Vietman-Europa. Cosa sta succedendo? Intervista ad Alessia Amighini

Vietman-Europa. Cosa sta succedendo? Intervista ad Alessia Amighini

 

Intervista di Antonella Vitelli, luglio 2019

Alessia Amighini è condirettore dell'Asia Center e Senior Associate Research Fellow presso ISPI. È professore associato di Economia presso il Dipartimento di Studi economici e commerciali (DiSEI) dell'Università del Piemonte Orientale  e Professore a contratto di Economia internazionale presso l'Università Cattolica (Milano, Italia). Amighini aveva precedentemente lavorato come economista associato alla Conferenza delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo (UNCTAD, Ginevra, Svizzera). Alessia ha conseguito un dottorato in Economia dello sviluppo presso l'Università di Firenze (Italia) e un Master in Economia, nonché una laurea in Economia presso l'Università Bocconi (Milano, Italia). In questa intervista ci racconta i rapporti e i termini dei nuovi accordi tra UE e Vietman dopo il vertice di Hanoi. 

 

Il 30 giugno ad Hanoi l’UE e il Vietnam hanno firmato due accordi importanti nella storia delle relazioni economiche internazionali con l’Unione. Di fatto cosa cambia e cosa viene sancito nei rapporti dei due paesi?

Il 30 giugno ad Hanoi l’UE e il Vietnam hanno firmato due accordi importanti nella storia delle relazioni economiche internazionali dell’Unione: un accordo di libero scambio (FTA) e un accordo di protezione degli investimenti (IPA). L’importanza di tali accordi è duplice: innanzitutto, si tratta di accordi senza precedenti, i più ambiziosi mai conclusi dall’UE con un paese in via di sviluppo. I trattati, infatti, sono tra quelli di nuova generazione promossi dall’Unione, cioè includono molti provvedimenti che non riguardano il commercio e gli investimenti in senso stretto, ma anche clausole relative alla protezione della proprietà intellettuale, degli standard minimi internazionali sul diritto del lavoro, della biodiversità. Prima d’ora accordi di questo tipo sono stati siglati solo con paese avanzati, in particolare la Corea del Sud e il Giappone.


Attualmente quali sono i rapporti commerciali che abbiamo con il Vietnam?

Il Vietnam è il secondo partner commerciale dell’Unione, dopo Singapore, tra i paesi dell’Associazione dei paesi del Sudest asiatico (ASEAN), che riunisce 10 paesi con una popolazione totale di 640 milioni di persone che rappresentano un mercato di circa 3000 miliardi di dollari all’anno. Con Singapore, il più grande e ricco paese del gruppo, l’Unione ha già firmato un accordo nel 2018, diventato tristemente famoso per lo stallo in cui è rimasto per anni, bloccato in Consiglio per un conflitto di competenze tra il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali. L’ASEAN è il quarto mercato più grande del mondo, ed è in grande espansione.

L’interscambio europeo con il Vietnam ammonta a circa 54 miliardi di euro all’anno, tra beni e servizi, e dal 2007 è stato deficitario per l’UE in misura crescente, da circa 4 a quasi 29 miliardi di dollari. In questo decennio ci sono stati cambiamenti significativi nella struttura delle esportazioni vietnamite in UE. Nel 2005 i prodotti comprendevano principalmente prodotti agroalimentari, calzature e abbigliamento, molti dei quali erano sotto forma di materie prime o semplici lavorazioni con scarso valore aggiunto. Oggi, il Vietnam esporta nell'UE prodotti altamente sofisticati come smart phone, scooter o accessori per il trasporto. Il Vietnam, ad esempio, è diventato un centro di produzione per il gruppo italiano Piaggio e fornisce molti marchi di scooter moderni in Asia e in Europa.

Questa evoluzione è dovuta in gran parte alla forte presenza di aziende estere che hanno investito nel Paese. Infatti, sebbene gli investimenti europei siano ancora modesti (9 miliardi di euro nel 2018), un numero crescente di imprese europee sta aprendo stabilimenti produttivi nel paese come base per servire tutta la regione estesa del Mekong, che include anche un paio di province cinesi, (Guangxi e Yunnan), il Laos, il Myanmar, la Thailandia. 

In che modo la politica trumpiana dei dazi ha cambiato la situazione economica vietnamita?

Oggi il Vietnam sta diventando il centro produttivo più dinamico dell’area, anche come conseguenza indiretta della guerra commerciale tra gli Stati Uniti e la Cina. Infatti, molte imprese estere si sono spostate dalla Cina al Vietnam per evitare i dazi, e così facendo hanno promosso un aumento della produzione destinata al mercato statunitense, soprattutto nei settori dell’ICT (la maggior categoria di beni importati negli Stati Uniti dalla Cina) e dell’abbigliamento. Già oggi il Vietnam è il terzo esportatore al mondo di abbigliamento, con una quota mondiale del 5,3%, dopo il Bangladesh (6,3%), ma prima dell’India (con solo il 3,9%). Dal momento che la produzione cinese di abbigliamento per l’export, che oggi rappresenta il 34,5% del mondo, è destinata a calare per effetto dei dazi statunitensi che causeranno una diversione della produzione e del commercio, il Vietnam è al primo posto per raccogliere il testimone, almeno nel breve-medio periodo. Tuttavia, nel lungo periodo, se le tensioni tra i due grandi dovessero continuare, l’India è l’unico paese che potrebbe potenzialmente raggiungere i livelli di produzione cinese, se fosse più propenso a dialogare sulle modalità del suo inserimento sui mercati mondiali e superasse gli aspetti più arretrati della legislazione sul lavoro che costituiscono al momento la zavorra più grande al potenziale del paese, due condizioni che al momento non sembrano manifestarsi.

