Cosa succede con il nuovo Decreto Sicurezza? Intervista all'Avvocato Paolo Iafrate

Cosa succede con il nuovo Decreto Sicurezza? Intervista all'Avvocato Paolo Iafrate

Intervista di Antonella Vitelli, agosto 2019

Ho fatto una chiacchierata con il Prof Avv. Iafrate, Docente a contratto presso l’Università degli studi di Roma “Tor Vergata”- Comitato Strategico CREG – Centro di Ricerche Economiche e Giuridiche, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” sul Decreto Sicurezza. Il Professor Iafrate il 2 luglio è intervenuto a Montecitorio nell'ambito di un'audizione  relativo all'esame del disegno di legge di conversione del Decreto legge .53 e recante disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica. 

Pubblico qui una postilla rilasciata dal Professore qualche ora fa. 

Recentemente sul D.l 53/2019 conv. in Legge 77/2019 è intervenuto  in relazione al divieto d'ingresso nelle acque italiane per l’imbarcazione Open Arms ferma dal 1 agosto a largo dei Lampedusa, con a bordo anche 32 minori, di cui 28 non accompagnati il Tribunale per i Minorenni di Palermo che ha rilevato: che le Convenzioni Internazionali a cui l’Italia aderisce e soprattutto l’art. 19 co. 1 Bis D Lvo 286/98 come integrato dall’articolo 3 della legge 47/17, impongono il divieto di respingimento alla frontiera o di espulsione dei minori stranieri non accompagnati, riconoscendo loro, invece il diritto ad essere accolti in strutture idonee, nonché di aver nominato un tutore e di ottenere il permesso di soggiorno.” 

I giudici hanno ha ribadito il principio che stabilisce il divieto di respingimento alla frontiera o di espulsione dei minori stranieri non accompagnati”.  

Successivamente il giudice amministrativo con decreto cautelare del 13 agosto 2019, ha rilevato altresì con sentenza del Tar Lazio, I Sez. Ter, nr 05479/2019 REG.PROV.CAU, N. 10780/2019 REG.RIC. in relazione al dedotto vizio di eccesso di potere per travisamento dei fatti e di violazione delle norme di diritto internazionale del mare in materia di soccorso, nella misura in cui la stessa amministrazione intimata riconosce, nelle premesse del provvedimento impugnato, che il natante soccorso da Open Arms in area SAR libica – quanto meno per l’ingente numero di persone a bordo - era in “distress”, cioè in situazione di evidente difficoltà (per cui appare, altresì, contraddittoria la conseguente valutazione effettuata nel medesimo provvedimento, dell’esistenza, nella specie, della peculiare ipotesi di “passaggio non inoffensivo” di cui all’art. 19, comma 1 [recte, comma 2], lett. g), della legge n. 689/1994).

Ritenuto, quanto al periculum in mora, che sicuramente sussiste, alla luce della documentazione prodotta (medical report, relazione psicologica, dichiarazione capo missione), la prospettata situazione di eccezionale gravità ed urgenza, tale da giustificare la concessione - nelle more della trattazione dell’istanza cautelare nei modi ordinari - della richiesta tutela cautelare monocratica, al fine di consentire l’ingresso della nave Open Arms in acque territoriali italiane (e quindi di prestare l’immediata assistenza alle persone soccorse maggiormente bisognevoli, come del resto sembra sia già avvenuto per i casi più critici).

Il giudice amministrativo ha disposto dunque la sospensione del divieto di ingresso disposto dal Governo italiano in esecuzione della nuova Legge 8 agosto 2019, n. 77 (in Gazz. Uff., 09 agosto 2019, n. 186), di conversione in legge, con modificazioni, del D.l. 14 giugno 2019, n. 53, recante disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica (cd. Decreto Sicurezza bis), in particolare, dal Ministro dell’Interno, di concerto con il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, ed il Ministro della Difesa, – con cui era stato disposto il divieto di ingresso nelle acque territoriali italiane della 

Le pronunce citate hanno richiamato il principio contenuto nelle convenzioni internazionali, che rappresentano una fonte sovranazionale, rispetto alla leggi ordinarie ed alle decisioni governative, anche in ossequio a quanto previsto dagli artt.10 e 117 della Costituzione.

