Intervista irreale di Gioconda Fappiano. Londra, dicembre 2019
Il Natale da manuale dei buoni sentimenti raccontato dal suo stesso ideatore, nonché autore di uno dei tormentoni letterari più letti di tutti i tempi: A Christmas Carol. Stiamo parlando naturalmente di Charles Dickens.
Incontro Charles Dickens in un Book Club pochi giorni prima delle feste natalizie. Come ospite d’onore, è stato fatto accomodare su una sedia a braccioli tappezzata di velluto bordeaux presso una scrivania antica su cui sono collocate alcune edizioni antiche dei suoi romanzi. Sono armata di cattive intenzioni: mi trovo di fronte l’inventore del Natale da cartolina della società consumistica. Le signore del club stanno discutendo appunto del suo Canto di Natale. Gli rivolgo subito una domanda cattiva.
Ebbene, signor Dickens, con il suo “A Christmas Carol” lei ha dato la stura a tutto il languore sentimentale e patetico delle feste natalizie che ci accompagna dalla pubblicazione del suo libro. Veramente lei vuol farci credere al miracolo di Natale o forse è più corretto dire che la sua è stata semplicemente un’abile operazione commerciale?
Quanto nichilismo preventivo c’è nella sua domanda! Cosa la infastidisce dell’umanità raccolta intorno al lieto fine? Ho capito. Lei fa parte di quella categoria di persone che ostentano smorfie di disgusto verso i valori del Natale, salvo poi derogare a tanto cinismo il giorno fatidico della festa adeguandosi alle regole del galateo: farà l’albero, comprerà regali per amici e parenti, a casa sua non mancheranno il vischio e l’agrifoglio e alla sua tavola non mancheranno l’oca e il tacchino ripieni. Anche Scrooge, avaro di soldi e di sentimenti, alla fine della mia storia ha ceduto onorando il Natale nel suo cuore. Un ricco che diventa generoso verso il povero ristabilendo un po’ di quella giustizia sociale da tanti invocata.
Ma tutto questo non le suona oltremodo falso? Se si prende come punto di riferimento la realtà- che in materia di diseguaglianza non è che sia cambiata molto dai tempi in cui lei ha vissuto- con il suo racconto non ci si può fare nulla. Lei, mentendo, pensa di affievolire le tragedie sociali con un’arietta da melodramma.
Mi pare di avere già detto in un’altra occasione che nulla è più sincero della falsità.
Tanti, ancora oggi, ricordano il mio Canto di Natale; pochi conoscono il Manifesto di Marx ed Engels . Prova ne è che i gentili soci hanno letto il mio libro e non un noioso manuale di filosofia politica. Lei parla di melodramma: ma il pubblico ama il melodramma.
E voi italiani, che l’avete inventato, dovreste saperne qualcosa. Non avete la vocazione alla rivoluzione, piuttosto siete votati all’intrigo, all’inciucio.
Vedo che ultimamente in politica non vi fate neanche scrupolo di invocare la Madonna e Domineddio, di brandire crocifissi, quando non avete risposte convincenti da dare. Le disuguaglianze sociali certo non scompaiono nell’allegria generale della festa, anzi nella mia favola sono ancora più chiaramente marcate. Ma io, semplicemente, do al lettore ciò che vuole gli venga raccontato: il focolaio domestico dei ricchi e il freddo e lo sporco degli slums londinesi, il materialismo dei mercanti e il filantropismo di facciata, le peripezie del vecchio speculatore e del bambino povero e malaticcio come condimento ad una storia infarcita di buoni sentimenti, con conversione finale del cattivo e speranza di un futuro migliore per il povero. Non è forse questo che vogliamo sentire, almeno a Natale?
A proposito di sporcizia e di incuria, lei dopo aver scritto A Christmas Carol ha soggiornato a lungo in Italia. Come mai non ne ha descritto le bellezze artistiche e paesaggistiche, ma solo il degrado e il crimine, soprattutto nel caso di Napoli? Non mi sembra che la sua Londra fosse messa tanto meglio.
