Intervista a Piero Crocenzi, ideatore di Augusta, a cura di Antonella Vitelli
Perché i vini naturali stanno conquistando sempre più spazio nel mercato globale? Qual è il motivo della trasformazione di una nicchia in realtà sempre più consolidata? Non è chiaramente solo una questione di prodotto, ma come sostiene Piero Crocenzi, organizzatore e ideatore di Augusta, si tratta di un cambiamento profondo nelle abitudini dei consumatori, sempre più attenti alla qualità, alla sostenibilità e alla genuinità di ciò che scelgono.
Ma quando e come nasce l'idea diffusa dei vini naturali, e quali sono le sue origini storiche, culturali e sociali? E quali fattori hanno contribuito a renderla popolare?
Stabilire con precisione quando siano nati i vini naturali è complesso, ci dice Piero Crocenzi.
Si tratta di un movimento nato da casi isolati, alimentati da persone visionarie che hanno deciso di cambiare le regole, spesso per rispondere a esigenze personali. Alcuni viticoltori, ad esempio, facevano fatica a tollerare i prodotti chimici e non riuscivano a bere vini prodotti in un certo modo. Per queste ragioni, hanno modificato le pratiche produttive. Un pioniere in questo senso è Nicolas Joly, considerato il padre della biodinamica. Tuttavia, pur adottando un approccio agricolo biodinamico, Joly utilizza quantità elevate di solfiti, il che, dal mio punto di vista, non rende i suoi vini pienamente naturali. Sebbene il suo percorso agricolo sia sano, si perde poi su altre strade.
Un momento chiave è stato negli anni '90, con l'inizio del lavoro dei "Fab Four" dell'Alsazia che hanno rivoluzionato le regole della viticoltura della regione. Hanno abbracciato processi agricoli sani, abolendo l'uso della chimica e riducendo drasticamente, fino ad annullare, la solforosa. Sono stati seguiti da molti produttori della loro generazione, oggi tra i 60 e i 70 anni, e in Alsazia si è sviluppata una stratificazione produttiva che include anche giovani vignaioli che continuano con consapevolezza il lavoro iniziato dai "magnifici quattro".
I "Fab Four" dell'Alsazia sono quattro viticoltori che negli anni '90 hanno rivoluzionato la viticoltura della regione, diventando simboli del movimento dei vini naturali. Si tratta di Patrick Meyer, noto per la sua dedizione alla viticoltura biologica e biodinamica, e per un approccio radicale nella produzione di vini privi di additivi chimici; Christian Binner, un pioniere della vinificazione minimalista e rispettosa del terroir, i cui vini rappresentano l'essenza dei suoli alsaziani; Jean-Pierre Frick, che ha adottato la biodinamica già negli anni '80 e che si distingue per la sua filosofia rigorosa, basata sull'eliminazione quasi totale di solfiti e su un metodo naturale in vigna e in cantina; e Bruno Schueller, innovatore e sperimentatore, celebre per la produzione di vini puri e genuini che sfidano le convenzioni tradizionali. Questi quattro produttori non solo hanno ridefinito il concetto di vino naturale in Alsazia, ma hanno anche ispirato un’intera generazione di giovani vignaioli a seguire le loro orme.
Piero quali sono i mercati o le aree geografiche in cui i vini naturali stanno crescendo maggiormente? E come vedi il futuro del settore?
Personalmente, sono dieci anni che vivo con passione il mondo dei vini naturali. Nel 2007 questo settore era quasi inesistente: era difficile trovare locali e avere accesso a esercenti capaci di proporre questi vini al consumatore finale. Questa difficoltà mi ha spinto a cercare direttamente alla fonte, visitando molti viticoltori per procurarmi il vino che non riuscivo a trovare come consumatore finale. Da allora, il mercato è cresciuto moltissimo. C’è una spinta importante al Centro e al Sud Italia, simile a quella che ho vissuto a Torino all’inizio degli anni 2010.
Similmente alla Francia?
Il mercato dei vini naturali sta vivendo una trasformazione profonda, e la Francia, rispetto all’Italia, sta dimostrando una consapevolezza straordinaria. Qui, il vino naturale è entrato nelle case e nelle vite quotidiane, tanto che alle fiere francesi si vedono famiglie, bambini, passeggini, un’immagine che parla di un prodotto ormai parte integrante della cultura sociale. In Italia, invece, il movimento è ancora visto come un angolo di nicchia, appannaggio di ristoratori, appassionati e giovani avventurosi. Ma anche qui la scena sta cambiando, e con la spinta post-Covid, il mercato cresce, sebbene ci sia ancora un’ombra di riflessione: l’incremento della domanda ha portato a prezzi che sembrano sfuggire di mano, con produttori e distributori che talvolta si spingono oltre la sostenibilità.
