I 100 giorni di Trump II

I 100 giorni di Trump II

La seconda presidenza di Donald Trump non è semplicemente una ripetizione del suo primo mandato. Come evidenzia l'ex Consigliere legale del Dipartimento di Stato USA Harold Hongju Koh in un'analisi su un magazine americano, nei primi cento giorni Trump ha compiuto una trasformazione profonda della natura stessa del potere presidenziale negli Stati Uniti. Più sicuro di sé, circondato da fedelissimi e senza alcun interesse per le mediazioni istituzionali, Trump 2.0 ha avviato una nuova fase di concentrazione autoritaria del potere, sollevando interrogativi cruciali sulla tenuta della democrazia americana.

Trump ha agito rapidamente per svuotare i controlli interni al governo. Ha licenziato ispettori generali, funzionari di alto rango, esperti legali e capi militari, sostituendoli con lealisti disposti a eseguire senza discutere le sue direttive.

Questa strategia, osserva Koh, ricorda più le mosse di un leader autoritario che quelle di un presidente costituzionale. Non è più questione di gestire un sistema di pesi e contrappesi: Trump punta a governare come "unico organo" decisionale, in perfetta coerenza con la dottrina dell'esecutivo unitario che ha abbracciato sin dal primo mandato.

A preoccupare è anche la sua politica delle amnistie: Trump ha concesso il perdono a numerosi imputati legati all'insurrezione del 6 gennaio 2021, rafforzando il messaggio che chi si batte per lui può agire al di sopra della legge. Nel frattempo, i suoi avvocati sostengono che ogni suo atto ufficiale, anche se illecito, goda di immunità assoluta. Come spiega Koh, questa visione estremista del potere presidenziale non ha precedenti nella storia moderna americana.

La politica estera di Trump 2.0 si muove nella stessa direzione: atti unilaterali, sfiducia nelle alleanze tradizionali, disprezzo per il diritto internazionale. Trump ha indebolito il sostegno all'Ucraina, normalizzato i rapporti con regimi autoritari e ridotto l’impegno americano nelle istituzioni multilaterali. È una strategia di isolamento volontario che rischia di lasciare gli Stati Uniti soli e vulnerabili su scala globale.

Di fronte a questa deriva, la risposta democratica non può limitarsi all'indignazione. Koh sottolinea che sarà necessario un grande sforzo politico, giuridico e culturale per arginare l'espansione del potere esecutivo e ristabilire l’equilibrio costituzionale. Le istituzioni dovranno resistere attivamente: i tribunali federali, il Congresso, i media indipendenti, gli stati federati e la società civile dovranno lavorare insieme per difendere lo stato di diritto. 

La lezione più amara di questi cento giorni, ammonisce Koh, è che una democrazia non si autodifende automaticamente. Senza vigilanza continua, senza coraggio civile e senza riforme strutturali, il sistema può essere piegato dall'interno da leader che, pur eletti democraticamente, agiscono come autocrati.

Trump 2.0 rappresenta dunque un test storico per l'America: saprà ancora una volta rinnovare se stessa, o scivolerà lentamente in una forma di autoritarismo mascherato?

La risposta dipenderà dalle scelte collettive che cittadini, istituzioni e leader compiranno nei mesi a venire. Salvare la democrazia americana non sarà questione di slogan, ma di azioni concrete: riformare le leggi elettorali, rafforzare i limiti al potere esecutivo, proteggere la libertà di stampa, tutelare l'indipendenza della magistratura. Solo così si potrà fermare l'avanzata di una presidenza senza freni che rischia di cancellare il futuro stesso della democrazia americana.

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