Alla luce di quanto sopra esposto era auspicabile in fase di conversione in legge del decreto legge n.53/2019 operare un ragionevole e proporzionato bilanciamento tra la salvaguardia dell’ordine pubblico e la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo.

Professor Iafrate martedì 2 luglio c’è stata la sua audizione a Montecitorio e il 30 luglio al Senato nell'ambito dell'esame del disegno di legge di conversione del decreto legge n. 53 del 2019 e, recante disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica.  Professore qual è stato il punto sostanziale del suo intervento?

In entrambi le situazioni ho evidenziato alcune criticità del D.l. 53/2019 riguardanti l’assenza dei requisiti di urgenza stante una rilevante diminuzione degli sbarchi nel 2019, dei minori stranieri non accompagnati (MSNA) rispetto agli anni precedenti, una diminuzione dei reati commessi da stranieri ) sulla base di una ricerca condotta dall’Università di Sousse (Tunisia), unitamente a Franco Pittau del Centro Studi e Ricerche Idos, una sanzione amministrativa difforme rispetto a quanto previsto dalla legislazione vigente, nonché un eccessivo trattamento sanzionatorio, soprattutto in relazione alle manifestazioni pubbliche.

Tali perplessità sono state evidenziate anche dal Presidente della Repubblica al momento della promulgazione.


Cos’è stato disatteso nell’approvazione definitiva per fiducia del 6 agosto. Ricordiamo che il decreto sicurezza bis è diventato legge dello stato con 160 voti favorevoli, 57 contrari e 21 astenuti. 


All’articolo 1 il decreto stabilisce che il ministro dell’Interno, e non quello delle Infrastrutture, possa «limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale» per ragioni di sicurezza. Quali sono i valori che vengono messi a repentaglio da questo sostanziale cambio di visione? Questa impostazione non entra in conflitto con principi della Costituzione e delle convenzioni internazionali?

L’art.1 citato riprende alcuni concetti delineati dalle Direttive del 4 aprile 2019 e del 15 aprile 2019 e 15 maggio 2019. La prima Direttiva di contenuto generale, Circolare Ministeriale n. 14100/141(8) (indirizzata al Capo della Polizia Italiana, al Comando Generale dei Carabinieri, al Comando Generale della Guardia di Finanza, al Comando Generale delle Capitanerie di Porto, al Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate e al Capo di Stato Maggiore della Difesa) sul soccorso in mare introduce il principio generale di impedire passaggi di navi pregiudizievoli ai sensi del diritto del mare, al fine di negare l’ingresso a chiunque avesse svolto «un’attività di soccorso […] con modalità improprie, in violazione della normativa internazionale sul diritto del mare e, quindi, pregiudizievole per il buon ordine e la sicurezza dello Stato costiero in quanto finalizzata all’ingresso di persone in violazione delle leggi di immigrazione». \ 14100/141(8) (indirizzata al Sig. Capo della Polizia Direttore Generale della Pubblica Sicurezza – Sede, Al Sig. Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri - Roma Al Sig. Comandante Generale della Guardia di Finanza - Roma Al Sig. Capo di Stato Maggiore della Marina Militare - Roma Al Sig. Comandante Generale delle Capitanerie di Porto - Roma e, per conoscenza Al sig. Capo di Stato Maggiore della Difesa – Roma)  riguarda le attività delle singole ONG ritenute responsabili di condotte descritte in termini di “possibile strumentalizzazione degli obblighi internazionali in materia di “search and rescue” ovvero in caso di “cooperazione ‘mediata’ che, di fatto, incentiva gli attraversamenti via mare di cittadini stranieri non in regola con il permesso di soggiorno e ne favorisce obiettivamente l’ingresso irregolare sul territorio nazionale”.

Al riguardo è opportuno osservare che con la lettera del 15 maggio 2019 l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite ha rilevato l’incompatibilità della novella legislativa con i principi contenuti nelle Convenzioni, UNCLOS, SOLAS E SAR, in relazione al diritto internazionale del mare, alla Convenzione di Ginevra con riferimento all’art.33, principio di non respingimento.