Ombre sull’acqua, immagini vaghe dei luoghi popolari e sinistramente suggestivi: questo volevo descrivere ed è ciò che ho fatto. Napoli pullula di delinquenti, lazzaroni cenciosi, mendicanti squallidi e abietti borsaioli; il popolino si droga e si rovina giocando al Lotto. La città e sporca e piena di storpi e cani randagi. Ma non pensi che Genova sia meglio, piena com’è di puzze e inesplicabile sudiciume. O Piacenza, piena di erbacce, sporcizia e pigrizia. Roma, poi! Uomini dall’aspetto truce, del più basso ceto, con mantelli stracciati si aggirano nelle piazze dove donne e bambini starnazzano, divertendosi alla vista delle decapitazioni di qualche malvivente operata dalla autorità vaticane. Per non parlare di preti e monaci che si fanno largo tra la folla alzandosi sulla punta dei piedi per dare un’occhiatina alla lama pronta ad essere affondata. Londra, con i suoi bassifondi, certamente non è migliore. Ma cosa vuole! Tutti ammirano dell’Italia le bellezze naturali e compiute dalla mano dell’uomo, ma anni d’incuria, oppressione e malgoverno sono stato il cancro che ha imbarbarito il suo popolo piegandone lo spirito. Qualcosa di buono però è rimasto e questa meravigliosa nazione risorgerà dalle sue stesse ceneri. La ruota del tempo gira per uno scopo e il mondo è, nei suoi caratteri generali, più gentile, tollerante e pieno di speranza a mano a mano che questa gira.
Lei dunque pensa che l’umanità sia migliorata…
Tutto è migliorabile. Oggi di Scrooge ce ne sono tanti, ne sono consapevole, così come tante sono le nuove povertà, ma io sono fermamente fiducioso nella “conversione alla generosità”, nella possibilità del “giorno dopo la festa”. Un’antitesi, la mia, del pensiero leopardiano de Il Sabato del Villaggio, a voi tanto caro.
Mr.Dickens, questa volta però, a differenza di altri suoi romanzi-come Oliver Twist e David Copperfield, per citarne qualcuno- nel racconto di Natale il protagonista della storia non è un bambino, ma un vecchio avaro e brontolone. Come mai questa scelta? Si era forse stancato di “sfruttare” i bambini?
E’ vero! Una volta ho detto durante un’intervista rilasciata a Giorgio Manganelli che ho sempre adoperato una testa di bambino, che detta così, sembra quasi un’espressione cannibalesca.
I bambini sono quanto di più narciso ed esibizionista esista con i loro pianti o risate esorbitanti, la loro risibile presunzione d’innocenza e di fragilità, che in realtà invece, è la loro grande forza. Scrooge, però, troverà la propria motivazione alla rinascita andando indietro nel tempo, quando Ebenezer ricorderà la sua infanzia modesta e la sua giovinezza, l’amore per la sua famiglia e per la sua fidanzata, cui verrà sostituito, da adulto, l’amore per il denaro. Vede, gentile signora, io trovo gli esseri umani nella loro età di mezzo- quella piena, per così dire- estremamente odiosi e infimi. Meglio i fanciulli e gli anziani.
Come mai Tiny Tim, il bambino gravemente malato, figlio dell’impiegato al servizio di Scrooge, alla fine non muore?
Nella realtà dovrebbe andare così, nella finzione no. Il mio canto di Natale si veste d’incanto contro ogni disincanto. Altrimenti, che Natale sarebbe?
Forse Taine, proprio per questo, la definì “il maestro di tutti i cuori”, come si ricorda in tanti saggi e tesi di laurea a lei dedicati. La sua biografia però ci racconta qualcos’altro.
La mia vita privata è stata parte del melodramma e della macchinazione del personaggio pubblico. Qualcuno ha tirato fuori le lettere scritte alle mie amanti: sono stato falso, bizzoso, canaglia, gaglioffo. Ma anche padre e marito scrupoloso.
L’imperfezione non mi è mai venuta meno. Questo forse mi attirerà più simpatie che l’immagine dello scrittore educativo, maestro di tutti i cuori.
E’ dunque consapevole di essere l’inventore del Natale come oggi lo conosciamo, croce e delizia dei prossimi giorni che chiuderanno l’anno…
Christmas Carol uscì in concomitanza dell’entrata in commercio della prima cartolina natalizia il 19 dicembre del 1843. Forse questo fu il segno che non “c’è Natale se non c’è Dickens”. Merry Christmas!