Questo cambiamento, in Italia come in Francia, si riflette non solo nei consumi, ma anche nelle storie che ogni bottiglia racconta.
Le etichette dei vini naturali francesi sono un vero atto di ribellione. Con un mix di arte provocatoria, design audace e messaggi che scuotono le convenzioni, ogni bottiglia è una dichiarazione di intenti. Non sono solo colori e forme: sono la resistenza alle regole del mercato, sono la libertà di esprimere una visione che sfida le tradizioni. Ogni etichetta parla di un legame profondo con la terra, di un ritorno a ciò che è genuino e autentico, e di una scelta consapevole di non cedere ai diktat dell'industria. Queste etichette non sono semplici decorazioni, ma inviti a fare una scelta di vita, a scegliere un vino che non è solo un prodotto, ma un manifesto di sostenibilità, di passione e di verità. In Italia, mentre il mercato cresce, anche le etichette, forse più timidamente, stanno cominciando a raccontare storie di questo tipo.
Così come il vino naturale conquista spazio, le bottiglie diventano ponti che collegano produttori e consumatori, attraverso il linguaggio potente di un’arte visiva che dice più di mille parole.
Crocenzi altresì sottolinea un rovescio della medaglia molto interessante sulle "etichette hype"
Diciamo - continua - che disturbano molti produttori. Questo tipo di marketing cavalca l’interesse del mercato, ma rischia di mettere in secondo piano la qualità del vino. Nella fascia di consumatori non informati, le etichette accattivanti possono avere un forte impatto, mentre chi è più consapevole cerca una storia e un prodotto autentico.
Quali sono i principali ostacoli che i produttori di vino naturale devono affrontare rispetto ai produttori convenzionali?
I produttori di vini naturali affrontano molte più difficoltà rispetto a quelli convenzionali. Realizzare un vino naturale richiede molto più lavoro, e non è realistico aspettarsi la perfezione tipica dei prodotti trattati chimicamente. Questo non significa lassismo da parte dei produttori, ma piuttosto un impegno nel mantenere un equilibrio tra principi sani e la necessità di sostenere economicamente le proprie attività. Alcuni prodotti possono risultare instabili o non conformi ai canoni convenzionali, ma spesso si tratta di fenomeni temporanei, come nel caso di vini imbottigliati da poco per esigenze economiche.
I vini naturali si stanno guadagnando maggiore visibilità, ma restano critiche e autocritiche, sia interne che esterne. La loro digeribilità è spesso citata come un punto di forza rispetto ai vini convenzionali, perché impegnano meno l’organismo grazie alla minore presenza di solfiti e sostanze chimiche. Nel tempo, molte persone che conosco hanno scelto gradualmente di bere vini naturali, apprezzandone la maggiore leggerezza.
La questione dei vini naturali rispetto a quelli convenzionali è oggetto di dibattito, ma non esistono studi conclusivi che dimostrino la superiorità assoluta di uno rispetto all'altro. Il concetto di "migliore" dipende da vari fattori, come salute, gusto, sostenibilità e preferenze personali.
I vini naturali presentano caratteristiche che li distinguono dai convenzionali, sia dal punto di vista della produzione che dei risultati finali. Prodotti con un uso minimo di pesticidi e solfiti, spesso contengono meno residui chimici rispetto ai vini convenzionali, pur rimanendo questi ultimi entro i limiti di sicurezza stabiliti. Inoltre, grazie alla mancata filtrazione, i vini naturali possono includere una maggiore varietà di lieviti e batteri naturali, potenzialmente benefici per il microbioma, anche se l’impatto clinico di questo aspetto non è ancora ben definito.
Dal punto di vista organolettico, il gusto dei vini naturali è altamente soggettivo. Alcuni li apprezzano per la loro autenticità e complessità, mentre altri li trovano più difficili da apprezzare a causa di caratteristiche come torbidità, ossidazione o aromi intensi e non standardizzati. Sul piano ambientale, questi vini tendono a essere più sostenibili, grazie all’eliminazione di pesticidi chimici e a metodi agricoli rispettosi dell’ecosistema. Tuttavia, l’impatto complessivo dipende anche da fattori come il trasporto e il packaging, che possono influire sull’impronta ecologica finale.