All’interno della Comunicazione si evince che entrambe le direttive relative all’attività di soccorso prestate dalle ONG e da altre navi private nel Mediterraneo centrale, determinano dei gravissimi rischi per i diritti fondamentali dei migranti, destinati purtroppo nel maggior numero dei casi a perdere la vita in un naufragio oppure ad essere recuperati dalla Guardia costiera libica e riportati in un Paese nel quale le detenzioni arbitrarie, la tortura, violenze sessuali, sequestri detenzioni illegali e trattamenti inumani e degradanti costituiscono il quotidiano. 

Nella comunicazione si evidenzia altresì che sulla base dei dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite, la percentuale delle morti per numero di persone che hanno tentato la traversata ha subito un aumento, passando da una morte ogni 38 arrivi nel 2017 ad una ogni 14 nel 2018.

Nel 2019 al 26 luglio le morti sono 669 alle quali si aggiungono le 150 relative all’ultimo naufragio del 26 luglio u.s. in attesa di conferma di questo dato. Lo Stato italiano ha l’obbligo di attenersi ai trattati internazionali ratificati. 

Di conseguenza se una nave è vicina alle coste italiane o i soccorsi in mare sono stati coordinati dall’Italia, lo sbarco dovrà avvenire sul territorio nazionale. Nel caso di specie è il comandante a valutare la situazione nell’immediatezza e decidere la soluzione migliore per garantire la sicurezza e la salvaguardia delle vite umane in mare. Gli altri Stati obbligati anch’essi al soccorso (esclusa il paese terzo “non sicuro” ad es, la Libia) potranno cooperare nelle operazioni di sbarco e redistribuzione delle persone presenti sull’imbarcazione. 

Al riguardo è opportuno osservare che il Presidente della Repubblica in sede di promulgazione della legge di conversione del decreto legge 14 giugno 2019, n. 53 recante "Disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica”, ha contestualmente inviato una lettera ai Presidenti del Senato della Repubblica, Maria Elisabetta Alberti Casellati, della Camera dei Deputati, Roberto Fico, e al Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte alle camere all’interno della quale ha rilevato la seguente criticità: “ 

Va anche ricordato che, come correttamente indicato all’articolo 1 del decreto convertito, la limitazione o il divieto di ingresso può essere disposto “nel rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia”, così come ai sensi dell’art. 2 “il comandante della nave è tenuto ad osservare la normativa internazionale”. Nell’ambito di questa la Convenzione di Montego Bay, richiamata dallo stesso articolo 1 del decreto, prescrive che “ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batta la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio e i passeggeri, presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo”.

Nel caso in questione si ravvisano dunque alcuni profili di in incompatibilità del D.l 53/2019 con gli artt. 10, 11 e 117 Costituzione che prevedono l’obbligo di rispettare le Convenzioni ed i Trattati internazionali, (Art. 3 Dichiarazioni Diritti dell’Uomo), nonché con l’art. 593 del codice penale che disciplina omissione di soccorso. 

A maggior ragione appare opportuno ravvisare tale conformità anche in ossequio al divieto di espulsione del minore previsto dalla Convenzione sui Diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza (Approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, ratificata dall’Italia con legge n. 176 del 27 maggio 1991, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’11 giugno 1991, n. 35) e dalle legge 47/2017 che sancisce il divieto assoluto di respingimento alla frontiera del minore (introdotto all’art.19 comma 1 bis del D.lgs 286/1998), e del divieto di espulsione del minore, salvo motivi di ordine pubblico e sicurezza nazionale (ove sussistano i requisiti l’espulsione può essere disposta nel termine di 30 giorni dal Tribunale per i Minorenni a condizione che non comporti un “grave danno” per il minore straniero. Tali criticità è oggetto di studio del Gruppo di Lavoro Siamo i componenti un Gruppo di Lavoro “Tutela del minore nel contesto nazionale, europeo ed internazionale” del Centro di Ricerche Economiche e Giuridiche (CREG), dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, costituito da Avvocati esperti di diritto dell’immigrazione e diritto minorile e tutori volontari dei MSNA (Minori Stranieri non Accompagnati).

