Intervista a Stefano Feltri, a cura di Antonella Vitelli
Se c’é un tema costante della nostra contemporaneità sicuramente é quello della gestione delle emergenze. Emergenze che spesso si sovrappongono e si intervallano tra loro in alti e bassi con cui dobbiamo fare i conti a seconda dei momenti. La pandemia, l'instabilità geopolitica e il cambiamento climatico comportano, necessariamente, un ripensamento del nostro modo di intendere la politica economica che deve abituarsi e prepararsi a crisi, emergenze e shock ciclici. In questi mesi la preoccupazione è data dall’inflazione o più semplicemente dalla perdita del nostro potere d'acquisto nel tempo.
L’inflazione é definita anche “tassa iniqua” perché non colpisce tutti allo stesso modo e generalmente colpisce in maniera differente le persone povere e le persone ricche. I primi concentrano le loro spese su prodotti dei quali difficilmente si riesce a fare a meno come cibo, casa, riscaldamento. Questo li rende più esposti all’aumento dei prezzi così allargando la forbice delle diseguaglianze.
L'aumento dell'inflazione è purtroppo un fenomeno globale: ad agosto dello scorso anno nell'area dell'euro l'inflazione è arrivata al 9,1%. A luglio negli Stati Uniti era pari all'8,5%. Per non parlare della Gran Bretagna che solo nello scorso febbraio ha visto un aumento dei prezzi del 10,4% rispetto all'anno precedente. In Gran Bretagna le elevate bollette energetiche delle famiglie, la crescita dei salari rimasti molto indietro rispetto all'inflazione e il cibo più costoso e altri beni essenziali hanno contribuito a un forte calo del tenore di vita. La Banca d'Inghilterra è stata la prima grande Banca centrale ad iniziare ad aumentare i tassi di interesse nel dicembre 2021, a causa del rapido aumento dei prezzi dell'energia. Da allora, ha alzato i tassi di quasi quattro punti percentuali nel tentativo di impedire che l'inflazione elevata si insinuasse nell'economia. Una strategia quella dell’aumento dei tassi di interesse condivisa anche dalla Banca Centrale Europea e dalla Fed americana. Questo tasso influenza indirettamente gli interessi che poi le banche applicano tra di loro e ai clienti privati. Le banche centrali come la BCE usano le variazioni del tasso per influenzare l’economia di un paese, cercando di stimolare la crescita e mantenere la stabilità.
Quando si alzano i tassi di interesse, aumenta il costo del denaro e di conseguenza si scoraggia l’accesso al credito. In questo modo circola meno valuta e l’inflazione tende a diminuire. Pena? La pena da pagare concerne il trasferimento di una parte di queste tariffe più elevate dalla banca ai clienti che riduce potere di acquisto di imprese e consumatori rendendo quindi più costoso prendere in prestito denaro per acquistare un’auto o una casa. Quindi chiedere un mutuo o un finanziamento sarà più costoso, altresì salendo i tassi di interesse saliranno anche i rendimenti dei depositi bancari con la conseguenza che conviene tenere fermi i risparmi in banca il che significa meno moneta in circolazione e meno moneta in circolazione porta ad una riduzione dei consumi da parte dei cittadini e quindi a una minor inflazione.
Quindi ci guadagna chi ha più risparmi e ci perde chi spende la maggior parte ci ciò che ha in beni essenziali. Da qui è facile comprendere in che modo l’aumento dei prezzi può incidere sull’uguaglianza e il benessere diffuso in un paese. La questione è complessa e sembra che navighino a vista anche coloro che a quest’ora dovrebbero avere una strategia chiara. C’è chi evoca un aumento ancor più importante dei tassi di interesse e chi dice che la soluzione potrebbe essere nel blocco dei prezzi. Può funzionare? Qual è la difficoltà di quest’ultima strategia? E qual è il motivo per cui numerosi attori economici sembra stiamo aspettando con ansia l’arrivo della recessione? Ma soprattutto l'inflazione può essere un'opportunità per le politiche di sinistra?
