Il pericolo invisibile: come la disuguaglianza può destabilizzare le democrazie

Il pericolo invisibile: come la disuguaglianza può destabilizzare le democrazie

Intervista a Riccardo Stagliano' a cura di Antonella Vitelli

Negli ultimi decenni, la disuguaglianza economica è diventata uno dei temi più pressanti a livello globale. La concentrazione della ricchezza in poche mani non solo ha impoverito una larga fetta della popolazione, ma ha anche alimentato una profonda instabilità sociale. In Italia, questa tendenza si è consolidata, con un calo dei salari e una sempre maggiore disparità tra ricchi e poveri.

Secondo un recente rapporto dell'Istat, l'inflazione ha ulteriormente peggiorato la condizione economica del Paese. Nel 2023, più di 2,2 milioni di famiglie e quasi 5,7 milioni di individui si trovavano in stato di povertà, con un numero record di minori coinvolti. Mentre la ricchezza dei più abbienti continua a crescere e il loro carico fiscale diminuisce, l'Italia segna nuovi tristi primati di povertà, distinguendosi come l'unico Paese europeo in cui i salari sono scesi negli ultimi trent'anni.

Ma quanto è pericolosa questa disuguaglianza per la stabilità della nostra società? Il Sud America è un chiaro esempio di come la disuguaglianza economica possa alimentare l'instabilità politica. Paesi come Brasile, Cile e Argentina presentano livelli di disuguaglianza estremamente elevati, nonostante alcune riforme sociali. In Brasile, la disuguaglianza ha generato profonde tensioni sociali, mentre in Cile, le proteste del 2019 hanno messo in luce il crescente malcontento per l'accesso diseguale a istruzione e sanità. Le politiche neoliberiste degli anni '80 e '90, adottate da molti Paesi sudamericani, hanno esacerbato queste divisioni, portando a frequenti esplosioni di protesta e conflitti sociali. 

Non solo! Come spiegava Naomi Klein nel suo Shock Economy le crisi economiche vengono sfruttate anche per consolidare le disparità, con le élite economiche che aumentano il proprio potere proprio nei momenti di maggiore fragilità sociale. E l'Italia di questi anni risulta essere molto fragile. Il nostro paese tra il 1990 e il 2020, ha registrato un calo del 3% nei salari medi, l'unico caso tra i Paesi dell'OCSE. Mentre in altre nazioni i lavoratori hanno visto aumentare il loro reddito, in Italia le disuguaglianze economiche si sono amplificate, creando una frattura sociale che rischia di esplodere in tensioni politiche. Nello specifico il confronto con altri Paesi europei è impietoso. In Irlanda, i salari sono aumentati dell’81% nello stesso periodo, in Svezia del 60%, mentre Francia e Germania hanno visto aumenti del 30%. In Italia, invece, l'assenza di politiche economiche efficaci e di investimenti ha portato a un arretramento salariale che non ha paragoni in Europa.

Molti Paesi hanno cercato di contrastare la disuguaglianza attraverso sistemi di tassazione progressiva. Spagna, Norvegia e Svizzera applicano tasse patrimoniali su grandi patrimoni, mentre in Francia una tassa colpisce gli immobili con un valore superiore a 1,3 milioni di euro. In Belgio, una tassa dello 0,15% viene applicata ai conti titoli superiori a 1 milione di euro.

In Italia, invece, il sistema fiscale resta meno strutturato e regressivo, favorendo i capitali a discapito dei redditi da lavoro. I dati del 2023 fotografano una situazione drammatica: oltre 5,7 milioni di persone in Italia vivevano in povertà assoluta l'anno scorso, un dato che difficilmente migliorerà, considerando i tagli ai sussidi imposti dal governo Meloni. Le previsioni per il 2024 sono ancora più cupe, con l'abolizione del reddito di cittadinanza e la sua sostituzione con l'assegno di inclusione e il supporto alla formazione e lavoro. Il bilancio si preannuncia quindi più pesante, poiché solo nel primo semestre del 2024 più di 600.000 famiglie sono rimaste senza sostegno.

Di chi è la colpa? Del sistema economico? Lapalissiano, ma una quota considerevole di responsabilità ce l'ha anche l'immobilismo della politica come ci suggerisce Riccardo Staglianò, giornalista di Repubblica e del Venerdì, intervistato sul suo libro Hanno vinto i ricchi (Einaudi, 2024).

Staglianò analizza come l’Italia sia l'unico Paese industrializzato in cui i salari medi sono diminuiti, attribuendo questa dinamica a politiche fiscali regressive. I ricchi pagano meno tasse sui guadagni di capitale rispetto ai lavoratori, aggravando l’erosione della classe media. L’Italia, secondo Staglianò, è vittima di un sistema che ha favorito una redistribuzione verso l'alto, lasciando indietro la maggioranza della popolazione.

Insomma non è solo una questione economica, “ma soprattutto un fallimento del sistema politico.” La mancanza di investimenti in ricerca e sviluppo, un sistema produttivo frammentato in micro-imprese e una fiscalità regressiva hanno portato al collasso dei salari italiani.

L'autore evidenzia come le giustificazioni legate alla bassa produttività siano fuorvianti:

Non è che i lavoratori italiani siano meno capaci. Il problema è che il sistema non investe su di loro.

Il suo messaggio è chiaro: il sistema politico ha fallito nel proteggere la maggioranza della popolazione, permettendo ai ricchi di vincere una battaglia invisibile.

Da un lato abbiamo assistito ad una mancanza di adeguata tassazione verso chi detiene la maggioranza del capitale, dall'altra continuiamo da anni ad assistere alla promozione di politiche di austerità a discapito di giovani e famiglie. Un esempio su tutti: il taglio del reddito di cittadinanza è stato una delle mosse più controverse dell’esecutivo. La decisione ha spinto molti di questi nuclei, già in difficoltà economiche, a scivolare ulteriormente nella povertà.

Riccardo in che termini parliamo di lotta di classe?Esiste ancora la possibilità di una lotta di classe, proprio come posizionamento, o come dice il filosofo coreano Byung-Chul Han, siamo tutti imprenditori di noi stessi e la rivoluzione è impossibile, perché dovremmo sostanzialmente vincere prima una guerra, quella intestina, con noi stessi? 

Affermazione amara che ha una buona dose di verità. Diciamo che di fronte ad una situazione così grave c'è da chiedersi: "Com'è possibile?". Una spiegazione risiede senza dubbio nella debolezza del sindacato. Il caso italiano è emblematico. Nelle tappe che hanno portato a una maggiore flessibilità nel mondo del lavoro – che spesso si traduce in precarietà – c'è senza dubbio la mancanza di resistenza, se non proprio di complicità, di alcune parti del sindacato. È stupefacente come il ceto medio impoverito non abbia, diciamo così, fatto pagare il conto, dico, elettorale a quelli che hanno contribuito a questa situazione nel corso degli anni. 

Per concludere: quanto è pericolosa la disuguaglianza?

La crescente disuguaglianza economica non rappresenta solo un problema di giustizia sociale, ma anche una minaccia per la stabilità politica e sociale. Come sottolineato da economisti come Stiglitz, Piketty e Klein, la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi rischia di minare le fondamenta delle democrazie moderne. In Italia, il declino salariale e l’ingiustizia fiscale rappresentano una pericolosa deriva verso un futuro in cui la disuguaglianza cronica potrebbe trasformarsi in una fonte di instabilità permanente. 

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