Pregiudizi e false informazioni. Breve storia della pseudoscienza. Intervista a Gilberto Corbellini

Pregiudizi e false informazioni. Breve storia della pseudoscienza. Intervista a Gilberto Corbellini

Intervista di Antonella Vitelli, Torino, 2 ottobre 2019

Gilberto Corbellini è Direttore del Dipartimento di Scienze Umane e Sociali del Consiglio Nazionale delle Ricerca, e professore di Bioetica e Storia della medicina alla Sapienza Università di Roma.

Il suo ultimo libro, edito da Feltrinelli è intitolato Nel paese della pseudoscienza. Perché i pregiudizi minacciano la nostra libertà. Nel testo Corbellini spiega che le democrazie liberali così come la conosciamo sono sotto attacco dall'incedere della pseudoscienza. Una vera epidemia che si diffonde a partire da piccole comunità che con facilità trovano grande visibilità e conquistano consenso, come nel caso degli Ogm, dei vaccini e delle medicine alternative. 

Corbellini sarà a Torino il 6 ottobre in occasione di Portici di Carta

Professor Corbellini il rapporto tra la scienza e la libertà appare determinante per lo sviluppo di nuove idee. In passato la scienza veniva bandita prevalentemente da religione e ideologie. Oggi cosa accade? Qual è il più grande ostacolo di fronte al quale si trova la credibilità scientifica?

Dipende dall’area geopolitica in cui ci troviamo, quello che accade. La scienza è ancora minacciata da religioni e ideologie nei paesi – non in tutti – che non hanno sviluppato un sistema politico liberale: dove la scienza ha una storia brevissima, non si sono create le condizioni per far emergere i principi liberal democratici.

Nel mondo Occidentale, dove la scienza nasce ed evolve, le minacce derivano soprattutto dalle false informazioni e in particolare da quelle false informazioni che sono chiamate pseudoscienze.

Quando queste pseudoscienze acquisiscono un’influenza culturale e politica significativa la fiducia nella scienza si contrae.

Lei parla di minaccia delle pseudoscienze. Queste da dove nascono e come si sviluppano in una società prettamente secolarizzata?

E’ vero che il processo di secolarizzazione si è nutrito della cultura scientifica, ma non solo di quella.

I valori secolari mettono l’enfasi sull’autorealizzazione delle persone, sulle libertà civili e politiche, sulla tolleranza, sulla fiducia, che non implicano capire e riconoscere un ruolo per la scienza e le sue conoscenze, nelle scelte dove si possono e dovrebbero usare informazioni controllate e metodi validati.  Inoltre, nelle cosiddette società postmoderne si mette in discussione ogni autorità, per cui anche la scienza, se è intesa come un’autorità equivalente alle altre. In queste società è apprezzato il relativismo. Non c’è da sforzarsi a pensare in modo pseudoscientifico. Le credenze pseudoscientifiche scaturiscono spontaneamente da cervelli che non usano il modo di pensare necessario che produrre conoscenze scientifiche; la loro diffusione ma soprattutto la loro capacità di influenzare le decisioni politiche o causare danni sociali dipende dalla presenza di presidi e istituzionali che dovrebbe essere cura delle élite intellettuali organizzare.

Nel suo libro parla di Stamina, di vaccini, di negazionismo su fenomeni piuttosto conclamati come il riscaldamento globale. Cos’è accaduto all’autoritas della scienza? Come si arrivati ad una messa in discussione del lavoro di tecnici e scienziati. Siamo sicuri che è negativa ai fini dello sviluppo di uno spirito critico?

A mio modesto parere è accaduto che la scienza ha risolto tanti problemi e ha reso l’esistenza umana talmente migliore di sempre, che le persone non si accorgono nemmeno più di quanto continui a essere indispensabile. Anche solo per mantenere i traguardi conquistati.

Nei paesi dove la scienza è stata valorizzata i bambini non muoiono più, non ci sono più le epidemie, non ci sono più le carestie, viviamo in salute e curiamo malattie mortali fino a tarda, etc.