La recessione Godot, neologismo del Wall Street Journal, per indicare una recessione annunciata, da molti mesi come conseguenza della guerra in Ucraina e delle sanzioni contro la Russia, che non arriva mai.
Ne abbiamo parlato con Stefano Feltri, Direttore del Domani e autore del libro Inflazione. Cos'è, da dove viene e come ne usciremo, edito da Utet e in libreria da oggi, 28 marzo.
Stefano é uscito il tuo libro sull'inflazione. Complimenti per il tempismo.
Si come sempre per i libri di saggistica c’è questa grande domanda se quello di cui ti inizi ad occupare sarà ancora rilevante quando avrai finito di scriverne ed io ero partito molto ottimista pensando che fosse un libro che raccontasse una storia che si stesse quasi chiudendo e ho finito in modo più pessimista pensando che invece quello che avevamo visto era il segnale che nel fondo ci fossero degli squilibri nell’economia, quantomeno molto forti. Non mi sbilancio in previsioni però sembra una storia complicata.
Inizierei chiedendoti quanto pesa l’inflazione sull’instabilità finanziaria e in che modo ha avuto un ruolo, se l’ha avuto, sulle recenti vicende di Silicon Valley bank e Credit Suisse?
L’inflazione pesa per tante ragioni, una è che essa stessa è un fattore destabilizzante per l’economia perché rende impossibile gestire i rapporti col tempo. Cioè se il denaro oggi vale meno o di più tra 6 mesi o un anno tutti dedicheranno un enorme quantità di energie, risorse ad avere un maggiore aumento di stipendio o di prezzo, questo in un capitalismo che si fonda sulla prevedibilità delle azioni degli agenti economici è un problema. Ma c’è un altro problema che ad un certo punto le Banche centrali e i governi devono intervenire per arginare l’inflazione. Quello che succede di solito si tira il freno a mano nell’economia, cioè si riduce la domanda aggregata quindi si rendono le persone più povere alzando il costo del denaro e questo genera una recessione. Questa tensione costante tra il timore della recessione e la necessità di fare qualcosa per l’inflazione ha dominato i mercati finanziari nell’ultimo anno fino ad arrivare al fatto che quando le banche centrali hanno iniziato ad aumentare i tassi di interesse chi aveva scommesso sul fatto che questo momento non sarebbe mai arrivato ha iniziato a pagare il conto.
Come ricordi c’è un tema speculare all'inflazione ed è quello della recessione. Il Wall street journal ha parlato di “recessione Godot” per indicare una recessione annunciata che non arriva mai. Quindi meglio la recessione dell’inflazione?
Questa è una bella domanda. diciamo che per tutto il ventesimo secolo si è pensato che la politica economica fosse una scelta tra l’avere più disoccupazione, quindi recessione/disoccupazione o più inflazione. Si trattasse quindi di scegliere il giusto mix, prima delle elezioni meglio avere più inflazione, ma poi però ad un certo punto devi gestire pure la disoccupazione. Poiché le cose che si fanno contro le inflazione non sono sufficienti l’economia continua a crescere e leggiamo di occupazione record perché gli interventi fatti sull’inflazione sono stati modesti con l’obiettivo di fare quello che in gergo è detto atterraggio morbido cioè di uscire dall’inflazione senza precipitare in una recessione. Stiamo venendo che non stiamo uscendo dall’inflazione e ci sono tanti rallentamenti, è finita la crisi energetica, ma tutta una serie di dinamiche sono rimaste molto forti e l’inflazione è ancora all’8% nell’eurozona. Qualche lieve miglioramento, ma anche tanti segnali che sta passando dall’energia ad altri settori come i servizi. Quindi non stiamo uscendo dall’inflazione.
Una delle voci più interessanti nel panorama economico contemporaneo è sicuramente quella della Professoressa Elisabeth Weber dell’Università del Massachusetts, conosciuta anche come la donna che ha inventato il tetto al prezzo del gas. La Weber parla di impraticabilità della politica di aumento dei tassi di interesse, ma con in mente l’esempio della Cina parla della necessità di frenare le spinte inflazionistiche mediante un controllo strategico dei prezzi. Uno schema che in paesi come l’Austria e la Germania ha fatto tanto discutere. Ad esempio in Austria è stato applicato ai prezzi dell’elettricità, in Germania il governo ha istituito una commissione per valutare tale tetto massimo del prezzo del gas per i consumi essenziali. Cosa ne pensi? Alzare i tassi o bloccare i prezzi?