Infine, i vini naturali rappresentano spesso una scelta etica e culturale, grazie all’impegno dei produttori nel sostenere economie locali, preservare varietà autoctone e valorizzare pratiche agricole tradizionali, conferendo a questi vini un significato che va oltre il semplice prodotto.
Come dialogano i vini naturali con la tradizione e l’innovazione nel settore vinicolo? C’è una tendenza a recuperare metodi antichi o a svilupparne di nuovi?
Il dialogo tra tradizione e innovazione nel settore vinicolo è complesso e dipende molto dalle aree geografiche. Dove c’è maggiore consapevolezza, i vini naturali dialogano meglio con il mondo convenzionale. Tuttavia, in passato si è creata una sorta di “bolla” identitaria, che ha portato a un’autoghettizzazione. Oggi, per fortuna, si sta cercando di aprire questo dialogo. Credo che il vino naturale possa ambire a spazi tradizionalmente riservati ai vini convenzionali, come i ristoranti stellati, ma per ora resta un fenomeno di nicchia, spesso presentato in modo pionieristico. Infine, il recupero di metodi antichi e l’uso consapevole della tecnologia caratterizzano l’approccio produttivo dei vini naturali, che cercano un equilibrio tra passato e presente. Non tutti i consumatori possono visitare cantine e conoscere i produttori, ma credo che chiunque voglia davvero comprendere questo mondo debba farlo almeno una volta.
Americo, consumatore di vini naturali dal 2011, racconta la sua esperienza:
Ho iniziato a bere vini naturali nel 2011, quasi per caso. Provenivo dal mondo della sommellerie, fresco di diploma Ais, convinto di avere una conoscenza approfondita della scienza del vino e del meticoloso processo che ne definisce l’esistenza. Qualche giorno prima, avevo partecipato a una piccola fiera di vini naturali. Per quel poco che ne sapevo, li consideravo ‘super difettati’, spesso caratterizzati da note acetiche. Non avrei mai immaginato che, da lì a poco, sarei diventato anch’io parte di quella schiera di persone convinte, empiricamente, che 'se inizi a bere vino naturale, non torni più indietro'. I saloni in Francia sono delle esperienze uniche, ci sono famiglie, neonati, non ci sono incidenti, ma il vino è una parte importante della loro quotidianità, una espressione sensoriale di valori e anche ideali sociali e politici.
Il viaggio nel mondo del vino naturale è un racconto di territori, tradizioni e visioni, che attraversa paesaggi unici e mette in luce le scelte di vita, i valori e le filosofie che animano i suoi protagonisti. Dalle colline dell’Emilia Romagna all’artigianalità del Sannio Beneventano, ogni produttore non è solo il custode di un sapere antico, ma anche l’artefice di un micromondo dove la terra e il vino si intrecciano a uno stile di vita consapevole e rispettoso. Dietro ogni bottiglia, c’è un impegno che va oltre il prodotto: c’è una visione di comunità, una lotta per la sostenibilità e un’intensa relazione con la natura.
A Monte San Pietro, Jacopo Stigliano celebra la biodiversità nei suoi vigneti, dove le viti convivono con alberi da frutto e suoli arricchiti da fiori spontanei e animali. Le sue oltre venti varietà di uva, tra cui Albana e Pignoletto, sono raccolte a mano e fermentano spontaneamente per dare vita a vini come il Buriana, un orange wine complesso ed energico, o il rosso Hiraeth, che riflette equilibrio e profondità. Il progetto di Jacopo non è solo un esercizio enologico, ma un manifesto di resistenza culturale: preservare la tradizione agricola, innovando senza tradire le radici.
Abbiamo deciso di produrre un vino della valle, raccogliendo un pò gli insegnamenti dei grandi “vecchi” ed utilizzando soltanto vitigni autoctoni, in fase di progressivo ed inesorabile abbandono. J.S.
Proseguendo verso il Lazio, arriviamo al Progetto SETE di Emiliano Giorgi, Arcangelo Galuppi e Martina D’Alessio, che hanno deciso di ridare vita a vigne abbandonate, riprendendo vitigni autoctoni in via di estinzione. La Malvasia Puntinata e l’Ottonese sono coltivati con il minimo intervento, esprimendo un vino come il Tropicale, che mescola il passato agricolo del territorio con la volontà di rigenerarlo. Un lavoro che va oltre la vinificazione, creando una comunità intorno alla terra.
