Intervista di Antonella Vitelli. Coordinamento grafico: Silvia Maria Stefania Sardi, Milano, ottobre 2019
Ci sono fatti che accomunano persone e cose e non sono propriamente definibili coincidenze. Quando parliamo di oggetti crediamo che dietro ad essi non ci sia spazio per parole come "storia", "fine" e "affinità". In realtà non é così, spesso siamo testimonial involontari di persone nate per fare delle cose e delle cose che esistono, perché quelle persone vi hanno riconosciuto una vitalità quantomeno "familiare" ed evocativa. Evocativa è infatti la storia dei taccuini Moleskine. Tutto inizia nel 1994 in barca a vela durante una traversata notturna tunisina. Proprio sotto quel cielo mentre sfoglia le pagine del libro Le vie dei canti di Bruce Chatwin, Maria Sebregondi trova l'ispirazione. C'è un capitolo in cui Chatwin appare disperato perché la cartoleria di nicchia parigina dove comprava i suoi taccuini ha chiuso. Quei taccuini erano pieni di fascino, arte e autenticità. Evocavano Hemingway, Picasso, Samuel Beckett e le migliori avanguardie artistiche e letterarie del novecento. La storia che si é dispiegata da qui in poi la conosciamo tutti, come tutti conosciamo l'esprit che caratterizza il brand Moleskine.
Con queste poche e ben radicate informazioni siamo andate ad intervistare Maria Sebregondi alias Madame Moleskine. Una donna discreta, elegante, con un piede nella letteratura e uno in un passato di lotta che porta sulla strada del '68 e dei moti per l'emancipazione femminile e di quei diritti umani sconosciuti nell'Italia Pre Legge Basaglia. Oggi Maria Sebregondi é Presidente della Fondazione che porta il nome del brand da lei creato e due sembrano essere i perni attorno ai quali muove le sue giornate: "cultura alta" e "Africa". Ma nel mezzo non c'è un grigio sbiadito di intenti, ma tanti valori, molti dei quali non proprio mainstream. Where is South? è un esempio. Un progetto promosso in collaborazione con UNHCR che porta in mostra i taccuini di 25 giovani di diverse nazionalità e background, accomunati dallo status di rifugiati o richiedenti asilo. Cosa pensa Maria Sebregondi dell'Africa? Del '68? Del Decreto Sicurezza bis e dell'Europa? In questa intervista troverete una serie di considerazioni che ci piace riportare in auge per il lettore.
Dottoressa Sebregondi come nasce la Moleskine Foundation?
La Moleskine Foundation è un’organizzazione non-profit creata nel 2006 con il nome di lettera27- un incubatore culturale non convenzionale che ha sviluppato diversi progetti soprattutto in Africa legati al diritto all’istruzione e allo sviluppo della conoscenza. La Fondazione è indipendente dall’azienda: Moleskine sostiene la Fondazione finanziandone i costi organizzativi - in tal modo tutto ciò che raccogliamo da partner, associati e donatori privati va al 100% sui programmi. Ci piace pensarci come un player innovativo nel nostro campo, capace di combinare la forza del brand con la progettualità non profit, così da poter attrarre finanziamenti e idee in modo trasparente ed efficace.
Oggi questo è l’impegno al quale ho scelto di dedicarmi. I valori della fondazione sono gli stessi che anni fa ci hanno portato a concepire il brand Moleskine, la sua storia e il suo sviluppo: un progetto di natura culturale fortemente centrato sulla creatività. L’obiettivo di oggi è portare quegli stessi valori nel campo del non profit, spostandoli da una creatività individuale e legata al profitto a una creatività collettiva che contribuisca significativamente al cambiamento sociale.
Dottoressa al riguardo come definisce la creatività?
Naturalmente esistono molti approcci e definizioni. Per noi la creatività è al centro di ciò che consideriamo un’istruzione di qualità. Siamo usciti dal secolo scorso con una tradizione di conoscenza e di istruzione basate sulla trasmissione di saperi consolidati, oggi invece ci troviamo in una condizione in cui istruzione e conoscenza devono reinventarsi ogni giorno e ricreare contesti innovativi. Se si guarda la curva dell’innovazione tecnologica, si vede che per secoli è rimasta una linea quasi orizzontale, mente negli ultimi 30/40 anni ha subito un’impennata. Da un modello fordista, il cui successo era basato su ripetizione e riproducibilità, su processi consolidati di trasmissione di saperi canonici, siamo passati a un contesto in cui il successo e il cambiamento positivo sono garantiti solo dalla capacità di innovare. Innovazione, una parola anch’essa abusata, come creatività, su cui tuttavia riteniamo di aver qualcosa da dire. Come brand Moleskine abbiamo alle spalle più di 20 anni di esperienza di esplorazione della creatività e della messa in circolo di modalità creative, proprio in una fase in cui cresceva la standardizzazione tecnologica. D’altro canto, come Moleskine Foundation abbiamo esperienza ultradecennale di lettera27 come incubatore culturale e costruttore di network innovativi. Mi piace citare il nostro progetto AtWork , che utilizza il processo creativo per stimolare il pensiero critico e il confronto fra i partecipanti. AtWork ha preso il via nel 2012 a Dakar e da allora continua a viaggiare attraverso il continente africano e non solo, con l’obiettivo di ispirare un vero e proprio network di pensatori creativi.
