Flat tax. Parti uguali tra disuguali. Intervista a Massimo Baldini

Flat tax. Parti uguali tra disuguali. Intervista a Massimo Baldini

Intervista di Antonella Vitelli, Torino, aprile 2019

Professore Baldini, da poco è uscito il suo ultimo lavoro scritto a quattro mani con Leonzio Rizzo. Il libro, edito dal Mulino, si intitola Flat tax. Parti uguali tra disuguali.

Professore cosa si intende con flat tax? E perché la ritiene inadatta ai paesi occidentali?

La traduzione letterale di "flat tax" è tassa piatta, una espressione vaga, che può alludere ad un prelievo con importo fisso in euro, costante per qualunque cittadino, oppure ad un prelievo che si ottiene moltiplicando un’aliquota fissa per il reddito di ciascun contribuente, che diventa progressivo grazie ad una deduzione. A quanto mi risulta, l’Italia è l’unico paese dell’Europa occidentale in cui sia in corso un dibattito sulla flat tax. L’imposta progressiva sul reddito sembra godere in Occidente di buona salute, anche se rispetto a quella italiana negli altri paesi l’imposta sul reddito sottopone le classi medie ad aliquote più basse. Una buona riforma sarebbe quella di abbassare le aliquote sui redditi medi, conservando però una struttura con più di una aliquota, per avere una maggiore flessibilità del tributo. L’aliquota unica infatti renderebbe molto rigida l’Irpef, poco in grado di adeguarsi ai cambiamenti nella distribuzione del reddito e nelle esigenze di prelievo dello Stato.

Un primo esperimento di “tassa piatta” l’abbiamo visto negli anni Novanta nell’Inghilterra di Margareth Thatcher. Com’è finita? Quali sono state le criticità emerse?

Quello della Thatcher fu il tentativo di introdurre una vera e propria poll tax, una imposta fissa in valore assoluto per ciascun contribuente, salvo limitate esenzioni. Si voleva riformare il finanziamento della spesa degli enti locali, prima ottenuto grazie ad un’imposta proporzionale al valore degli immobili. Ma l’esito fu politicamente disastroso: colpire i ricchi e i poveri con un prelievo di pari importo è infatti molto regressivo, e fu percepito come una colossale ingiustizia dall’elettorato britannico, con la conseguenza che la popolarità della lady di ferro precipitò. Qualche mese dopo fu costretta a dimettersi.

L’articolo 53 della nostra Costituzione afferma l’importanza del criterio di progressività nella tassazione. Come si concilia questo dettame costituzionale con la proposta di flat tax del Governo italiano?

Tutte le proposte di flat tax fatte negli ultimi anni sono in effetti progressive, e non proporzionali, perché prevedono di applicare l’aliquota unica non a tutto il reddito del contribuente, ma ad una base imponibile data dal reddito meno una deduzione, che serve appunto ad introdurre una certa progressività, nel senso che al crescere del reddito l’imposta aumenta non solo in assoluto, ma anche in percentuale del reddito stesso. Si tratta però di una progressività molto inferiore a quella dell’Irpef attuale. L’articolo 53 stabilisce che il sistema tributario nel suo complesso deve essere progressivo. Vi sono sicuramente imposte regressive sul reddito, come l’Iva, quindi è importante avere un’Irpef sufficientemente progressiva per compensare l’effetto regressivo delle imposte indirette.

Chi ci guadagna e chi ci perde?

Dipende dall’aliquota e dall’ampiezza dell’area esente per i redditi bassi. Se l’aliquota è bassa e l’area esente non molto elevata, come nello schema del contratto di governo (che per la verità ha 2 aliquote, 15% e 20% oltre 80 mila euro di reddito familiare), allora ci guadagnerebbero soprattutto i redditi alti. Con aliquota bassa ci perde soprattutto il bilancio pubblico, perché verrebbero a mancare diverse decine di miliardi di euro, con problemi sul fronte della sostenibilità del debito pubblico e del finanziamento della spesa pubblica.

Quali sono i vantaggi che adducono i sostenitori della flat tax, ma soprattutto sono fondati e reali?

Il principale vantaggio sarebbe una maggiore equità orizzontale tra redditi di tipo diverso: oggi infatti l’Irpef è pagata soprattutto da dipendenti e pensionati, mentre sono sempre più numerose le tipologie di reddito che sfuggono alla progressività, basti pensare ai redditi sugli affitti o al reddito da lavoro autonomo, grazie al regime dei minimi. Tassando tutti i redditi alla stessa aliquota, si raggiungerebbe un sistema che tratta tutti allo stesso modo indipendentemente dal tipo di reddito.

La possibile obiezione a questo ragionamento è la seguente: perché non riportare all’interno dell’Irpef le varie categorie di reddito che negli ultimi anni sono state sottoposte a prelievi alternativi proporzionali, riducendo al contempo le aliquote dell’Irpef stessa per tutti?

Con la flat tax vi sarebbero inoltre un maggiore incentivo alla produzione di reddito e una riduzione della convenienza di evadere. In un paese con altissima pressione fiscale e alta evasione come l’Italia questi incentivi sono concreti, ma non tali da recuperare tutto il gettito perduto con la riduzione delle aliquote.

In ogni caso a prescindere da questa risposta del Governo c’è in Italia una necessità reale di semplificazione di un sistema fiscale che quando non appare opprimente appare incomprensibile?

Sicuramente sì. Soprattutto c’è bisogno di un sistema più semplice che tratti i vari tipi di reddito in modo più omogeneo. Abbiamo di fronte due alternative. La prima è abbandonare l’idea dell’Irpef molto progressiva e tassare tutti i tipi di reddito allo stesso modo con prelievi poco progressivi o proporzionali, lasciando la progressività alla spesa pubblica. La seconda è cercare di riportare molte tipologie di reddito all’interno dell’Irpef, riducendone le aliquote.


Spesso si evoca la flat tax anche come risposta al problema italiano, possiamo dire italiano? dell’emersione del nero. Ecco, è sicuro che una tassazione unica ed agevolata non sia una risposta all’evasione?

Come dicevo, un effetto positivo vi sarebbe di certo, bisogna vedere quanto forte.
Difficile fare previsioni, anche perché resterebbero comunque molte altre forme di prelievo, a partire dai contributi sociali, che costituiscono la parte più pesante del cuneo fiscale sul lavoro.


C’è un modo o ci sono delle modalità complementari per favorire l’emersione del
nero. Che cosa ne pensa dell’allargamento della deducibilità e detraibilità?

Potrebbe rappresentare una risposta? Magari limitata nel tempo. Credo che  potrebbe avere un effetto positivo. Si noti che le proposte di flat tax vanno nella direzione opposta: vogliono infatti eliminare quasi tutte le attuali deduzioni e detrazioni, in cambio di un prelievo basso. Allargare le opportunità di deducibilità o detraibilità è possibile solo se la base imponibile del tributo è molto ampia, il contrario della direzione presa dall’Irpef negli ultimi anni.

 

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