Adattamento e mitigazione: i due pilastri necessari contro il cambiamento climatico

Adattamento e mitigazione: i due pilastri necessari contro il cambiamento climatico

"Mitigare" e "adattarsi" questi i due pilastri dai quali dovrebbe partire il nuovo corso dell'umanità per salvaguardare se stessa dalla catastrofe climatica. Ma quanto questa urgenza viene vissuta senza essere realmente percepita è evidente dal modo in cui la questione esce ed entra dall'agenda politica. Non si tratta, forse, di sola superficialità, sullo sfondo c'è la rapidità, anche questa preoccupante, con la quale si muove la geopolitica internazionale. La Nuova era nucleare, come la definiscono alcuni. La guerra in Ucraina, il militarismo cinese, le aspirazioni iraniane. A questo si aggiunge la formazione e insediamento del nuovo Governo raccontati con minuzia pariniana, dallo status dei parenti dei Ministri al cambio di scarpe di Giorgia Meloni. 

Eppure gli esperti parlano di "rischio esistenziale" facendo riferimento proprio a quel "rischio che "potrebbe causare il collasso della civiltà umana o addirittura l'estinzione della specie umana" come ammoniscono gli studiosi della Stanford Existential Risks Initiative.

A che punto è la notte? Come ne usciamo? Cosa dovrebbero fare i Governi per affrontare la hybris del clima a cui stiamo assistendo? Ne parla in questa intervista Davide Panzeri che dirige il programma europeo ed è il collegamento con le reti europee di ECCO, il think thank italiano del clima.

Davide i rischi del cambiamento climatico stanno diventando sempre più complessi da gestire. Da dove dovrà partire il prossimo Governo di Giorgia Meloni per affrontare quello che da più parti viene definito il macroproblema nei problemi?

La crisi energetica dovrà essere il punto di partenza obbligato. Le soluzioni alla crisi coincidono di fatto con soluzioni di decarbonizzazione: efficienza energetica e rinnovabili per affrancarsi dal gas e dalla dipendenza energetica dai fornitori esteri. La mappa per uscire dalla crisi è tracciata dal piano europeo REPowerEU e dall’attuazione del Green Deal, e la discussione sul livello di ambizione di questo piano sarà una delle prime da affrontare in Europa e in Italia.

Il vostro think tank parla della necessità di agire con “soluzioni integrate di adattamento e mitigazione”. In cosa consistono queste soluzioni e in che modo contrastano, se contrastano, con il programma espresso dalla forza politica di maggioranza in campagna elettorale?

Adattamento e mitigazione sono i due pilastri fondamentali dell’azione contro il cambiamento climatico. Mitigazione racchiude tutte le misure che mirano a ridurre le emissioni di gas serra e quindi mitigare la severità dell’impatto del cambiamento climatico. Adattamento invece raggruppa le misure che mirano a preparare territori, economie e strutture sociali ad affrontare un mondo alterato dal cambiamento climatico. Il partito vincitore delle elezioni, Fratelli d’Italia, arriva al governo senza avere ancora veramente scoperto le carte della sua politica sul clima. Da una parte, questo parziale silenzio può essere un campanello d’allarme per un tema considerato non prioritario, dall’altro può indicare che c’è ancora spazio per la formazione della posizione. Sicuramene ci sono temi dove soluzioni di adattamento e mitigazione si allineano bene ai valori di riferimento di FdI. Per esempio, il tema della difesa del paese dagli effetti del cambiamento climatico. Questo è un tema con declinazioni a livello locale e nazionale. A livello locale, parliamo principalmente della capacità di costruire una strategia di adattamento del territorio e della costruzione di infrastrutture di difesa (barriere frangiflutti, opere di difesa fluviale...). A livello nazionale questo vuol dire assicurare ai settori più colpiti dai cambiamenti climatici – come l’agricoltura e il turismo – l’accesso a risorse per adattarsi e contestualmente mitigare gli impatti.

I sondaggi curati da voi di ECCO durante la campagna elettorale hanno evidenziato che l’elettorato italiano era ed è alla ricerca di risposte sui temi relativi al cambiamento climatico. I programmi dei partiti, a tuo avviso, sono stati in grado di rispondere a questi bisogni?

Nonostante sia uno dei temi di maggior interesse per l’elettorato italiano, il clima è stato un tema poco presente durante la campagna elettorale, e questo evidenzia una scollatura tra i temi proposti dai partiti e le priorità dell’elettorato, che in questo senso, si dimostra più avanti rispetto alla politica. Anziché affrontare un tema ricco e complesso come quello delle soluzioni al cambiamento climatico, delle misure da prendere per gestire i rischi e cogliere le opportunità che la transizione può presentare per l’innovazione del Paese, si è parlato per slogan di nucleare e rigassificatori. 

Una tragedia come quella dell’inondazione nelle Marche ha evidenziato che le conseguenze socioeconomiche e politiche del cambiamento climatico possono innescare le tanto temute migrazioni di massa. Forse una politica di lungimiranza di “controllo dei confini” come reclama Salvini dovrebbe passare proprio dall’attenzione al cambiamento climatico. Sembra non avvenire. 

Senza l’accesso a maggiori risorse per l’adattamento e le perdite e i danni, nessun paese è al sicuro, soprattutto i paesi più vulnerabili come quelli africani. Se il cambiamento climatico rende larghe aree del continente africano invivibili, le conseguenze per un paese come l’Italia al centro delle rotte migratorie del Mediterraneo sono facilmente prevedibili. Da questo punto di vista l’appuntamento COP27 di Sharm el-Sheik di novembre sarà un’occasione importante per dimostrare ambizione in questo senso.

Quali sono le tre cose che dovremmo chiedere accoratamente a Giorgia Meloni nei suoi primi 100 giorni?

A livello generale di integrare le politiche climatiche all’interno di tutte le politiche di Governo, a partire da quelle energetiche, industriali ed economiche. Se devo scegliere tre azioni concrete, la prima sarebbe lo sblocco delle lunghissime procedure di permesso per la costruzione di impianti di produzione elettrica a rinnovabili, mettendo mano alle inefficienze della macchina amministrativa che sino ad oggi ha rappresentato un ostacolo per lo sviluppo di questi impianti. Secondo, sviluppare e finanziare una versione del Superbonus che commisuri l’aiuto disponibile all’effettivo bisogno economico delle famiglie, facendo sì che queste si emancipino concretamente dall’oscillazione dei prezzi dei fossili incentivando una decisa modifica del consumo domestico, escludendo l’incentivazione di impianti fossili, per quanto efficienti. Tenendo conto dei tempi di che possono intercorrere tra una ristrutturazione e la successiva, le azioni concrete devono poter avvenire sin da subito e la crisi del gas ci ha aperto gli occhi. Questo deve anche includere interventi di edilizia popolare per le famiglie a basso reddito, le più colpite dalla volatilità dei prezzi. Terzo sostenere il passaggio all'auto elettrica per ridurre le emissioni dei trasporti su strada e i consumi di petrolio, tramite politiche industriali e per il lavoro che rilancino il primato del made in Italy nel settore automotive.

 

Redazione: Benedetta Musso

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