L’Africa come metafora del mondo per parafrasarla. Giusto?
Proprio così. La metafora del mondo e del possibile cambiamento anche nei modelli di sviluppo, nei nuovi modi di relazionarsi che non siano la replica di quelli prodotti dal capitalismo con la sua progressiva “colonizzazione”.
Siamo andati avanti per decenni con l’illusione che il capitalismo libertario potesse produrre democrazia e uguaglianza.
In qualche modo abbiamo vissuto l’ultima parte dello scorso secolo in questa illusione e speranza, invece abbiamo verificato che questo sviluppo non fa che accentuare le diseguaglianze.
Soprattutto anche con quello che è l’intervento cinese oggi sul mercato africano. C’è una forma nuova di colonialismo?
Sì, c’è una forma nuova di colonialismo ma c’è anche un contesto diverso su cui si può lavorare. Ci sono spinte emergenti di altro tipo. Proposte di modelli nuovi, per esempio in Sud Africa. Qui dietro abbiamo proprio la carta dei diritti della costituzione Sudafricana. Abbiamo appena svolto a Johannesburg, in partnership con Constitution Hill, uno dei primi appuntamenti di creazione di voci su Wikipedia legati al sapere e alla cultura africana. Si sono prodotte più di 150 voci che in pochi giorni sono state visitate da oltre 100mila persone.
Il nostro programma WikiAfrica Education ha tra i suoi obiettivi quello di trasformare gli studenti da semplici ripetitori di conoscenze prodotte altrove a produttori di conoscenze e narrative create da loro stessi.
Si parla spesso di quella che l’emersione di una classe media in Africa. Più che altro ripercorrendo quello che si diceva prima di un nuovo mercato. Sicuramente una delle cose più interessanti all’interno delle esperienze che raccontate concerne il concetto di “pensiero critico” soprattutto in un mondo come quello africano che molto spesso è rimasto schiacciato da leadership molto forti a livello politico. Puntato molto sull’autoritas del potere. Quindi incoraggiare questo pensiero critico è un concetto molto ambizioso, ma anche molto interessante. Istruzione. Africa, Pensiero Critico. Come si crea pensiero critico?
Grazie per questa domanda. Prima stavamo parlando di cos’è per noi la creatività. La creatività passa proprio dal pensiero critico, dall’esplorazione e messa in crisi e in critica di status quo. Esattamente il percorso che si svolge nel workshop AtWork: un’immersione totale in un processo di messa in discussione di se stessi e del proprio contesto di riferimento. I primi due giorni sono dedicati a smontare i presupposti, le pre-idee, i pregiudizi che rendono prigionieri del pensiero dominante, delle leadership di cui parlava prima. Per esempio il tour di quest’anno di AtWork parte da questa domanda Where is South? Ciascuno dei partecipanti ha messo in moto percorsi critici e smosso questioni che, specialmente in alcuni contesti, sono molto costrittive.
Questi spazi vengono vissuti come luoghi sicuri nei quali affrontare tematiche anche delicate, come l’omosessualità.
C’è una struttura per esercitare questa attività?
Beh, c’è un contesto che garantisce una zona di sicurezza, un’area in cui la cornice creativa aiuta. Questi workshop li svolgiamo in partnership con realtà locali che hanno e offrono questa caratteristica. Musei, università, insomma ambienti predisposti più liberi in cui le persone possono aprirsi.
Dottoressa lei è di origine genovese, romana di adozione, figlia d’arte e sessantottina? Cosa ha mancato il '68?
Il 68 ha mancato quell’immaginazione al potere che si pensava come cambiamento sociale positivo. La creatività di allora si è portata dietro tante illusioni e alcune derive distruttive. Più pensiero critico ci sarebbe voluto! Una grande ventata di creatività ed energia che non ha prodotto le trasformazioni radicali che auspicava. Mi sento però di dire che tanti cambiamenti che oggi consideriamo come acquisiti sono in gran parte frutto di quel lavoro. Non si è trattato di una trasformazione solo di costume, ma è accaduto qualcosa di più profondo, per esempio relativamente al femminile, alla salute fisica e mentale, alle diversità e fragilità in ogni campo.
Siamo in un’epoca che passerà alla storia per aver riesumato le leadership forti, il fallimento della consapevolezza della collettività o il potere collettivo che si genera come lei anni fa ha generato la sua azienda. Qualcosa che viene condiviso. Orban, Putin, Erdogan, Trump e Salvini. C’è stata sicuramente una promessa mancata nel 68, tante cose perse per strada e altre recuperate. E’ così duro in questo tempo lavorare su concetti come team e collettività?