Inoltre, in relazione alla clausola “salve le sanzioni penali quando il fatto costituisca reato”, « 6-bis. Salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale, il comandante della nave è tenuto ad osservare la normativa internazionale e i divieti e le limitazioni eventualmente disposti ai sensi dell’articolo 11, comma 1-ter. In caso di violazione del divieto di ingresso, transito o sosta in acque territoriali italiane, salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, si applica al comandante della nave la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 150.000 a euro 1.000.000, si ravvisa la seguente criticità:

Tale clausola sembra configurare una duplice sanzione sia amministrativa che penale in contrasto con il divieto del ne bis in idem, previsto dall’art. 649 c.p.p., e l’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dall’art. 4 Prot. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, «nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato».  Di conseguenza, se il primo procedimento instauratosi è concluso con l’esclusione della responsabilità (ad esempio in presenza di una della cause di giustificazione), sussiste il divieto del ne bis in idem al fine di non giudicare due volte un individuo per il medesimo comportamento; Sul punto è opportuno richiamare le pronunce della CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo): Engel e altri c. Paesi Bassi dell'8 giugno 1976, Grande Stevens c. Italia del 4 Marzo 2014., Cass., Sez. V, sent. 16 luglio 2018 (dep. 10 ottobre 2018), n. 45829.

Al riguardo, si evidenzia che l’art. 10 della l. 689/1988, prevede che “la sanzione amministrativa pecuniaria consiste nel pagamento di una somma non inferiore a euro 10 e non superiore a euro 15.000”, mentre come enunciato in precedenza all’art.2 comma 6 bis è prevista una sanzione amministrativa da 150.000 a 1.000.0000.

Pertanto, appare difficile cumulare la sanzione amministrativa con quella penale.

Il Presidente della Repubblica a seguito della promulgazione ha rilevato la medesima perplessità: “Per effetto di un emendamento, nel caso di violazione del divieto di ingresso nelle acque territoriali - per motivi di ordine e sicurezza pubblica o per violazione alle norme sull’immigrazione - la sanzione amministrativa pecuniaria applicabile è stata aumentata di 15 volte nel minimo e di 20 volte nel massimo, determinato in un milione di euro, mentre la sanzione amministrativa della confisca obbligatoria della nave non risulta più subordinata alla reiterazione della condotta.

Inoltre, ha osservato con riferimento alla violazione delle norme sulla immigrazione che non è stato introdotto alcun criterio che distingua quanto alla tipologia delle navi, alla condotta concretamente posta in essere, alle ragioni della presenza di persone accolte a bordo e trasportate. Non appare ragionevole – ai fini della sicurezza dei nostri cittadini e della certezza del diritto – fare a meno di queste indicazioni e affidare alla discrezionalità di un atto amministrativo la valutazione di un comportamento che conduce a sanzioni di tale gravità”. “Devo inoltre sottolineare che la Corte Costituzionale, con la recente sentenza n. 112 del 2019, ha ribadito la necessaria proporzionalità tra sanzioni e comportamenti”.


La nuova legge sancisce anche un fondo per le politiche di rimpatrio e quindi specifiche intese bilaterali per la riammissione degli stranieri irregolari presenti nel territorio nazionale e provenienti da Paesi extra-UE. E’ possibile? Perché queste misure non sono state adottate in passato?

Nel caso di specie con riferimento alla realizzazione di un fondo per le politiche di rimpatrio e quindi specifiche intese bilaterali per la riammissione degli stranieri irregolari presenti nel territorio nazionale e provenienti da Paesi terzi di cui all’art.12 del D.l n 53/2019 si ravvisano alcune criticità già delineate nel parere del Garante Nazionale delle persone detenute o private della libertà personale in sede di audizione informale alla Commissione Affari Costituzionali del Senato il 30 luglio u.s..

In particolare, non si comprende se il fondo istituito possa finanziare il paese terzo che garantisca la cooperazione nella riammissione o gli immigrati che accettano di rientrare volontariamente nel paese di origine.

In relazione alla normativa internazionale ed europea appare opportuno verificare gli ambiti e le modalità di applicazione degli accordi di riammissione, con riferimento al Codice attraversamento frontiere Schengen n. 562/2006, con il Regolamento (CE) n. 343/2003 (cd. Regolamento Dublino II) e con la Direttiva 2005/085/CE recepita con D.Lgs 25/08, Direttiva 2013/32, Direttiva 2013/33.

