Intervista di Antonella Vitelli, 8 novembre 2020
Come sarà l’America di Joe Biden? Quali cambiamenti in politica estera ed interna vedremo nei prossimi anni? Si tratta di un cambio di passo solo diplomatico, di modi, e quali saranno le implicazioni nei rapporti con l’Europa e la Cina? Ma soprattutto Biden sarà capace di conciliare le istanze che arrivano dall'establishment repubblicano e dem e sedare ciò che attualmente si trova sulle sponde estreme: trumpismo e sinistra più radicale? A poche ore dalla vittoria dem "unire" e "guarire", come ricorda Kamala Harris, sembrano le parole chiave del nuovo corso.
Cosa accadrà negli Stati Uniti? Come cambieranno la sanità, le politiche per l'immigrazione, le politiche per il clima e il fisco? Se cambieranno, ma soprattutto con una magistratura piena di persone nominate da Trump e un senato controllato dai repubblicani e guidato Mitch McConnell come si eserciterà il cambio di passo rispetto ai quattro anni precedenti? Ne ho parlato con il Professore Pietro Paganini, Professore Aggiunto alla Fox School of Business della Temple University of Philadelphia, è Professore Aggiunto in Business Administration alla John Cabot University di Roma.
Biden è il nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America. Appare evidente che gli Usa, dopo la parentesi trumpiana, possono tornare ad assumere un ruolo di “arbitrato” del sistema internazionale. Possiamo dire che è il primo sostanziale cambiamento di passo?
Cambierà molto certo. Biden è un veterano di Washington. La sua carriera inizia a 29 anni, nel 1972, quando fu eletto per la prima volta come senatore federale in rappresentanza del Delaware. Fu riconfermato per ulteriori sei mandati consecutivi fino ad assumere, nel 2009, le funzioni di vicepresidente sotto l'amministrazione di Barack Obama.
Il nuovo Presidente si troverà di fronte ad un Senato a maggioranza repubblicano e questo porterà la politica al centro, in una mediazione e una ricerca di equilibrio tra Trump e la sinistra estrema, tra le richieste dem e repubblicane. Biden in Italia non sarebbe neanche nel Pd. E’ difficile immaginare la politica pensando non agli schieramenti, ma ai singoli problemi, issues che negli Stati Uniti hanno una certa valenza. Dalla flat tax alle maggiori tutele per i riders l’esito e gli schieramenti in campo non sono mai scontati come dimostrano molti dei referendum che si sono svolti in questi anni in numerosi stati americani.
Quella americana è una grande democrazia, fortemente polarizzata, ma è grande perché non è ideologica. Lavora di volta in volta su singole questioni, su singoli problemi come dicevo prima.
Dal punto di vista della politica interna cosa accadrà nella politica fiscale e sanitaria del paese?
La politica interna sarà molto moderata. Sarà difficile toccare la riforma fiscale e sanitaria con il costante fardello del “compromesso”. Biden non è un democratico liberal, ma un dem conservatore diverso dai giovani e da personaggi come Sanders. Di certo eredita una situazione economica molto complessa dovuta prevalentemente alla pandemia, ma molti anche nei dem non screditano del tutto le politiche economiche del Presidente uscente.
Biden, infatti, più volte ha affermato di voler far tornare l’America “leader del mondo libero”, e di voler cancellare questi quattro di catastrofica politica internazionale. Certamente Biden propone una politica più inclusiva del suo predecessore. Cosa cambierà in politica estera?
In politica estera cambieranno sicuramente i toni, i rapporti con l’Iran, con Israele, ma a parte questo non vedo cambiamenti nei rapporti con paesi come la Cina.
Biden infatti ha più volte riconosciuto la necessità di “essere duri” nei confronti di una Cina che mediante pratiche scorrette, rischia di intaccare il settore high tech e della proprietà intellettuale americana.
Nessuno, neanche Biden, può permettersi di mettere in pericolo l’industria americana a cospetto delle violazioni cinesi. Non ci sarà sicuramente lo scontro sui dazi, ma Biden da uomo politico che deve portare risultati in patria non può allontanarsi troppo da una politica decisa e dura verso il colosso cinese.
Sul Covid cambierà sicuramente la percezione dell’emergenza.
Si, sarà interessante capire come la nuova presidenza si rivolgerà alla Cina. Trump parlava in base a rapporti precisi dell’intelligence americana, c’è da capire come si relazionerà Biden in questo campo.
Fisco, sanità, immigrazione e ambiente. Quattro punti essenziali sui quali giocarsi identità o differenza. Ecco, da punto di vista della sicurezza nazionale e immigrazione prevede un cambio di passo?
Un cambio di passo non così radicale. In Florida molte fette di latino-americani hanno sostenuto Trump perché non sono poveri immigrati ma gente che crede nel sogno americano e crede in Trump più che in Sanders. Trump ha perso il voto dei moderati pensi Arizona, ai Bush, alla moglie di McCain. La domanda oggi è anche chi prenderà quell'eredità a Washington.
Non vedo Trump ripresentarsi tra 4 anni, non perché non sia un combattente, ma è un uomo di spettacolo, non costante e ha diversi milioni di voti. E’ affascinante l’ipotesi di vedere la prossima tornata la candidatura di Ivanka che per tanti aspetti rispecchia il sogno americano. Imprenditrice, donna, madre.
Dal punto di vista delle politiche del clima ci sarà sicuramente un cambio di passo importante. Gli Usa rientreranno sicuramente a svolgere un ruolo chiave nell'accordo di Parigi anche se il paese resta legato a doppio filo al petrolio e al fonti energetiche tradizionali.
Qual è la sfida più grande che ha davanti Biden?
Sicuramente quella di unire un paese frammentato tra trumpismo e l’estremismo di sinistra. L'establishment è chiamato a dare delle risposte e a rappresentare al meglio i cittadini davanti ai grandi cambiamenti. Sostanzialmente ciò che abbiamo visto nelle ultime 3 settimane in altri posti del mondo. Ovunque sussiste questa sfida.
Biden sarà capace di rispondere alle necessità dei cosiddetti forgotten come li definiva Trump, sarà capace di sedare una rabbia crescente per evitare che questa vittoria sia una vittoria di Pirro?
Da qui poi c’è la questione della squadra che Biden dovrà tirare su. Dovrà comporla pensando che i repubblicani avranno due uomini in più e il 5 gennaio ci saranno i ballottaggi in Georgia dove, si prevede che uno dei due seggi vada proprio ai repubblicani. Saranno 4 anni di grandi sforzi di mediazione, ma mi auguro anche di coesione. Vedremo cosa accadrà dal 20 gennaio 2021, data prevista del suo insediamento alla Casa Bianca come 46º capo di Stato.