Antonella Vitelli, Torino, 7 novembre 2019
The problem is one of politics: can we, and will we, adopt the politicies that ensure that we can achieve shared prosperity?
Felici pochi, infelici molti diceva Elsa Morante. Felici pochi, infelici molti, sempre di più direbbe Stiglitz. Negli ultimi anni, le crescenti disuguaglianze economiche hanno soffocato il "capitalismo dinamico" così aumentando la forbice di divario sociale tra la popolazione. Una piccola parte di popolazione, l’1% ha prevaricato il 99% della società. Questo stato di cose è dovuto soprattutto ad un grande equivoco: quello che i mercati da soli possono auto-regolamentarsi ed esprimere un benessere collettivo.
Quello della disuguaglianza è uno dei temi chiave di Joseph Stiglitz, saggista americano e Premio Nobel per l’Economia nel 2001. Innovazione, uguaglianza, futuro sono stati i temi affrontati dal professor Stiglitz durante la lectio tenutasi al Politecnico di Torino in occasione dell’apertura del Festival della Tecnologia.
Ad un certo punto è passata l’idea che abbassando le imposte, liberalizzando e incentivando l’economia le persone avrebbero potuto esprimere la loro creatività così generando una rapida crescita economica.
Una previsione fallita, poiché c’è una falla importante in quella che è la distribuzione della conoscenza. Negli USA i ricchi accedono alle migliori scuole ed università, la working class no. Intrappolata in un sistema di irredimibile mediocrità non fa alcun scatto in avanti. In questo quadro, come afferma Stiglitz, c’è una notizia positiva: se la disuguaglianza è il risultato delle nostre azioni, possiamo modificare le regole e invertire la rotta. Come? Per prima cosa dobbiamo ristrutturare la nostra economia in modo da poter generare una maggiore equità e una maggiore condivisione dei vantaggi delle tecnologie ed evitare così l’accrescimento delle disuguaglianze che possono essere di reddito, di ricchezza, sanitarie, di opportunità, ma anche tecnologiche. La conoscenza deve essere usata per salvare il pianeta non per creare più disoccupati. Invece:
Da un punto di vista economico, le innovazioni tecnologiche generano già differenziali salariali e contribuiscono a polarizzare il mercato del lavoro.
A professionalità ad alto valore aggiunto che richiedono l’utilizzo di competenze tecnico-specialistiche si associano retribuzioni economiche molto più elevate rispetto a lavori a basso contenuto di conoscenza. Quindi ci troviamo di fronte a persone con elevate conoscenze che saranno i veri protagonisti del futuro, dall’altro lato assistiamo all’erosione della classe media con l’impiego di una tecnologia che automatizza proprio quei lavori.
Ma come si vince la sfida della disuguaglianza? In questo quadro appare chiaro da subito quanto è determinante la formazione e la conoscenza, ma ancor di più quanto è determinante la capacità delle politiche pubbliche nell’indirizzare nuovi modelli formativi personalizzati e capaci di non lasciare indietro nessuno. Welfare state, protezione sociale e una tassazione capace di colpire i monopoli e le grandi rendite che si dimostrano, a differenza di quanto si è sempre creduto, capaci di resistere ai cambiamenti sociali. In parole povere si deve disincentivare l'innovazione che favorisce la rendita.
Possiamo progettare politiche che permettano a tutti di avere vantaggi dall'innovazione, di stare meglio.
In People, Power and Profits, l’ultimo libro di Stiglitz che uscirà a maggio in Italia con Einaudi si riassumono in poche parole i mali di oggi: bassa crescita, ineguaglianze, stagnazione dei redditi. Tutto questo arriva da lontano, dalla Reagan economics, dalle politiche del laissez faire. Ma soprattutto Il Nobel esprime un giudizio netto sui banchieri che hanno causato la crisi del 2008. Questi non hanno pagato per le loro colpe. Così anche le grandi corporation che tramite l'elusione fiscale hanno danneggiato il tessuto sociale.
Stiglitz traccia un manifesto per il capitalismo progressista.
"Le politiche pubbliche devono pensare a soluzioni utili ad indirizzare nuovi modelli formativi capaci di costruire nuovi bagagli di competenze in grado di soddisfare la domanda di lavoro dell’era digitale, in una logica di lifelong learning, e di favorire l’inclusione dei giovani nel mercato del lavoro".
Abbiamo bisogno di riscrivere le regole che sottendono al funzionamento della nostra società. Abbiamo bisogno di rendere il sistema meno attento al denaro, ma più sensibile ai diritti delle persone”.
Cosa vogliamo essere, cosa vogliamo diventare si chiede Stiglitz. Per spiegarsi meglio cosa non dobbiamo diventare cita il documentario Around the world. Un lavoro incisivo sui pericoli e le promesse della globalizzazione che fa un giro del mondo a partire dalla città natale di Stiglitz: Gary in Indiana.
Stiglitz spiega che i governi che sono consapevoli dei potenziali pericoli per i mercati liberi, il degrado ambientale e i limiti del libero scambio possono scegliere un percorso che funzioni per loro e che alla fine andrà a beneficio di centinaia di milioni di persone in tutto il mondo.
Così scrive Stiglitz su Project Sydacate di qualche giorno fa.L'unica strada da percorrere, l'unica via per salvare il nostro pianeta e la nostra civiltà, è una rinascita della storia. Dobbiamo rivitalizzare l'Illuminismo e raccomandare di onorare i suoi valori di libertà, rispetto per la conoscenza e democrazia.