Eh sì, o quantomeno è contraddittorio. Questo discorso non può non misurarsi con alcune considerazioni relative alla tecnologia e a internet. Per 20 anni l’abbiamo interpretata come una pura espansione di libertà e condivisione, mentre oggi sembra più il regno dominato economicamente e culturalmente da pochi grandi player privati, e sul piano individuale sembra più che altro il palcoscenico di un divismo individuale irrefrenabile. Ciò non toglie che internet è anche un importante terreno di possibilità e condivisione. Tornando al laboratorio africano è interessante sperimentare li nuovi modelli. E’ quello un contesto in cui il tema della relazione è vissuto diversamente da quello che viviamo noi nei nostri paesi, ci sono possibilità di proposte diverse. Per esempio, stiamo sperimentando nel nostro piccolo una community che punta anche sul dono. Abbiamo una collezione di oltre 1300 taccuini donati: 300/400 donati dai più grandi artisti e pensatori contemporanei e un migliaio da giovani creativi da persone che, alla pari con i grandi, condividono questa staffetta creativa che gira il mondo, è visibile in rete, mette in moto energie e speranze.
Qualche nome?
Bili Bidjocka, Antonio Marras, Maurice Pefura, Sigur Rós, Marina Spadafora, Pascale Marthine Tayou, Pélagie Gbaguidi, Mwangi Hutter, Giorgio Vigna, Renzo Piano e molti altri. Loro, tanti altri e tanti giovani che del progetto ATWORK hanno recepito subito lo spirito.
Anche WikiAfrica Education è nuovo modello relazionale. Si tratta di una trasmissione di contenuti creati dal basso in contesti collettivi e di pensiero critico. Per essere approvato, un articolo su Wikipedia deve rispondere a certi criteri e passare una serie di vagli. I ragazzi che producono queste voci devono fare un lavoro di ricerca, devono scrivere e editare. Un modo in cui apprendere criticamente e collettivamente. Ecco come la creatività si intreccia con il pensiero critico.
Se fosse un politico sarebbe sponsor della democrazia diretta rispetto alla democrazia rappresentativa? In senso più classico, greco, non riferito a istituzioni con sedi a Milano eh.
Mi fa una domanda difficile. Non saprei rispondere. La democrazia rappresentativa è fortemente in crisi, ma non vedo grandi soluzioni alternative. Non sono una politica, infatti mi sento più a mio agio qui, in Fondazione.
Se penso alla Grecia classica mi piace la democrazia diretta se penso alla democrazia diretta delle piattaforme dominate dalle fake news ed haters no. E’ il sistema che non mi sembra convincente.
Per quanto riguarda i partner di progetto. Come si sente dal punto di vista della generazione imprenditoriale europea? La MF si sente sola in queste iniziative? O ci sono delle realtà europee con cui avverte empatia? Esiste una imprenditoria nuova? La vede?
Sì, la vedo. Ci sono cambiamenti in atto. Si stanno sviluppando nuovi modelli filantropici e nuove promettenti collaborazioni tra pubblico e privato. Milano poi sta crescendo bene, sta emergendo come possibile modello mettendo a frutto anni e anni di impegno. Non solo moda e design che danno energia alla città da diversi decenni, sta crescendo una diffusa cittadinanza partecipativa, un’attenzione condivisa alle periferie, un intenso associazionismo dal basso.
Lei si sente cittadina europea? Quali sono per lei i valori imprescindibili che i cittadini europei non dovrebbero mai abbandonare?
Sicuramente uguaglianza, fratellanza e libertà. Le vecchie parole d’ordine della Rivoluzione francese, tuttora buone - anche se adesso sembriamo in affanno su tutti e tre questi temi.
Moleskine nasce da una gita in barca. Che rapporto ha con il mare?
Il mare è un grande spazio di libertà, un elemento fluido che collega mondi e persone. Luogo dello scambio, dell’apprendimento, della possibilità di conoscere, di intrecciare culture diverse.
Sì, ecco, anche il tema dell’esplorazione mi ha sempre affascinato. Siamo appena tornati dall’esperienza Barcolana con UNHCR per portare un messaggio a favore della cultura del mare e delle sue imprescindibili leggi di soccorso e accoglienza. Fino al 24 novembre a Venezia, a Palazzo Querini, nell’ambito della 58a Biennale d’Arte, sarà possibile visitare la mostra “Where is South?”. L’esposizione a cura di Simon Njami per Moleskine Foundation è parte del progetto Rothko in Lampedusa realizzato da UNHCR e mette in mostra, accanto a opere di grandi artisti, i taccuini realizzati durante la tappa veneziana del progetto AtWork da 18 giovani artisti molti dei quali rifugiati o richiedenti asilo in Italia.
Quindi lo aboliamo il Decreto Sicurezza bis? Giusto?
Le leggi del mare sono tra le cose più sacre e imprescindibili. Ci sono delle assurdità che non possono trovare spazio nemmeno di fronte a quelle che sono da alcuni definite invasioni o emergenze.