Trump o Biden? Lotta all'ultimo voto per l'America che verrà

Trump o Biden? Lotta all'ultimo voto per l'America che verrà

Intervista di Antonella Vitelli, 5 novembre 2020

Il Professor Massimo Teodori è uno dei più autorevoli esperti degli Stati Uniti d’America. 

Professore ordinario di “Storia e istituzioni degli Stati Uniti”, ha insegnato in università italiane e americane. Parlamentare radicale dal 1979 al 1992, noto per le battaglie laiche e contro la corruzione. Tra i suoi libri, ricordiamo: Ossessioni americane. Storia del lato oscuro degli Stati Uniti (Marsilio, 2017); Obama il grande (Marsilio, 2016); Storia degli Stati Uniti e il sistema politico americano (Mondadori, 2004) e, dal 20 maggio in libreria, Il genio americano. Sconfiggere Trump e la pandemia globale (Rubettino, 2020).  Ha vinto numerosi premi ed è stato insignito, primo in Italia nel 2004, della Menorah d’Oro per avere ideato e realizzato l’Israele Day. Oggi, 5 novembre, l’abbiamo intervistato per capire di più su ciò che sta accadendo negli Stati Uniti, per immaginare coerentemente nuovi scenari che ormai sembrano imminenti. 

Professore tra poche ore potremmo avere il nome del nuovo Presidente degli Stati Uniti. Trump parla di brogli e Biden invita alla calma parlando già come un Presidente. Perché dopo quasi 3 giorni ancora non abbiamo un nome, ma soprattutto cosa c’è di vero, se c’è qualcosa di vero, dietro le parole molto pesanti di Donald Trump?

Bisogna aspettare tutti i voti che arrivano per posta, perchè con questi si decidono alcuni Stati. L’enorme quantità del voto postale, per la precisione cento milioni, ben oltre i tre quinti dell’affluenza che ci si aspettava, può dare a Trump il pretesto per mandare all’aria lo scrutinio. Così facendo la questione potrebbe essere rinviata alla Corte suprema, che dopo la nomina di tre giudici vicini al Presidente, è di prevalenza conservatrice.  

Durante queste elezioni sono andati a votare intorno al 65% degli aventi diritto.

Lo scontro tra le due Americhe,  non è solo politico, ma riguarda anche il modo di pensare e di vivere. Due elettorati a confronto. Quello urbano, colto, liberal e della minoranza nera stanco ormai del trumpismo e quello tradizionalista, di età non giovane, evangelico fondamentalista avverso al multiculturalismo e alla società aperta. Una polarizzazione importante che ha aumentato senza dubbio l’affluenza elettorale. 

C’è da dire che nella tradizione delle elezioni presidenziali americane è sempre il perdente che dichiara di essere stato sconfitto e legittima colui che ha vinto, ma sappiamo che questo con Trump non accadrà. Andrà avanti con dei ricorsi ben precisi. 

Questo cosa vuol dire in termini tempistici?

La Costituzione americana dice che entro l’8 dicembre devono essere espressi i Grandi elettori, i quali devono riunirsi, come espressione dei singoli Stati, il 14 di dicembre e nominare il Presidente. Questo secondo la Costituzione, ma non sappiamo con certezza cosa accadrà. 

Professore sembra che non ci sia un vero vinto e un vero vincitore, al di là di come andranno le cose. La fallimentare gestione della pandemia Covid 19 da parte di Trump avrebbe dovuto dare un risultato immediatamente più netto. Da un lato. Dall’altro la storia americana insegna che una seconda opportunità si dà a tutti, o quasi. Lo scontro è radicalizzato, ma l’America sembra divisa equamente.

Le elezioni americane si concludono sempre con dei margini molto stretti. Raramente si sono verificati casi di vittorie schiacchianti, anzi due. La vittoria di Lyndon Johnson nel 1968 e la vittoria di Ronald Regan nel 1990. 


Destra e sinistra. Repubblicani e dem. Salute e lavoro. Negli States, ma anche in Europa la pandemia ha creato una dicotomia tra salute e lavoro. Questa volta però il tema del lavoro sembra essere di appannaggio della propaganda di destra. Le forze progressiste pagheranno nel prossimo futuro questa “apparente” incomprensione del popolo?

Trump ha battuto sull’economia insistendo sulle limitazioni e le pesanti conseguenze su lavoro e stabilità lavorativa nel caso di vittoria di Biden, che come accade in Europa per le forze moderate e progressiste, appare più sensibile e attento alla tematica della salute. 

Se vincesse Biden come cambierebbe la politica estera degli Usa. Tornerebbe ad avere importanza il nodo dell’internazionalismo, fondamentale nella politica Usa ma messo in discussione dalla Presidenza degli Stati Uniti?

 

Certo che con la vittoria di Biden gli equilibri e rapporti con l’Europa sarebbero ristabiliti così come non li vediamo dall’elezione di Trump. Trump ha puntano sul nazionalismo, sull’America first e ha sempre guardato con disprezzo le strategie e le politiche multinazionali, a iniziare dalle Nazioni Unite. Se prevarrà Biden sicuramente si riallacceranno i rapporti transatlantici e con essi i trattati multinazionali a cominciare da quello sul clima. 

E la Russia e la Cina? Con chi stanno?

E’ risaputo che Putin ha un rapporto di carattere finanziario, personale e commerciale con Donald Trump e non è azzardato pensare che a lui convenga Trump. 

La Cina invece? Quanto conviene al colosso cinese un rinnovato rapporto di sinergia tra America ed Europa?

Il rapporto con la Cina è di natura diversa. La Cina resta sempre il secondo maggior creditore straniero degli Stati Uniti. O antagonista o partner gli Usa non possono prescindere da questa relazione. Non possono prescindere da ciò che accade e che accadrà nel Pacifico.
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