No, il blocco dei prezzi non funziona per delle ragioni semplici. Se noi decidessimo di bloccare ad esempio il prezzo, aveva provato Nixon, della carne quale prezzo blocchi? Quello al dettaglio, all’ingrosso, quello scontato. Complicato. Viceversa su prezzo di gas e dintorni richiamano ad un’altra questione. Noi siamo in un mondo in cui i prezzi non sono dominati solo da domanda, offerta, da costo del denaro ma da come è costruita la società nella quale i beni vengono scambiati. Ad esempio salgono i prezzi, sale l’inflazione, sale il costo del denaro ma salgono anche i margini per le imprese. Cosa vuol dire? Vuol dire che ci sono imprese ad esempio che stanno guadagnando dall’inflazione perché hanno abbastanza potere di mercato da trasferire i rincari sui consumatori. Alzano tanto i prezzi, la domanda si riduce poco e loro aumentano gli utili. Questo non lo può risolvere la Banca centrale ma i governi. Vuol dire fare azioni come è stato il tetto al prezzo del gas, che è stato un cambio di politica commerciale verso la Russia. Questa è una questione che ci stiamo ponendo troppo poco, cioè ridurre il dibattito sull'inflazione a cosa possono fare le Banche centrali non basta. Cosa possono fare le banche centrali? Chiaramente intervengono sul costo del denaro e poi sulla quantità di denaro che c’è in circolazione.
Poi c’è tutto quello che devono fare i governi, li si entra in quel che va ripensato anche in termini di scelte. Se noi stiamo scegliendo di privilegiare la sicurezza sull’efficienza, la sicurezza ha un costo che prima non abbiamo pagato, ma abbiamo poi pagato tutto assieme allo scoppio della guerra, con il Covid ecc. ecc . Se privilegiamo la sicurezza stiamo facendo una scelta che ha un costo e poi non possiamo lamentarci. Abbiamo infiniti esempi che fissare i prezzi per legge non funziona nelle nostre società libere, in un capitalismo come quello cinese è più facile ma ha molte controindicazioni. Io posso controllare il prezzo di vendita, ma se poi la transazione avviene tra chi ha comprato la prima volta e lo rivende ad un prezzo diverso si crea un mercato parallelo non controllabile.
Nel 2018 l’inflazione venezuelana era la più alta al mondo. Molti beni come stabilito dal Governo dovevano essere venduti a prezzi bassi, tra questi c’era la carta igienica che era diventata molto rara nei negozi perché veniva acquistata e rivenduta in una sorta di mercato nero grazie al quale in molti hanno avuto elevati profitti. Dall'altra parte c'è la Cina che negli anni 80 ha evitato una liberalizzazione shock mantenendo il controllo statale sul nucleo dell'economia, mentre cresceva nel mercato.
Ogni nostro servizio - continua Feltri - ha alle spalle una lunga catena di transazioni economiche che servono a produrlo, quindi se io regolo il prezzo finale ma non regolo i prezzi dei fattori produttivi sto dicendo che c’è uno che ha la sfortuna di essere quello che ha contatto con gli elettori che poi si arrabbiano che quello deve andare in bancarotta perché non può alzare i prezzi, ma quelli che li vendono le materie prime i prezzi li alzano. Tirando il filo arrivi a dire che dovresti regolare il prezzo del petrolio, il prezzo del gas. Questa è una scorciatoia che non funziona, a meno che i prezzi non si regolano come è stato fatto con le accise in Italia cioè buttando un sacco di soldi pubblici per tenerli bassi così il consumatore ha l’impressione che il prezzo sia basso, ma non è così perché alla fine il resto lo mette lo Stato e si entra in un altro aspetto problematico chiedendosi se è giusto o non è giusto?
