire che forse una macchina può essere creativa quanto l’uomo.

Si può dire, una macchina può essere creativa quanto un uomo, ma la domanda è un’altra: ad ascoltare questa sinfonia c’erano umani non macchine. Quindi è sempre l’umano che dà senso e decide se la sinfonia piace o meno. 

Qual è il compito della filosofia in questo frangente storico?

Non dobbiamo avere timori rispetto alla tecnica, dobbiamo solo orientarci con le giuste cautele. Si teme che la tecnica prenda potere, ma questo non è possibile, il problema sono gli umani che possono servirsi della tecnica per prendere il potere. 

L'economista Leonard Susskind nel suo libro analizza un mondo in cui la tecnologia sostituirà molte figure professionali e il lavoro scomparirà. Cosa faremo, più arte o più guerra?

L’uomo vivrà. Noi vivendo stiamo producendo una grande quantità di dati e vanno trovati i modi per socializzare questi dati a favore dell’intera umanità e non di pochi player come sta accadendo adesso. 

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