Sul punto si evidenzia che il “considerando” n. 20 del Codice delle frontiere Schengen prevede che “il presente regolamento rispetta i diritti fondamentali ed osserva i principi riconosciuti, in particolare, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Dovrebbe essere attuato nel rispetto degli obblighi degli Stati membri in materia di protezione internazionale e di non respingimento”. Secondo il citato Regolamento l’art. 3 (Campo di applicazione)”, “L’adozione di misure comuni in materia di attraversamento delle frontiere interne da parte delle persone nonché di controllo di frontiera alle frontiere esterne dovrebbe tener conto dell’acquis di Schengen integrato nell’ambito dell’Unione europea e, in particolare, delle disposizioni pertinenti della convenzione d’applicazione dell’accordo di Schengen del 14 giugno 1985 tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni (2), nonché del manuale comune”. Inoltre, in relazione all’art.13: “La cooperazione operativa e l’assistenza tra Stati membri in materia di controllo di frontiera dovrebbero essere gestite e coordinate dall’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri, istituita dal regolamento (CE) n. 2007/2004 (1)”, nonché l’art.7 della direttiva 2008/115/Ue relativo alla partenza volontaria.

A livello nazionale è opportuno richiamare l’art.80 Cost. che assegna alle Camere l’autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali che sono di natura politica, comprendendo anche gli accordi di riammissione.

Pertanto, è importante comprendere quali siano i beneficiari di questo fondo.

Inoltre, una diminuzione delle risorse destinate ai centri di permanenza rimpatri per la riduzione suscita qualche perplessità, più volte il Garante dei Detenuti sulla base dei dati raccolti dalla Commissione diritti umani del Senato, ha evidenziato che gli immigrati rimpatriati erano il 55% nel 2014, il 52% nel 2015 e ulteriormente diminuiti al 44% nel 2016. Nel 2017 i rimpatri erano stati 7383 ed erano stati 7981 nel 2018. 

Nel corso del 2019 secondo i dati del Ministero dell’Interno, dall’inizio dell’anno al 15 giugno i rimpatri sono stati 2.839.

Di conseguenza, sulla base di questi dati vi è stata una notevole diminuzione dei rimpatri, rispetto agli anni precedenti.

Dall’inizio dell’anno a oggi sulle coste italiane sono sbarcati 4.042 migranti, il 78,61 per cento in meno, secondo i dati del Viminale, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, quando gli sbarcati erano stati 18.897.

Cosa si sente di rispondere a chi dice “non possiamo di certo accoglierli tutti noi?

Sulla base dell’inchiesta Migrants files, dallo studio The Money Trails risulta che che dal 2000, per detenere ed espellere i migranti irregolari, i 28 paesi della Ue hanno speso almeno 11,3 miliardi di euro. Gli studiosi hanno dimostrato è semplice che accogliere i migranti invece di respingerli, avremmo determinato una minor costo. Tale dato non comprende i costi indiretti, quali i fondi per lo sviluppo che vengono esplicitamente usati come incentivi o penalità, dunque “moneta” di scambio utilizzata nei negoziati con gli altri paesi per ottenere collaborazione sulle espulsioni e i rimpatri.

Pertanto, appare è difficile utilizzare tale strumento per ottenere un aumento dei rimpatri.

Al riguardo così come sostenuto anche dal Garante dei Detenuti il rimpatrio volontario appare più idoneo, sia per il rispetto dei diritti dei diritti fondamentali delle persone che per la riduzione delle spese.

Tale formulazione presenta potrebbe contrastare con il divieto di espulsioni collettive,  stabilito dall’art. 4 del Protocollo 4 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dall’art. 19, par. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’UE (CDF), nonché il rischio di una violazione del principio di non refoulement, sancito dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati e ribadito dall’art. 3 della Convenzione e dall’art. 19, par. 2 della CDF che stabilisce  che nessuno possa essere espulso verso uno Stato dove rischia di essere perseguitato o di essere sottoposto a tortura o altre pene o trattamenti inumani o degradanti, nonché con la Direttiva 2008/115UE/ del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008 recante norme e procedure comuni applicabili agli Stati membri secondo la quale la partenza volontaria dovrebbe costituire una modalità ordinaria di esecuzione del rimpatrio .

La misura del ritorno volontario assistito è attiva in Italia dal 1990 e nel corso degli anni ha supportato numerosi migranti nel rientro volontario nei paesi di origine, garantendo la sostenibilità del rientro attraverso programmi di reintegrazione, quale strumento fondamentale nella gestione dei flussi migratori.