Qual è la differenza tra l’inflazione degli Usa e quella Europea e di conseguenza possono essere così simili le misure della Fed e della Bce? Perché sembra che la seconda copia la prima nella strategia. Sbaglio?
Uno dei problemi principali della Bce e anche della Fed sta nell’aver rinunciato ad avere una strategia chiara. Detto questo quando hai le principali valute, dollaro ed euro, del mondo ci sono anche dei forti costi nel muoversi in maniera disallineata. Perché se gli Stati Uniti alzano i tassi e l’Europa non li alza questo genera un afflusso di capitali verso gli Stati Uniti e una fuga di capitali dall’euro poiché investire in dollari rende di più. Poi l'idea che le due inflazioni abbiamo storie diverse era una tesi più semplice da sostenere nel 2021 perché all’epoca gli Stati Uniti avevano fatto delle politiche anticrisi più forti, gli Stati Uniti hanno recuperato i livelli di domanda pre-covid l’Europa ancora no però l’inflazione é più alta in Europa che negli Stati Uniti ed é più duratura. Allora se la risposta é che le cause sono diverse, negli Stati Uniti causata da eccesso di sussidi pubblici alle famiglia e in Europa solo da assestamento post covid com’è possibile che l’economia americana si è assestata nel post covid e l'Europa no. Ci sono tante spinte, penso che una banca centrale che ha come mandato di tenere l’inflazione ad 2% se la vede all’8% non può dire faccio finta di niente. Non può essere l’unico soggetto ad occuparsene, questo si. Fin qua l’inflazione si sta moderando e non c’è la recessione. Alle politiche della Bce si può rimproverare di tollerare ancora un’alta inflazione, ma non di aver distrutto l’economia. Quando c’è la recessione si lamentano i disoccupati, quelli che perdono il lavoro, quando c’è l’inflazione si lamentano quelli che un lavoro ce l’hanno perché il loro stipendio vale sempre meno. Siamo in una situazione nella quale chi ha titolo di lamentarsi sono le vittime dell’inflazione non le vittime della recessione. Stiamo pagando il fatto che i nostri stipendi valgono sempre meno e quindi dò ragione sul punto precedente, se le cure da inflazione vengono somministrate in maniera omeopatica rischiano di essere inutili e dannose. Se l’inflazione non si ferma ci troveremo tante famiglie che si trovano ad avere il loro stipendio che vale meno e il loro mutuo che costa di più. Uno dei grandi problemi di queste situazioni è che se fai le cose un passo alla volta l’inflazione resta alta, ma i costi salgono perché salgono i costi del denaro.
Quando si parla di inflazione si evoca quasi in automatico la questione abitativa. Ne parli nel libro?
Dell’aspetto immobiliare ne parlo poco perché è complesso, ma si lega in tanti modi. Ad esempio adesso i prezzi di case americane stanno scendendo perché se salgono i tassi di interesse diventa più costoso indebitarsi e comprare una casa ed è quindi meno allettante come investimento. Meno persone se la possono permettere. L’inflazione si accompagna al costo del denaro basso che si accompagna ad un eccesso di domanda immobiliare. Quando i tassi restano bassi troppo a lungo una delle conseguenze è che la gente non sa più dove investire i soldi perché è molto facile indebitarsi e quindi si investe anche in cose ad alto rischio come le criptovalute o il mercato immobiliare come abbiamo visto anche nella crisi finanziaria precedente. Quindi il fatto che adesso salgano i tassi di interesse è vero che rende i mutui più costosi, ma riduce anche la domanda di immobili soprattutto da investimento. Quindi l’effetto finale è difficile da prevedere. In Italia abbiamo troppe case, probabilmente sono in posti sbagliati, dove la gente non le vuole. Nelle aree interne, nei paesini. Abbiamo pubblicato un’interessante analisi su Domani in cui si spiegava come con la flat tax e le cedolari secche a Milano con una casa che rende 30 mila euro all’anno conviene vivere di rendita al posto di lavorare perché è tassata molto meno rispetto a lavorare per 30 mila euro all’anno. Questo genera una situazione distorta perché qualcun’altro quella rendita la paga quindi l’uscita dall’inflazione porta anche al fatto che si esce da una fase in cui troppo denaro in circolazione favorisce anche le disuguaglianza perché ovviamente chi si indebita di più? Chi può farlo? Quindi l’impatto finale tornando alla tua domanda iniziale si capirà tra un pò. Sicuramente le case sono state viste come una difesa dall’inflazione, questo non è detto. Abbiamo anche meno gente e tante case, questo potrebbe creare anche una bolla.