Recuperiamo vigne dal 2013 e coltiviamo uva in armonia con la natura, raccontando attraverso il vino i cambiamenti dei luoghi dove siamo nati, cresciuti, tornati e dove abbiamo deciso di restare.
Nel Monferrato piemontese, Cascine degli Ulivi non è solo un simbolo del vino biodinamico, ma anche un laboratorio sociale. Fondato da Stefano Bellotti, il progetto ha creato un ecosistema dove viti, alberi da frutto e animali convivono in armonia, promuovendo una visione rigenerativa dell’agricoltura. Vini come il Mounbè e il Semplicemente Vino sono espressione diretta della terra, ma incarnano anche la filosofia di Bellotti, che ha fatto della sostenibilità e della comunità il fulcro del suo lavoro. Dopo la sua scomparsa, questa eredità continua nelle mani di giovani che condividono lo stesso spirito visionario.
Il contadino, per me, è la persona più libera che ci sia, perché vive all'aria aperta e ha a che fare con le piante, con il cielo, con le piogge, con la neve. Quale uomo può sentirsi più libero di un contadino? S.B.
In Svizzera, Julien Guillon porta la sostenibilità a un livello estremo nella regione del Vallese. Qui, i suoi vigneti biodinamici favoriscono un equilibrio naturale, con l’aiuto di api e insetti utili. Ogni aspetto del suo lavoro, dalla coltivazione alla distribuzione, è pensato per ridurre l’impatto ambientale, con vini trasportati su treni e persino barche a vela. Le etichette come il Solaris e il Pinot Noir Vieux Cepages riflettono non solo il carattere minerale del Vallese, ma anche l’impegno radicale di Guillon per un futuro più sostenibile, dove il vino è parte di un ecosistema più ampio.
Il sogno di un ragazzo iniziò nel 2016 in questa magnifica regione e terra che è il Vallese. Mai nella vita avrebbe pensato che un giorno avrebbe potuto realizzare questo sogno così folle, ma oggi è convinto che il suo destino sia produrre vino. Molte persone lo mettono su un piedistallo, ma lui fa semplicemente vino, il sangue di Cristo. Lo fa con passione e convinzione, dal più profondo della sua anima. Mai prima d’ora aveva dedicato tanta energia a realizzare qualcosa che per lui aveva e ha un valore immenso: proteggere questa terra, il nostro terroir, questa vita, le sue "figlie", come le chiama affettuosamente, che sono le sue vigne.
In Borgogna, il Domaine de Cassiopée rappresenta una ventata di freschezza. Fondato da una coppia di giovani produttori, unisce gastronomia e sensibilità olfattiva per creare vini che non sono solo esperienze gustative, ma anche sensoriali. La loro innovazione va oltre le tecniche di vinificazione: è uno stile di vita che celebra l’equilibrio tra tradizione e modernità, tra il rispetto del terroir e la capacità di guardare al futuro con creatività.
Da quando abbiamo convertito i nostri vigneti in viticoltura biologica, abbiamo assistito al cambiamento delle nostre piante. Le viti crescono più in alto, le foglie sono più spesse: si ha l'impressione che la fotosintesi sia migliore, e che le riserve delle viti conservate per il prossimo anno migliorino. Dall'agricoltura biologica, abbiamo imparato che se un terreno è stato curato con erbicida per molti anni, non vuol dire che non ci perdonerà. Se lo prendi bene, e ci fai caso; lavorandolo in momenti precisi e lasciandolo in altri momenti, può riprendersi bene.
Nel comune di Torrecuso, nel cuore del Beneventano, si trova Canlibero, una piccola realtà vitivinicola che dal 2011 produce vini genuini, figli di un approccio artigianale autentico. Ennio Romano e Mena Iannella, coppia e anima di questo progetto, gestiscono con passione i loro 3 ettari di vigneto, situati tra i 420 e i 470 metri sul livello del mare, su terreni calcari e tufacei.
Le viti, alcune delle quali con più di 50 anni, sono coltivate seguendo un regime biologico, integrato da pratiche biodinamiche. Le varietà coltivate includono Aglianico, Falanghina, Fiano e Trebbiano, tutte selezionate per esprimere al meglio il carattere del territorio. Canlibero si distingue per una produzione senza compromessi, lontana dalle convenzioni, che comprende vini bianchi, orange wine, rosati e rossi, tutti caratterizzati da una vitalità e un'energia fuori dal comune. Sulle etichette, dallo stile funky e dai titoli curiosi, appare Brando, il cane bianco di Ennio e Mena, scelto come simbolo di un’azienda che celebra la libertà e l’autenticità.