Diamo per scontato che tutto questo sia acquisito per sempre e non vediamo perché fare fatica a studiare e investire in ricerca. Facile non vaccinare i figli contro il morbillo dato che a parte i bambini immunodepressi, non rischiano praticamente di morire grazie ai nostri ospedali. Questi esitanti o no-vax dovrebbero fare un viaggio in Africa Subsahariana dove il morbillo uccide migliaia di bambini che non possono vaccinarsi. Forse proverebbero vergogna. Trovo curioso, anche se capisco che psicologicamente se ne senta l’irrazionale bisogno, mettere in discussione scienziati e tecnologi. Su quali basi? Chi si mette davvero in discussione, sono scienziati e tecnologi, visto che la scienza di basa sul pensiero critico.

Lo spirito critico è quello che usava mio figlio adolescente che mi criticava in continuazione, ma senza minimamente capire i termini delle questioni e senza saper cambiare idea se gli dimostravo che aveva torto.  Col tempo è passato dallo “spirito critico” al “pensiero critico”, che è un’altra cosa.

Quanto i social network e il modello di una comunicazione dal basso hanno influito sulla perdita di “appeal” dello scienziato? Ogni giorno sentiamo parlare di “Dottoroni”, “Baroni”, “Radical chic” e “Intellettuali e politici da salotto”. Cosa si è perso nel rapporto tra intellettuali e massa e in quale momento storico?

Non saprei dire cosa abbiamo perso. A mio parere non si è perso niente. Il contesto è solo cambiato. La scienza è diventata pervasiva e iper-specializzata, per le persone medie non capiscono nulla di quello che dice uno scienziato, il quale spesso nel tentativo di semplificare manda messaggi fuorvianti.

L’anti-intellettualismo, perché di questo si tratta quando parliamo dell’insofferenza per chi ha studiato e per la cultura, è tratto inevitabile della democrazia, si accentua nelle stagioni in cui prevale il populismo.

Ricordiamo che Isaac Asimon lo definiva “un costante tarlo che si è insinuato nella nostra vita politica e culturale, nutriti dall’idea sbagliata che in democrazia la nostra ignoranza valga quanto l’altrui conoscenza”.

Che fare!? Cosa deve fare la comunità scientifica?

 La comunità scientifica può fare poco, a parte chiedere una politica dell’istruzione all’altezza delle sfide. Per lasciare alle future generazioni la risorsa di cui c’è più bisogno, che è la razionalità, serve trasmettere alcune capacità cognitive ai giovani. E’ quello che in alcuni paesi si comincia a fare avendo come obiettivo proprio la correzione dei meccanismi decisionali che portano a sbagliare nell’usare i dati o le prove, a non capire le prove a disposizione sono state ottenute in modo affidabile e scegliere in modi razionali.

Ma soprattutto cosa dovrebbe fare la politica? In questi giorni si parla tanto di crocifissi nelle scuole, di tasse sulle merendine e sulle bibite gassate. Che tipo di approccio sta mostrando secondo lei il Ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti?

 La politica non può fare niente, perché per sopravvivere i politici devono guardare al presente, cioè risolvere aspettative di reddito, impiego e sicurezza, etc, e non possono permettersi di investire su un lungo periodo. Mentre in Italia servirebbe proprio questo tipo di strategie, dato che circa la metà della popolazione tra 16 e 65 è funzionalmente analfabeta – cioè non riconoscere se in un paragrafo ci sono due o più periodi tra loro in contraddizione – e l’80% non sa come funziona il metodo scientifico. Di Fioramonti so che è un professore universitario che ha studiato questioni di economia globale e africana. La sua uscita sul crocifisso a me non scandalizza e la trovo coerente, dato che sono laico e ateo, mentre trovo un po’ demagogiche e inutile le tasse sulle merendine e le bibite gassate. Non mi aspetto che sarà in grado di cambiare molto.

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