Intervista di Gioconda Fappiano, Roma, 3 ottobre 2020
“I decreti Salvini erano anticostituzionali. Che siano stati superati è un passo avanti. Non riesco ad immaginare come sia stato possibile concepire un progetto di immigrazione basato sulle norme salviniane, a mio avviso disumane che non hanno niente a che vedere con i diritti delle persone e l’accoglienza diffusa”. Questo il commento di Mimmo Lucano dopo il superamento dei Decreti sicurezza o decreti Salvini, due leggi volute dall’ex ministro dell’interno tra il 2018 e 2019. Il consiglio dei ministri ha approvato da poche ore un nuovo decreto neutralizzando in maniera radicale le parti sull’accoglienza, con il ripristino di una forma di protezione umanitaria e del sistema di accoglienza diffuso, mentre su altri punti come il soccorso in mare è rimasto in piedi l'approccio "salviniano".
In questa intervista Lucano racconta la sua l'esperienza da fuorilegge. L'omonimo libro edito da Feltrinelli evidenzia come in periodi di crisi le disuguaglianze rischiano di allargarsi e i diritti di essere rispettati sempre meno. Da dove può ripartire oggi l’Italia? Nel disastro economico e sociale in cui siamo precipitati all’improvviso, abbiamo un enorme bisogno di idee. Prima di diventare un modello per ridare vita a una comunità, Riace era un’idea. O meglio, un’idea di futuro che a Mimmo Lucano venne in mente per la prima volta guardando il mare. A Riace, alla fine degli anni novanta, non esistevano quasi più né l’agricoltura, né l’allevamento. L’unica possibilità per i pochi abitanti rimasti era fuggire. Poi il sistema di accoglienza diffuso creato da Lucano ha cambiato tutto. Le case del centro, da tempo abbandonate, si sono ripopolate. Centinaia di rifugiati hanno potuto ricostruire le loro famiglie e hanno rimesso in moto l’economia del paese.
Partiamo dal titolo: "Mimmo Lucano. Il fuorilegge. Battaglia di un uomo solo". C'è la solitudine di chi, in direzione ostinata e contraria, ha affrontato incomprensioni e battaglie giudiziarie, ma all'interno del libro c'è la narrazione e il ricordo di tanti amici che hanno condiviso con lei ideali e scelte controcorrente. Perché allora proprio questo titolo?
Una constatazione. Quando c’è stata la manifestazione il 6 ottobre 2018, e mai tante persone arrivate a Riace da tutta Italia, è emerso il culmine di uno sdegno che io personalmente non avrei mai immaginato. Tutti hanno avuto la percezione che eravamo di fronte ad un ingiustizia. Devo dire che sull’idea, sull’ideale non mi sono mai sentito e non mi sento solo, però proprio questi ideali di uguaglianza, di giustizia sociale, di lotta alle mafie ti fanno sentire il peso della solitudine di quanti per questo hanno perso la vita. E’ come se ci fosse un conto aperto che non finisce mai . C’è la percezione che quando si accende una luce questa venga subito spenta, immotivatamente. Nel mio caso con un epilogo giudiziario. Devo dire che quel che ho fatto l’ho fatto istintivamente. Dagli sbarchi, alla mia esperienza di sindaco. Non potevo rimanere insensibile a chi arrivava scappando da guerra e povertà. L’ideale politico in cui credo sono sicuro che un giorno verrà realizzato: l’emancipazione sociale dei proletari. Questo è il mio sogno.
Lei è stato sindaco di Riace dal 2004 al 2018, fino a quando le sono stati contestati tra l'altro il rilascio di carte d'identità ad una madre eritrea e al suo bimbo di sette giorni fino al 2 ottobre 2018 quando è stato arrestato con l'accusa di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e poi di concussione. Da uomo delle istituzioni si è trovato così ad essere considerato un fuorilegge. Qual è secondo lei il confine tra legge e giustizia?
