La vita su Marte? Da un team italiano partì una sorprendente scoperta

La vita su Marte? Da un team italiano partì una sorprendente scoperta

Ci siamo. Perseverance, il rover della missione Mars 2020, è ammartato su Marte dopo 7 mesi di viaggio e un'esplorazione che durerà almeno un anno marziano che corrisponde a 687 giorni sulla Terra. L'obiettivo di questa sfida sembra ormai palese a tutti, cioè quella di cercare qualsiasi traccia che possa indicare la presenza di vita nel passato del pianeta rosso. Una sfida cominciata anni fa che proprio in Italia, in un nostro ateneo, ha trovato un importante dato di conferma. Stiamo parlando di uno studio di un team dell'Università Roma Tre capeggiato dalla Professoressa Elena PettinelliSebastian Lauro che nel 2018 ha scoperto sotto il ghiaccio del polo sud di Marte la presenza di un grande lago, del diametro di circa 20 km. A due anni di distanza è venuto fuori che quel lago appartiene ad sistema idrico più ampio.

La scoperta ha destato molta attenzione da parte della stampa internazionale anche perché in molti si sono chiesti, come afferma la Professoressa, come era possibile che un gruppo di italiani avesse scoperto l’acqua e la NASA noDopo la nostra prima scoperta del lago marziano venne a trovarci in laboratorio la CNN. Rimasero molto delusi dalla strumentazione che avevamo rispetto ai grandi laboratori californiani della NASA. Purtroppo le nostre università non entrano nelle classifiche internazionali per molti motivi, tra cui la mancanza di fondi e mezzi, ma certamente non per il basso livello dei nostri giovani ricercatori. Per le donne il cammino è ancor più in salita, anche se sono davvero molto brave ed affidabili, spesso più dei loro colleghi uomini. Di questo e altro parliamo in questa intervista proprio con la Prof Pettinelli, geofisica dal curriculum internazionale che ha alle spalle più di 70 pubblicazioni su riviste internazionali; tra questi quattro articoli su Science (AAAS).

Professoressa con il radar Marsis dell’orbiter Esa Mars Express il team guidato da lei e da Sebastian Emanuel Lauro ha confermato la presenza di un complesso sistema di laghi d’acqua salata sotto la calotta del polo sud marziano. Come siete arrivati a questa scoperta?

La scoperta della rete di laghi è la conseguenza diretta del primo studio del 2018 su Science. In quel lavoro avevamo pochi dati, solo 29 segmenti di orbita che passavano al di sopra dell’area dove poi abbiamo scoperto il primo lago. Ma quel lavoro è stato davvero pionieristico perché ci sono voluti anni e molto sudore per dimostrare che sotto la calotta ghiacciata del polo sud c’era dell’acqua liquida. Il secondo lavoro è stato ispirato dalla ricerca dei laghi subglaciali in Antartide ed in Groenlandia. Sulla Terra i laghi subglaciali sono abbastanza comuni e si cercano utilizzando un radar simile a MARSIS. Sebastian ed io volevamo trovare un modo indipendente e largamente accettato dai glaciologi per rilevare la presenza di acqua liquida sotto i ghiacci. Inoltre, avevamo molti più dati, 134 segmenti di orbita sull’area che avevamo studiato in precedenza. Per noi è stato molto confortante poter dimostrare attraverso una analisi completamente diversa che il lago era lì, e che ce ne erano anche altri intorno. Una scoperta che viene confermata da metodi di verifica diversi è sicuramente più robusta.

Rilevare la presenza di acqua liquida nel sottosuolo di Marte vuol dire confermare che c’è stato e che c’è ancora un ambiente adatto allo sviluppo della vita, almeno per come la conosciamo noi terrestri che viviamo su un pianeta dove l’acqua è ovunque.

Quali sono state le implicazioni per gli sviluppi futuri, incluso quello di ieri del Perseverance, sulla nostra conoscenza di Marte?

La comprensione del passato di Marte, della sua evoluzione così drammatica che lo ha reso un corpo arido e poco ospitale per la vita, richiede un lungo cammino di esplorazione e di studio. Oggi, grazie alle molte missioni spaziali che hanno visitato il pianeta rosso sappiamo con certezza che nei primi 500 milioni di anni Marte era un pianeta più simile alla Terra attuale, con acqua liquida abbondante in superficie ed una atmosfera, ma non abbiamo ancora prove inconfutabili che la vita abbia provato a svilupparsi anche li. Per questo motivo le missioni Perseverance ed Exomars (il rover dell’ESA che partirà nel 2022) sono fondamentali. Queste missioni andranno a scavare per oltre un metro  sotto la superficie marziana in cerca di tracce di vita biologica presente o passata. A quella profondità le radiazioni non possono arrivare e quindi le molecole biologiche sono protette.

 

Diana Trujillo, Flight Director di Perseverance sulla nostra conoscenza di Marte scrive: "Deve esserci un pò di vita su Marte". Quanto siamo vicini a questa ipotesi?