Secondo i dati del Ministero dell’Interno dell’aprile 2019 sono 1.267 dal 1° gennaio 2018 ad oggi gli stranieri che volontariamente hanno lasciato il territorio italiano rientrando nel proprio paese di origine grazie ai fondi FAMI, (1.080 di questi sono partiti tramite il progetto denominato AVRIT, realizzato dal Ministero dell’Interno, Dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione e implementato dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni -OIM).

Finanziato dalla Commissione Europea con i Fondi per Asilo, Migrazione e Integrazione (FAMI) 

Al rientro, la maggior parte di loro ha intrapreso, supportato dagli uffici dell’OIM basati nei vari paesi di origine, attività imprenditoriali in particolare nel commercio, nel trasporto e nell'allevamento.

Oltre al capitolo immigrazione ci sono nuove norme sulla gestione dell’ordine pubblico e anche delle modifiche nella gestione delle manifestazioni sportive. Cosa cambia? Come valuta queste norme?

Viene introdotto nella “legge Reale” un nuovo articolo 5-bis, che prevede una fattispecie delittuosa punita con la reclusione da uno a quattro anni nei confronti di “chiunque, nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, lancia o utilizza illegittimamente, in modo da creare un concreto pericolo per l'incolumità delle persone o l'integrità delle cose, razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l'emissione di fumo o di gas visibile o in grado di nebulizzare gas contenenti principi attivi urticanti, ovvero bastoni, mazze, oggetti contundenti o, comunque, atti a offendere”. La fattispecie si applica “salvo che il fatto costituisca più grave reato e fuori dai casi di cui agli articoli 6-bis e 6-ter della legge 13 dicembre 1989, n. 401” (si tratta, dei delitti di “lancio di materiale pericoloso, scavalcamento e invasione di campo in occasione di manifestazioni sportive” e “possesso di artifizi pirotecnici in occasione di manifestazioni sportive”). Inoltre, nell’ipotesi in cui il fatto è commesso in modo da creare un concreto pericolo per l'integrità delle cose, la pena è della reclusione da sei mesi a due anni ».

L’articolo in esame evidenzia qualche conflitto con il principio di riserva di legge di cui all’art.25 Cost, poiché il D.l. 53/2019 disciplina parzialmente la materia dell’ordine pubblico (cfr. art. 3-bis c.p.).

L’art.6 prevede un aumento di pena per chi utilizza caschi protettivi o qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona in occasione di manifestazioni (Legge n. 152/1975, art. 5, secondo periodo): la pena dell’arresto passa “da uno a due anni” ad una pena “da due a tre anni”; l’ammenda, che continua ad applicarsi congiuntamente all’arresto, passa “da 1000 a 2000 euro” a “2000 a 6000 euro”.

L’art.7 inserisce un aumento del trattamento sanzionatorio di fatti già previsti come reato, se commessi nel contesto di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico. In particolare, introduce l’aggravante ad effetto comune prevista dall’art. 339 co. 1 c.p. per i casi in cui i reati di cui agli artt. 336, 337 e 338 (violenza, minaccia, resistenza a pubblico ufficiale o a corpo politico, amministrativo o giudiziario) siano commessi con determinate modalità (armi, persona travisata ecc.) viene estesa ai casi in cui gli stessi reati siano commessi “nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico”.

Al reato di interruzione di ufficio o servizio pubblico (art. 340) viene aggiunta un’ipotesi aggravata attraverso l’introduzione del seguente secondo comma: “Quando la condotta di cui al primo comma è posta in essere nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, si applica la reclusione fino a due anni”, nonché vengono aggiunti in sede di approvazione alla Camera dei Deputati , i commi b-bis che prevedono in aumento di pena fino a tre anni  per l’art.341-bis c.p. e il comma b-ter che stabilisce per l’art. 343 primo comma c.p. un aumento di pena da un minimo di sei mesi ad una massimo di tre anni;

Inoltre, l’aggravante ad effetto comune prevista per i casi in cui il delitto di devastazione e saccheggio (art. 419 co. 2 c.p.) sia commesso con determinate modalità, viene estesa ai casi in cui lo stesso è commesso “nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico”.

