Tecnici o politici? Un déjà vu tutto italiano

Tecnici o politici? Un déjà vu tutto italiano

Intervista di Antonella Vitelli, 3 febbraio 2021

Ancora una volta il grande dilemma. Di nuovo. Tecnica o politica? Principio democratico di rappresentanza o trionfo delle competenze? Questo dualismo sembra sempre più una spada di Damocle sul nostro Paese. Dopo Ciampi e Monti arriva Mario Draghi. Tecnico, super tecnico, di grande caratura internazionale. Ex Presidente della Banca Centrale Europea nonché uno dei migliori allievi di Federico Caffè che ripeteva come un mantra Non lasciare soli quelli che restano indietro. Ma chi è Mario Draghi? Ma soprattutto basta il suo solo pedigree a sollevarci, ancora una volta, dalla domanda delle domande: “Allora a cosa serve la politica?”. In che cosa si è trasformata e dove è finito quell’orizzonte di slancio verso il futuro, verso la progettualità, verso ciò che ancora non è che spetterebbe ai suoi esecutori? Tecnica e politica. Democrazia e aristocrazia. Dove siamo e perchè questo quadro sembra tutt'altro che un inedito? Ne abbiamo parlato con il Professor Lorenzo Castellani della Luiss Di Roma e autore de L' ingranaggio del potere, libro nel quale l’autore analizza quanto il principio di competenza ha eroso gli spazi e le responsabilità recati dal principio democratico; la tecnica e la politica si sono progressivamente sovrapposte o scalzate come sta accadendo in queste ore con l’avvento sulla scena politica di Draghi. 

Professore le parole chiave di questa giornata non hanno a che fare soltanto con dei nomi o meglio con il nome di Mario Draghi, ma al centro del dibattito c’è ancora una volta il ruolo della politica? Arrivano di nuovo i tecnici e sembra che la politica abbia nuovamente abdicato. Tecnica e politica, principio democratico della rappresentanza da un lato e approccio tecnocratico della competenza. un punto focale del suo ultimo libro. Scene già viste?

Si indubbiamente in Italia c’è una tradizione specifica nel ricorso ai Governi tecnici. C’è già in atto una tendenza globale di richiesta di competenze nelle istituzioni ma la tipicità italiana al riguardo ha tanto da insegnare. L’abbiamo visto con Ciampi nel '93, poi con Monti anche in questo caso si trattava di un’emergenza anche se di tipo diverso. Il Governo Monti nasceva sempre a seguito del fallimento della politica, ma con lo scopo di rispondere con riforme severe, le famosissime “riforme lacrime e sangue” a delle richieste e pressioni europee legate alla stabilità. 

Qui non ci sono state pressioni? 

Qui diciamo che sembra essere avvenuta una correzione del sistema più interna, nella quale i partiti si sono resi conto di non poter andare avanti. Mancava un vero accordo per gestire una situazione diversa. Con Monti bisognava tagliare, qui si deve spendere e spendere bene. C’è da decidere da quali settori partire, quanto destinare, come rilanciare l’economia. Insomma il sistema sembra si sia auto corretto da solo. 

E la democrazia? Da quel che dice e che vediamo viene fuori una democrazia come sistema politico relegato ai tempi di pace. Normalmente la politica va avanti su slanci e progettualità e la tecnica su quella che è comunemente denominata gestione degli affari correnti? Qui sembra il contrario. Appena c’è l’eccezione e si superano gli affari correnti la politica abdica. Cosa ne pensa?

Si la politica italiana appare in difficoltà a gestire le situazione di emergenze e di eccezione. Nel fronteggiare gli imprevisti non riesce ad andare avanti. Interessi contrapposti, veti, mancanza di leadership e la tendenza delle persone più capaci a guardare altrove sono alla base dell’abbandono politico e dell’incedere tecnico. 

I tecnici sono i nuovi  áristoi

Si per molti aspetti si, possono essere  áristoi od oligarchi. Nel senso che le due cose sono molto vicine. E’ evidente che i tecnici accedono al potere per sostituire la politica su competenze e esperienze professionali. Nel caso italiano essendo l’Italia un paese con priorità economico finanziario la scelta ricade sempre su personalità di tipo economico e finanziario.

Gli áristoi erano gli aristocratici di Atene. Il concetto di aristocrazia implica un dominio di pochi sulla massa che si esercita per una gerarchia naturale o acquisita di valori o meriti personali tra i membri di una collettività. Il senso etimologico greco del termine designa per esempio ne la Politica di Aristotele una forma di governo nella quale, a differenza della democrazia e monarchia il potere è affidato ai “migliori” (áristoi), individuati tra i cittadini in base a una riconosciuta superiorità intellettuale e morale senza distinzione di nascita o di fortuna. 

Cosa intende per tecno democrazia e se Mario Draghi riuscisse a formare un governo sarebbe un caso di tecno democrazia?

Si assolutamente. Avremmo in tal caso un sistema per larga parte fondato su Parlamento e partiti a cui si sommerebbe un governo tecnico. Draghi porterà sicuramente nel gioco i suoi simili, dei tecnici, ma la palla resta ancora in mano al Parlamento, ai leader di partito, con tutte le debolezze che ne conseguono. L’integrazione è palese soprattutto in Italia. In altri paesi i tecnici sono Ministri o personalità influenti che ruotano attorno al Governo, in Italia in queste ore si è assistito ad una vera e propria sostituzione. L'ennesima, aggiungerei.

Lei parla di democrazia e tecnocrazia come fenomeni sviluppati all’interno della profonda interazione tra Stato e Capitalismo. Si è creato in buona sostanza un “sistema organizzato” in cui l’avvento dei tecnici appare come una “rivoluzione silenziosa”. 