Questo l’ho imparato a mie spese. Le battaglie sociali si fanno per abrogare le leggi ingiuste. Il reato non può sussistere di fronte alla necessità dell’umanità. E’ evidente che siamo di fronte ad una scelta: o si aiuta un uomo che sta annegando e lo si fa aggrappare alla tua mano o si va verso la direzione della disumanità. La legge è un fatto provvisorio. Anche Apartheid e il razzismo erano leggi, ma sappiamo che non ci si può arrendere quando abbiamo di fronte i diritti umani.
All'epoca del suo arresto il Ministero dell'Interno era sotto la responsabilità di Matteo Salvini, ma nel suo libro, ricordando di essere stato un sindaco di sinistra, lei sottolinea più volte come i danni maggiori alla politica dell'accoglienza e dell'integrazione dei migranti siano arrivati dal cosiddetto "centrosinistra". In particolare rimarca il ruolo avuto dal decreto Minniti-Orlando riguardante gli accordi con la Libia e i fantomatici "codici di condotta" delle Ong, che altro non è stato che una specie di prova generale dei successivi "decreti sicurezza". Da uomo di sinistra, come ha vissuto il tradimento dei valori umani della sua stessa parte politica? Perché oggi, anche per certa sinistra, la sicurezza dell'uomo vale più dell'uomo?
La mia considerazione parte da lontano. Già quando c’è stato il Compromesso storico si andava verso una dispersione della dimensione della sinistra e per questo poi è nato anche l'estremismo rivoluzionario. Non è mai giustificabile la lotta armata. Noi apparteniamo ad ideali così alti per i quali il limite tra Evangelizzazione e utopia della Sinistra quasi non esiste, e questi non possono essere sciupati con la violenza. Con l’uso della lotta armata nessuno potrà mai capire. Questa strategia politica non porta a nulla, ha creato e crea solo divisioni nel mondo della sinistra. Per quanto riguarda il Decreto Minniti - Orlando quello è stato l’origine dei successivi decreti restrittivi. Le conseguenze le ho viste da vicino , a Riace, perché quell’approccio rendeva complesso il riconoscimento dello status di rifugiato o altro. Io ho vissuto anche la fase in cui c’era una sola commissione territoriale a Roma e i richiedenti asilo aspettavano tempi biblici per essere convocati per il riconoscimento del loro destino. Per loro quel riconoscimento era una cosa importante. Mettiamoci nei loro panni: il rilascio dei documenti per loro erano un ossessione e la commissione quindi fondamentale per il riconoscimento di una protezione umanitaria o lo status di rifugiato politico. Le voglio raccontare un episodio. Una signora etiope aveva una bambina con Sindrome di Down con la quale aveva attraversato il mare. Era triste, spaesata e parlandole era emerso che già aveva perso due figli. Ricordo ancora quando gli assistenti sociali la preparavano sulle risposte da dare durante il colloquio con la commissione che altro non era che un collegio giudicante. Mi saliva la rabbia e pensavo : ma la devono preparare a cosa? Questa donna deve solo raccontare e certificare le sue sofferenze, e questo deve bastare. Ritornando al decreto Minniti-Orlando, questo ha ridotto da tre a due le possibilità di poter ricorrere contro la commissione in caso di esito negativo delle domande dei migranti, restringendo i livelli del giudizio ( che per tutti i cittadini sono tre e che in questo caso però non lo sono) facendo paventare per molti lo spettro del ritorno nelle terre da cui si era scappati per fame e guerra. Questo decreto ha aperto così le porte anche all’idea politica di una sicurezza normativa che certo non è una strada da percorrere.
Nonostante l'amarezza per le sue vicende giudiziarie, le pagine de "Il fuorilegge" sono piene di parole di speranza e di esempi positivi di buone pratiche della gestione della cosa pubblica, tanto da poter parlare di un "modello Riace" fondato sull'integrazione tra comunità locale e rifugiati che si è rivelata un'opportunità di crescita anche economica di un piccolo borgo destinato all'abbandono. Secondo lei, cosa ha provocato allora tanto risentimento e fastidio rispetto a questo esperimento vincente?