Infine vengono apportate analoghe modifiche al delitto di danneggiamento (art. 635 c.p.): l’ipotesi in cui il fatto sia commesso “nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico” viene espunta dalla fattispecie base di cui al comma 1 ed ricollocata, con pena significativamente superiore (da uno a cinque anni, anziché da sei mesi a tre anni), nel nuovo comma 2. A tale ipotesi viene estesa la previsione di cui all’ultimo comma dell’art. 635 c.p., che subordina la concessione della sospensione condizionale all’eliminazione delle conseguenze del reato o alla prestazione di lavori di pubblica utilità.

La problematica che si rileva è un possibile contrasto con l’art.27 della Costituzione (principio della responsabilità penale personale), poiché l’articolo statuisce una forma di responsabilità penale per chi organizza una manifestazione non autorizzata nella quale qualcun altro compie un qualsiasi reato di danneggiamento. 

L’art.8 contiene un elenco di modifiche al codice penale, anche in questo caso si ravvisano alcune criticità: l’aumento per il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale, con un massimo edittale pari a quattro anni, ovvero pari al doppio rispetto a quanto previsto dal Codice Rocco (1 luglio1931);

Il medesimo articolo esclude altresì la possibilità di applicare la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (per i reati di resistenza, violenza, minaccia e oltraggio a pubblico ufficiale) di cui all’art.131 bis c.p, anche se il fatto commesso assume scarso carattere offensivo dal punto di vista penale. 

In riferimento al reato di danneggiamento (635 c.p.), attualmente punito con una pena già elevata che va da un minimo di sei mesi ad un massimo di tre anni, viene previsto l’aumento edittale della da uno a cinque anni, nel caso in cui il reato sia commesso nel corso di una manifestazione pubblica.

Al riguardo, il Presidente della Repubblica al momento della promulgazione ha altresì osservato “Non posso omettere di rilevare che questa norma – assente nel decreto legge predisposto dal Governo - non riguarda soltanto gli appartenenti alle Forze dell’ordine ma include un ampio numero di funzionari pubblici, statali, regionali, provinciali e comunali nonché soggetti privati che svolgono pubbliche funzioni, rientranti in varie e articolate categorie, tutti qualificati – secondo la giurisprudenza - pubblici ufficiali, sempre o in determinate circostanze. Tra questi i vigili urbani e gli addetti alla viabilità, i dipendenti dell’Agenzia delle entrate, gli impiegati degli uffici provinciali del lavoro addetti alle graduatorie del collocamento obbligatorio, gli ufficiali giudiziari, i controllori dei biglietti di Trenitalia, i controllori dei mezzi pubblici comunali, i titolari di delegazione dell’ACI allo sportello telematico, i direttori di ufficio postale, gli insegnanti delle scuole, le guardie ecologiche regionali, i dirigenti di uffici tecnici comunali, i parlamentari.

Questa scelta legislativa impedisce al giudice di valutare la concreta offensività delle condotte poste in essere, il che, specialmente per l’ipotesi di oltraggio a pubblico ufficiale, solleva dubbi sulla sua conformità al nostro ordinamento e sulla sua ragionevolezza nel perseguire in termini così rigorosi condotte di scarsa rilevanza e che, come ricordato, possono riguardare una casistica assai ampia e tale da non generare “allarme sociale”. 

In ogni caso, una volta stabilito, da parte del Parlamento, di introdurre singole limitazioni alla portata generale della tenuità della condotta, non sembra ragionevole che questo non avvenga anche per l’oltraggio a magistrato in udienza (di cui all’articolo 343 del codice penale): anche questo è un reato “commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni” ma la formulazione della norma approvata dal Parlamento lo esclude dalla innovazione introdotta, mantenendo in questo caso l’esimente della tenuità del fatto.

Pertanto ha lasciato l'individuazione dei modi e dei tempi di un intervento normativo sulla disciplina in questione.

Conclusione

Tra le innovazioni giuridiche introdotte dal D.l 53/2019 conv. in Legge 8 agosto 2019, n. 77 (disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica -19G00089) (GU n. 186 del 9-8-2019), risultano diverse le problematiche, dunque meritevoli della massima attenzione. Il parametro di riferimento dal quale partire per garantire i diritti del cittadino straniero può essere rappresentato dall’art. 3 che proibisce la tortura, il trattamento o pena disumana o degradante e dall’art.8 relativo al diritto alla vita privata e familiare della Cedu (Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, nonché dall’art. 2 della Costituzione secondo il quale “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

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