Io penso onestamente che la vita abbia provato a svilupparsi in molte parti del Sistema Solare, ma che le cose siano andate “particolarmente” bene sulla Terra  perché il nostro pianeta ha condizioni molto peculiari che facilitano lo sviluppo biologico e la sua evoluzione. Il Sistema Solare offre anche altre possibilità, basti pensare agli oceani presenti sotto le croste ghiacciate dei satelliti di Giove. Ovviamente, per noi è molto difficile uscire dallo stereotipo “pianeta Terra”. Noi conosciamo abbastanza bene  l’evoluzione biologica sul nostro pianeta ma è molto difficile immaginare percorsi diversi, magari basati su strutture chimiche diverse dai composti del carbonio. Per trovare qualche cosa dobbiamo sapere cosa cercare ed è questa la difficoltà maggiore, il saper riconoscere forme di vita diverse da quelle che conosciamo.

 

Dopo Perseverance cosa ci sarà? 

In questo momento c’è un bel traffico nei cieli marziani e sulla sua superficie. Ci sono molte sonde orbitanti vecchie (americane ed europee) ma ancora perfettamente funzionanti e nuove, come quella cinese e degli Emirati Arabi. Nel futuro potremo contare su una flotta terrestre di ben quattro rover e due lander che lavoreranno a pieno ritmo  sul pianeta. Alcuni di questi, come Curiosity ed Insight, si stanno già dando da fare da qualche anno. Lo scopo finale è quello di portare l’uomo su Marte, passando inevitabilmente per la costruzione di una base lunare che possa fare da ponte. Bisogna prima tornare a camminare sul nostro satellite e poi pensare al grande passo verso Marte.

La vostra ricerca è stata fondamentale per comprendere di più su Marte. Quali sono le criticità che vengono fuori in lavori complessi come il vostro, anche dal punto di vista del coordinamento con altre ricerche che si svolgono in Europa e nel mondo. La disponibilità di fondi immagino che sia un punto chiave per gli sviluppi successivi. Vi aspettate un qualche miglioramento per i fondi europei Next generation Eu?

Un problema fondamentale è il precariato da non confondere con la mobilità perché sono due cose totalmente diverse. Spesso nei nostri laboratori cresciamo degli eccellenti ricercatori ma poi li perdiamo perchè non c’è modo di stabilizzarli. Questa è una follia del nostro paese! E’ come se noi spendiamo soldi e tempo per addestrare un “top gun” e poi, finito l’addestramento, lo regalassero all’aviazione di un altro stato perché non possiamo pagargli lo stipendio.

I fondi per la ricerca sono un altro bel problema. Dopo la prima scoperta del lago marziano venne a trovarci in laboratorio la CNN, voleva sapere come era possibile che un gruppo di italiani avesse scoperto l’acqua e la NASA no. Rimasero molto delusi dalla strumentazione che avevamo rispetto ai grandi laboratori californiani della NASA e del JPL (Jet Propulsion Laboratory) ma abbiamo cercato di spiegar loro che al di là della strumentazione ciò che conta sono le idee e la preparazione scientifica. Su questo ho una convinzione personale molto forte: le nostre università non entrano nelle classifiche internazionali per molti motivi, tra cui proprio l’atavica mancanza di fondi e mezzi, ma certamente non per il basso livello dei nostri studenti e dei giovani ricercatori. 

Forse i fondi del Next Generation Youth ci aiuteranno, ma a noi servono anche idee e persone con nuove prospettive che cambino radicalmente la struttura e la mentalità della ricerca scientifica italiana. Ed in questo ambito le donne scienziate potrebbero davvero fare la differenza.

In una sua intervista dell’anno scorso sul sussidiario.net scrive “A me non disturba affatto che la cronaca abbia rimarcato che una ricercatrice donna aveva fatto una scoperta importante come l’acqua su Marte va detto, perché la parità di genere è di fatto ancora lontana”. Si parla proprio in queste ore di una iniqua partecipazione delle donne nella compagine di governo. Un tema che mi sembra caldo anche nel mondo della scienza.

Il mondo della scienza non è diverso, purtroppo, dagli altri ambiti umani. Le donne e le ragazze sono certamente svantaggiate nella ricerca, soprattutto se vogliono anche essere madri perché non ci sono sostegni. Il ritmo di lavoro di un ricercatore è abbastanza pressante: capita molto spesso di lavorare il fine settimana, la sera, durante le feste e le vacanze. Il mio gruppo di ricerca è ¾ al femminile. Siamo tre donne e un uomo e tutti hanno figli (tranne la sottoscritta). Chiaramente la componente femminile è doppiamente sotto pressione. Se sei particolarmente fortunata ed hai un partner che ti supporta puoi dedicarti quasi totalmente alla ricerca: io ho avuto la fortuna di sposare un uomo che ha favorito la mia carriera a scapito della sua. Ma si tratta di un evento molto raro.

Comunque credo che in questo momento storico le donne debbano necessariamente alzare il tono e farsi sentire anche perché sono davvero molto brave ed affidabili, anche nella ricerca scientifica, spesso molto più brave ed affidabili dei loro colleghi uomini.

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