L’inflazione è un’opportunità per la sinistra?
L’inflazione colpisce tutti, in modo diseguale, per reddito, settore di attività, per funzione (premia i debitori e sanziona ingiustamente i creditori). L’ordine sociale vacilla. C’è sempre chi, in situazioni di crisi come questa, vede anche opportunità oltre a rischi. L’influente economista Adam Tooze, in un saggio su Foreign Policy, ha condensato le domande che si fa un pezzo di mondo progressista convinto che l’inflazione sia di sinistra mentre l’austerità è di destra. Cioè che le stagioni di prezzi in crescita siano un’occasione per rimettere in discussione rapporti di forza e relazioni consolidate che in tempi normali paiono inamovibili.
Gli anni Settanta, ricorda Tooze, sono stati anni di crisi ma anche di grandi miglioramenti sociali: sindacati e partiti socialdemocratici forti hanno ottenuto importanti aumenti salariali ed estensioni del welfare (in Italia il servizio sanitario nazionale nasce poco dopo le crisi energetiche, nel 1978).
L’ortodossia monetaria costruita dopo gli anni Settanta prevede che il momento in cui diventa più urgente e necessario intervenire è proprio quando le richieste di aumento salariale riguardano vaste categorie organizzate di lavoratori, perché quello è l’innesco della spirale tra prezzi e salari che può far perdere definitivamente il controllo.
Questo contesto offre alcune opportunità per la sinistra, più che alla destra. Fino al mondo pre-Covid, l’ortodossia monetaria e di politica economica offriva molte più sponde alle forze moderate, centriste o perfino di destra: globalizzazione e concorrenza internazionale hanno generato una crescita che, prima del Covid e della guerra in Ucraina, pochi erano disposti davvero a mettere in discussione per perseguire maggiore sicurezza o equità. Covid, guerra e crisi energetica hanno cambiato quasi tutto. Governi di ogni colore hanno adottato politiche fiscali espansive per decine o centinaia (perfino migliaia, negli Stati Uniti) di miliardi a sostegno dell’economia. La pandemia ha dimostrato l’importanza di politiche pubbliche condivise, a livello nazionale e globale, e l’insufficienza del mercato a produrre risposte adeguate senza il contributo e la regia pubblica.
L’inflazione, infine, ha creato una potenziale domanda per politiche redistributive perché ha colpito in modo diseguale e ha scosso un mercato del lavoro che in Europa, e soprattutto in Italia, era abbastanza stagnante, visto che la bassa crescita della produttività determinava anche una lenta crescita dei salari.
Adesso tutto è diverso, dopo un paio d’anni di inflazione alta, i lavoratori finiranno per riorientare le proprie preferenze politiche verso chi promette di ricostituire il potere d’acquisto perduto, invece che a chi offre difese da nemici esterni immaginari come i migranti o interni come le minoranze che reclamano diritti.
Cosa aggiungeresti oggi al tuo libro?
Un capitolo per capire se la stabilità dei prezzi e la stabilità finanziaria si escludono tra loro o se invece ci sono dei modi per tenerle assieme. Sicuramente una può generare l’altra, da qualunque punto inizia il flusso. L’inflazione può generare instabilità finanziaria e l’instabilità finanziaria può generare inflazione se si risolve stampando denaro e mettendo liquidità nel sistema. Questo sicuramente è l’aspetto che aggiungerei. Vedo le cose più complicate di come le ha messe Cristine Lagarge.
Come si dice, un libro è una partita che non si chiude mai-
Non dirmelo. Ho cercato di fare un libro che desse chiavi di lettura per interpretare i dati che arrivano man mano. Come si dice è un classico moderno. Vedremo se ci sono riuscito.