Nel corso del Novecento, gli Stati Uniti sono stati per molti il simbolo di una democrazia solida, di un modello sociale aperto e ispirato alla libertà, di una “città sulla collina” da ammirare e, talvolta, da emulare. Questa immagine, alimentata tanto dalla cultura pop quanto dalla leadership internazionale, ha costituito l’essenza del soft power americano: la capacità di influenzare il mondo non con la forza, ma con valori, ideali e esempio.
Nel suo recente articolo su Project Syndicate, Chris Patten – già ultimo governatore britannico di Hong Kong e commissario europeo per le relazioni esterne – denuncia il progressivo smantellamento di questa influenza “morbida” da parte dell’amministrazione Trump. A suo giudizio, il secondo mandato del presidente è caratterizzato da tratti autoritari, disprezzo per le norme democratiche, politiche economiche caotiche e una diplomazia che premia i leader autocratici e ignora gli alleati storici.
Internamente, Trump ha indebolito la credibilità delle istituzioni, colpito il mondo accademico e attaccato la stampa libera.
All’estero, ha tagliato gli aiuti internazionali (favorendo l’espansione cinese in Africa e Asia), imposto dazi con motivazioni arbitrarie e minato la reputazione degli Stati Uniti come guida del mondo libero.
Il risultato è un calo di fiducia globale nei confronti dell’America, aggravato dal recente rallentamento economico: una contrazione del PIL dello 0,3% nel primo trimestre del 2025, a fronte di una crescita del 2,4% nell’ultimo trimestre dell’era Biden.
Patten si chiede se la celebre “città sulla collina” sia ormai ridotta in macerie simboliche, eppure conclude con una nota di speranza: la luce americana può ancora brillare, seppur fiocamente. Le recenti vittorie progressiste in Canada e Australia mostrano che è possibile resistere al modello trumpiano e riaffermare i valori democratici.
Ma il cammino per ricostruire la fiducia internazionale sarà lungo e incerto.