Mentre l’economia globale si trova sull’orlo di una nuova recessione, il conflitto commerciale tra Stati Uniti e Cinarischia di accelerare il crollo. Come sottolinea Susan Thornton, ex assistente segretario di Stato per gli affari dell’Asia orientale e del Pacifico, in un'analisi pubblicata su Project Syndicate il 5 maggio 2025, la guerra tariffaria lanciata da Donald Trump sta raggiungendo livelli allarmanti, con conseguenze devastanti sia per Washington che per Pechino.
Da aprile, Trump ha imposto tariffe reciproche su quasi tutti i partner commerciali degli Stati Uniti, portando a un’escalation senza precedenti con la Cina. I dazi triplicati su centinaia di categorie di prodotti hanno praticamente creato un embargo commerciale tra le due superpotenze. I segnali di crisi sono già evidenti: le prenotazioni di container dalla Cina verso gli USA sono crollate del 60%, e molte aziende americane stanno annullando ordini vitali. Il rischio concreto è che i consumatori e le imprese americane si trovino presto senza accesso a beni essenziali, con effetti a catena sull’economia interna.
Anche la Casa Bianca sembra iniziare a rendersi conto della gravità della situazione. Il segretario al Tesoro, Scott Bessent, ha definito il conflitto “insostenibile”, e fonti interne parlano di un possibile ammorbidimento delle tariffe. Tuttavia, altri funzionari hanno rapidamente corretto il tiro, escludendo qualsiasi concessione "unilaterale" a Pechino.
Nonostante l’urgenza, i negoziati tra Stati Uniti e Cina restano al palo. Trump sostiene di voler parlare direttamente con il presidente cinese Xi Jinping, ma secondo Pechino i due leader non si sono nemmeno sentiti telefonicamente dall'inaugurazione di Trump. Le dichiarazioni di Trump su contatti diretti appaiono smentite da fonti ufficiali cinesi.
Quali ostacoli impediscono un dialogo vero? Thornton individua tre principali problemi:
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Tariffe aggressive prima dei colloqui: Trump ha insistito nell'imporre nuovi dazi, bruciando ogni apertura diplomatica.
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Differenze nei metodi diplomatici: l’approccio personale e impulsivo di Trump mal si concilia con la rigidità protocollare cinese.
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Asimmetrie istituzionali: in Cina, le decisioni economiche sono delegate a figure come il premier e i vicepremier, che non trovano equivalenti diretti nel sistema americano.
Negli anni scorsi, le amministrazioni precedenti avevano istituito tavoli di dialogo bilaterale proprio per superare queste differenze, ma Trump li ha smantellati giudicandoli "inefficienti". C'è poi una confusione strategica di fondo: gli obiettivi americani non sono chiari. Trump oscilla tra: contenere l'ascesa cinese; ribilanciare il commercio globale; rilanciare la manifattura americana, creare nuovi posti di lavoro, contrastare la diffusione del fentanyl e ridurre il debito federale. Senza una gerarchia precisa tra questi obiettivi, ogni tentativo di negoziato rischia di fallire.
Nel frattempo, gli effetti della guerra commerciale sono tangibili: prezzi in aumento per i consumatori; rottura delle catene di fornitura e difficoltà crescenti per le imprese americane. Se il conflitto dovesse prolungarsi, non solo Stati Uniti e Cina ne uscirebbero danneggiati, ma l'intero sistema economico globale rischierebbe un colpo mortale.