In duecento anni il capitalismo ha chiesto più management e stabilità. Il capitalismo quindi i mercati cercano stabilità, non sorprese dal punto di vista della gestione. Ovviamente il capitalismo stesso crea aristocrazie. Draghi è tecnico ma è anche uomo che arriva dal mondo bancario e finanziario, quindi è un prodotto dell’ordine capitalistico e quell’ordine in lui ritrova sicuramente un forte fattore di stabilizzazione e affidabilità.

Negli anni il termine “tecnico” è stato sicuramente percepito dai cittadini come negativo e invasivo. Questo disagio sostanzialmente porta con sé due considerazioni: la prima concerne il controllo.  Mentre la politica può essere bene o male sottoposta al controllo da parte degli elettori, la tecnocrazia ne è esente. La politica dà uno slancio all’azione, la tecnocrazia sembra occuparsi sono della gestione, come se si trattasse di affari correnti. Questo stato di cose  cosa comporta? Ha a che fare con il rapporto che descrive nel suo testo tra pensiero tecnocratico e nichilismo politico?

Nichilismo politico è proprio questo. Essere capaci di immaginare un orizzonte per la società è il compito della politica. La tecnica dovrebbe occuparsi delle procedure e dei mezzi, ma come abbiamo visto questo  meccanismo si è rotto. La politica appare: priva di ideologia, dominata dal mediatico e non lavora più sugli orizzonti e quindi si scivola in una situazione quasi teatrale senza reali leve di potere. Dall’altra parte la tecnica è diventata più politica nel senso che grandi burocrazie, banche centrali e governi tecnici questi orizzonti spesso e volentieri li hanno fissati, seppur nascosti vengono delineati. Questo ancor di più in paesi come Italia. 

Professore come si fa a tenere assieme merito e democrazia? Storicamente abbiamo delle casistiche interessanti. 

Tecnica e politica hanno sempre convissuto e le società sono così complesse in cui non si possono eliminare i tecnici. L’importante è avere un sistema in cui da un lato le funzioni della politica siano di rappresentanza locale, nazionale e sovranazionale e dall’altra parte ci siano i tecnici che regolano settori e funzioni specifiche. Quando tecnica sostituisce la politica si entra in un corto circuito. L’abbiamo visto in tante  società occidentali contemporanee. Basta pensare a Trump, alla Brexit e ai nostri governi tecnici. Senza dubbio la rappresentanza attraverso i parlamenti è entrata in crisi. 

Come sarà secondo lei l’Italia di Mario Draghi?

Se ci sarà un Governo Draghi c’è da capire come sarà. Sarà solo tecnico? Con quale maggioranza? Io penso che Draghi porrà due piano di azioni: uno centrato sull’attuazione del Recovery fund con un forte legame nell'organizzazione della sanità. Le due cose si tengono assieme: sanità e economia. E uno focalizzato in una cornice europeista dove farà sicuramente valere la sua credibilità e capacità di contrattazione. Draghi credo che sarà un Premier severo, risoluto, ma anche benevolo. 

L’Austerity è passata di moda, per fortuna. 

Si non c’è stato uno shift ideologico, ma è accaduto per forza di cosa. Draghi dieci anni fa con il suo "Whatever it takes" ha segnato un passo importante per l’interventismo statale. 

Il 26 luglio 2012 Mario Draghi, capo della Banca centrale europea, pronuncia celebre frase “whatever it takes”, traducibile in italiano con “costi quel che costi” o “a ogni costo”. L’espressione entra nella Treccani, ma soprattutto apre un altro orizzonte che non aveva precedenti nella pratica europea fino ad allora attenta solo alle dinamiche dei conti e della spesa. “whatever it takes” ancora oggi rappresenta una rassicurazione per quel figlio che va spesso e volentieri salvato da se stesso e che chiamiamo Europa o euro.

Lo possiamo definire un Keynesiano? 

Di certo come allievo di Federico Caffè può essere definitivo un keynesiano a patto che con keynesismo non si intenda rilassamento eccessivo delle finanze pubbliche. Draghi può essere un'ottima risorsa, c’è da chiedersi se la politica reggerà. 

Federico Caffè era un professore, allievo di Luigi Einaudi e definito “il più keynesiano degli economisti italiani”. Fu uno dei principali diffusori della dottrina keynesiana in Italia, occupandosi tanto di politiche macroeconomiche quanto di economia del benessere. Al centro delle sue riflessioni economiche ci fu sempre la necessità di assicurare elevati livelli di occupazione e di protezione sociale, soprattutto per i ceti più deboli. Da oggi entra nel dibattito anche perché Maestro e mentore di Mario Draghi

Il Ministero dell’economia sarà ad interim

Potrebbe tenerlo per se’. Il problema vero e’ che Draghi può stare al Governo un annetto poi c’è l’elezione del Presidente della Repubblica e si andrà al voto. C’è da chiedersi cosa si può fare in un anno? Decreti e regolamenti. Difficile fare grandi leggi di riforma. Draghi potrebbe fare provvedimenti di emergenza poi tutto il resto può impostarlo ma nel 2023 la sua realizzazione toccherebbe alla politica e con quello che abbiamo visto non è proprio rassicurante. 

Draghi lo vedo in antitesi alla politica dei bonus. Professore cosa ne pensa?

Penso che Draghi abbia idea chiara su ciò che vuole fare e cosa si può fare. Penso alle grandi aziende pubbliche e private a cui consegnare parti di Recovery. Spingere i risparmi italiani verso aziende italiane e non circuiti generici finanziari, una grande questione mancata della politica. 

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