La risposta a questa domanda mi permette di andare al cuore della mia vicenda giudiziaria. Riace nella sua idea di governance locale ha dimostrato che è possibile far prevalere l’umanità e l'inclusione come una possibilità, una possibilità di accoglienza, ma anche di recupero di luoghi abbandonati. Questo non è solo un esempio italiano, ma merita di essere considerato un esperimento mondiale. L’esempio di Riace , nella sua pratica quotidiana, ha ribaltato il paradigma dell’immigrazione come dramma sociale e problema, su cui le forze politiche hanno costruito le loto fortune elettorali, e lo ha trasformato invece in un’opportunità. Negli anni il discorso sull’immigrazione è stato costruito sulla paura e l’egoismo. Ha preso sempre più piede l’idea che il razzismo non è un’idea scandalosa. Invece siamo andati ben oltre, abbiamo guardato ad un mondo diverso possibile.
Nella sua narrazione c'è un costante richiamo al concetto di "xenia" , di accoglienza, che è un concetto fondante della cultura e della storia della Magna Grecia e del Mediterraneo in generale. Lei cita anche una frase di Alex Zanotelli: "Siamo ciò che incontriamo" e dedica un intero capitolo allo sbarco di 184 curdi a Riace nel luglio del 1998, quando le notizie di partenze e di sbarchi di migranti non erano ancora, come accade adesso, al centro dell'agenda politica né sulle prime pagine dei giornali. Quanto è importante il richiamo all'humanitas e ai suoi valori nella costruzione del moderno concetto di cittadinanza?
Questa influenza è molto chiara per me. Siamo in contesti in cui c’è la consapevolezza di vivere in luoghi dove il destino sembra essere segnato dallo spopolamento e il condizionamento mafie. Ma nel contempo nell’aria c’è la storia universale della Magna Grecia che ci appartiene, appartiene ad una dimensione che non può essere compresa se non è stata vissuta. Questo ci restituisce un senso di fierezza dell’incontro che non deve avere secondi fini e pregiudizi su cui fondare quella che io chiamo” la rivoluzione della normalità . Questo dovrebbe essere alla base del concetto moderno di cittadinanza.
A fronte di un turismo "di consumo" aggressivo per l'ambiente e che porta ad uniformare l'etica e l'estetica, a Riace lei ha avviato con l'associazione "Città Futura" una forma di turismo diverso basato sul recupero delle tradizioni che ha coinvolto la comunità locale e i migranti attivando diversi laboratori artigianali inseriti in un percorso di etnoantropologia urbana. Ci vuole parlare di questa esperienza?
Questa esperienza è molto legata alla concezione che la vera degenerazione della società ha a che fare con l’avanzata del consumismo e della materialità. Pasolini diceva che quando la produzione sarà inarrestabile la nostra storia sarà finita. Io personalmente dalle Riace delle massaie, dell’artigianato, della tessitura sono rimasto affascinato. Quando ero sindaco con i cittadini abbiamo costruito un paesaggio, una città estetica prima di tutto fondata su una bellezza viva e antica. Riace voleva essere un modello di accoglienza, una soluzione possibile e umana. Una strada nuova, mai percorsa finora, nella quale siamo stati pionieri. A Riace si è visto un raggio d’utopia.
Ne "Il fuorilegge" lei afferma che non esiste solo un'economia basata sui soldi, ma che anche la speranza è economia, credere che certi sogni, certe ambizioni si possano realizzare. E' dunque dall'economia della speranza che Domenico Lucano trova sempre la forza di ricominciare?
Adesso stiamo portando avanti un progetto. Abbiamo riaperto i laboratori, ricreato nel villaggio globale il senso e la bellezza della multiculturalità. Questo lavoro lo faccio chiaramente da privato cittadino, come volontario, perché credo nella nell’economia della speranza. I soldi presi da soli sono solo un problema, non bastano a cambiare le cose.