Ma soprattutto cosa comporterà nell'accordo UE-Vietnam la quasi totale eliminazione di dazi?

L’FTA UE-Vietnam prevede l’eliminazione quasi totale (al 99%) dei dazi attualmente presenti tra le due parti. Il 65% dei dazi sull’export europeo in Vietnam verranno azzerati sin dall’inizio, i restanti nell’arco dei prossimi 10 anni. Per quanto riguarda i dazi vietnamiti sui prodotti europei, per il 71% saranno eliminati all’entrata in vigore dell’accordo, e il restante nei prossimi 7 anni. Gli accordi giungono in un momento strategico, ovvero pochi giorni dopo la risoluzione della controversia interna all’Unione circa la suddetta ripartizione delle competenze tra la Commissione e gli Stati Membri. Solo nel maggio del 2017, infatti, la Commissione aveva deciso, su consiglio della Corte di Giustizia, di proporre due accordi separati con il Vietnam. Un FTA, che contiene aree di competenza esclusiva dell’Unione e pertanto richiede soltanto l’approvazione del Consiglio e un accordo di protezione degli investimenti che dovrà essere ratificato anche dai singoli parlamenti nazionali dell’Unione, quindi con un iter che richiederà molto più tempo. 

Molti produttori sono preoccupati per l'apertura a importazioni di riso dal Vietnam. In cosa consiste la richiesta di una clausola di salvaguardia?

Come succede spesso nel caso degli accordi di libero scambio dell’UE, anche e soprattutto quello con il Vietnam ha scatenato il disappunto dei produttori di alcuni settori particolarmente sensibili. Le principali esportazioni europee in Vietnam sono rappresentate da macchinari, mezzi di trasporto e componenti, prodotti chimici e del settore agroalimentare, mentre le importazioni dal Vietnam sono soprattutto prodotti del comparto delle telecomunicazioni, abbigliamento, beni alimentari, tra cui il riso. Quest’ultimo è il motivo principale della resistenza e del malcontento dei produttori risicoli italiani nei confronti dell’accordo. L’Italia è infatti il primo produttore europeo di riso (circa 1,5 milioni di tonnellate), di cui consuma circa un terzo, ed esporta il resto, coprendo oggi circa il 40% del mercato europeo. I produttori nazionali sono giustamente preoccupati dell’impatto che l’apertura a importazioni di riso dal Vietnam potrà avere sulla sopravvivenza del settore. È stata chiesta una clausola di salvaguardia per tre anni, un massimo di 80 mila tonnellate di importazioni di riso Indica (cioè quello dal chicco lungo tipico delle produzioni asiatiche, prodotto anche in Italia in proporzioni molto basse sul totale), ma secondo i produttori nazionali il problema principale non è legato solo alle quantità, ma al prezzo. Della produzione italiana, solo circa un quinto è di varietà "da risotto", mentre il resto è costituito da riso tondo e riso lungo. Dal 2009 ad oggi le importazioni di riso Indica hanno fatto scendere il prezzo al kg sul mercato interno. La conseguente decisione dei produttori di aumentare la produzione di riso Japonica ne ha fatto scendere il prezzo. Inoltre, per aggirare la clausola di salvaguardia, le varietà importate sono soprattutto di Japonica, con un aumento considerevole dei volumi importati soprattutto da Cambogia e Myanmar e un ulteriore pressione al ribasso sui prezzi. Al di là delle peculiarità del settore risicolo, le esportazioni italiane verso il Vietnam sono cresciute di circa il 14% all’anno dal 2015 e oggi ammontano a circa il 16% del totale verso la regione (dopo Singapore e Tailandia). 

Cosa dovrà fare l'UE per trarre un vero vantaggio da questo accordo?

L’eliminazione quasi totale dei dazi renderà più conveniente l’interscambio tra le due parti. In particolare, poiché i dazi imposti dal Vietnam sui prodotti europei sono stati sempre elevati (fino all’87% sui prodotti ittici, fino al 67% sui prodotti agricoli e fino al 31% sui prodotti industriali), molto più dei dazi europei sui prodotti vietnamiti, ci si aspetta che il disavanzo commerciale dell’UE si riduca.

Come sempre, gli accordi dell’Unione, un gruppo di paesi molto diversi tra di loro, richiedono compromessi interni che coinvolgono le sorti di settori specifici. In questo caso, le tensioni politiche tra l'Italia e i partner europei non hanno favorito una soluzione condivisa e la prospettiva allettante di aprire il mercato vietnamita alle imprese europee nella meccanica e nelle costruzioni, tra gli altri, comporta un costo particolarmente alto sul settore risicolo italiano.

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