Intervista di Antonella Vitelli, 24 agosto 2019
Nell'epoca della post-verità neanche la "bontà" è più la stessa, o forse non lo è mai stata. Buoni veri e buoni farlocchi, buoni autentici e buoni di facciata. Un esercito di improvvisati assistenti sociali della morale pronti a dispensare consigli, dentro e fuori dal tempio. Nel libro Come difendersi dalla bontà ed esercitare un sano egoismo Gioconda Fappiano traccia un preciso identikit di chi sono gli inguaribili "buoni" e come si "tipicizzano" in precise caratteristiche antropologiche. Dalla politica alla famiglia, dagli ambienti di lavoro al tempo libero: siamo invasi! Di questi forse sì! Convenzioni, crocifissi esposti dai banchi di Montecitorio e linguaggi sgarbati e assieme politically correct sono solo i vividi rami di un sottobosco di morale benpensante o "benaltrista", ça va sans dire.
Gioconda cosa vuol dire in un'epoca di definiti "buonisti" e di "buonismo" doversi difendere dalla bontà?
Significa non cercare l’approvazione ad ogni costo, non mostrare sempre la faccia buona facendo finta che tutto vada bene adeguandosi alle convenienze e alle mode. Spesso la cosiddetta “bontà”, oggi tanto strombazzata, altro non è che un esercizio di potere, uno strumento di ricatto e di controllo sull’altro.
I “buoni” sono spesso i manipolatori, i narcisi, gli ossessivi, i possessivi, coloro che sono sempre pronti a giudicare e a colpevolizzare, quelli che sono sempre dalla parte della ragione e mai del problema, quelli con la verità sempre in tasca, che non viaggiano mai con il dubbio.
Nel tuo libro parli di una categoria di persone: i Vampiri. Chi sono e come li riconosciamo?
Difficile riconoscerli subito. Si presentano spesso con la faccia pulita, da bravo ragazzo, non usano la forza (il potere vero non ha bisogno di farlo) ma usano l’arma della convinzione e della persuasione per arrivare al completo asservimento psicologico della persona che hanno affianco. L’affermazione nessuno ti vorrà bene quanto me è tipica del vampiro-narcisista che si vende molto bene all’inizio, fingendo di essere una vittima, chiedendo aiuto o appoggio emotivo, mostrandosi affidabile e amorevole. In effetti non fa altro che esercitare una bontà in malafede, nevrotica e manipolativa.
Nel mio libello cito, ad esempio, il rapporto morboso che il poeta Giovanni Pascoli ebbe con le sorelle, una bontà esibita come altra faccia della croce del dolore, che funziona come copertura accattivante in rapporti poco sani.
Recentemente inoltre una mia lettrice mi ha confessato di essere caduta nella trappola di un fidanzato-vampiro, esperienza che è stata molto dolorosa, e di essersi riconosciuta in quanto avevo scritto.
Poi c'è l'esercito della salvezza, i cosiddetti "buoni cristiani".
Questa è la categoria di persone specializzata nell’abbracciare le cause altrui, l’esercito della salvezza prodigo nel dare consigli non richiesti, una moltitudine di mediocri dall’aspetto bonario animati da oneste intenzioni. Quelli che più frequentemente incontriamo ogni giorno. In un capitolo del libro ricordo tra l’altro l’episodio di Giobbe e della sua proverbiale pazienza, non solo nell’affrontare le prove terribili di Dio, ma anche nel trattare con i suoi tre amici zelanti e pseudo-consolatori che lo affliggono con una bolgia di parole campate in aria. C’è poi chi fa del solidarismo praticamente una specie di mestiere, o peggio una moda, diventando un professionista del buonismo. E qui riporto l’ampia letteratura di cui ci ha fatto dono il bravissimo Giorgio Gaber nei brani in cui ironicamente parla del potere dei più buoni.
Quanto siamo diventati omologati nell'espressione delle emozioni? C'è una vita inautentica dalla quale dobbiamo fuggire costantemente?
Credo che l’autenticità non vada più di moda. Seguiamo come un gregge di pecore quello che il mercato ci propone, anche e soprattutto nella fenomenologia dei sentimenti. Sui social oramai pubblichiamo di tutto, soprattutto quello che riguarda gli affetti più cari e che andrebbe gelosamente custodito, per conquistare l’ultima frontiera del pollice opponente, il Like, come osserva giustamente Enrico Maria Troisi nella prefazione al mio libro. Trattiamo l’oro e la volgare bigiotteria allo stesso modo. Forse abbiamo paura di stare da soli , di guardarci dentro, e riempiamo il vuoto con cose inutili. Citando sempre Gaber mi verrebbe da dire “il tutto è falso, il falso è tutto”.
E di qualche giorno fa l'espressione del Ministro dell'Interno Salvini che parla di "amore che vince su tutto". Lacan invece parlava dell'amore come di un "sentimento comico". Nella tua prosa che posto ha l'amore?
Non so il ministro Salvini a quale Amore si riferisca o se ha semplicemente fatto un copia e incolla della locuzione di Virgilio non cogliendone fino in fondo le intenzioni. Lacan faceva riferimento agli intrecci che si sviluppano nella commedia dell’amore, alla trama degli equivoci, dell’attrazione, all’ odi et amo, alla speranza di un lieto fine. Nella mia narrazione, come nella vita, l’amore è imperfetto, il sentimento che più di tutti ci porta forse a sbagliare ma anche ad amare l’imperfezione del nostro prossimo.
Nel capitolo Morsi e Rimorsi parli di bellezza, di "religione delle diete" e della cosiddetta sharing beauty. In cosa differiamo dal classico nella nostra definizione convenzionale di "bello"?
L’arte classica rasserena ed esprime equilibrio tra mondo esteriore e mondo interiore, manifesta una sintesi perfetta tra il corpo e l’anima calandosi nel mistero che trascende la carne ma è immanente alla psiche. In realtà, nel mondo classico il sodalizio tra il bello e il buono attestava il tentativo umanissimo di superare l’ingovernabilità del mondo e di privilegiare su tutto la trascendenza dell’interiorità. Oggi invece c’è da restare basiti di fronte al piattume dei canonici estetici, dalla riproduzione seriale di corpi di plastica che altro non sono che copia di mille riassunti. Si vive da malati per morire sani correndo dietro all’ultima dieta il cui dettato sostituisce nei casi più estremi i Dieci Comandamenti. La scelta di investire tutto sul proprio corpo non è solo frutto di vanità squisitamente femminile ma anche maschile tant’è che in Italia il 30% del fatturato nel settore dei prodotti cosmetici è determinato proprio dai consumi maschili. Gli uomini possono arrivare ad usare fino a sette prodotti di bellezza al giorno, cosmetici che in una coppia lui e lei spesso condividono dando luogo al cosiddetto sharing beauty.
Nel libro citi sia Camilleri sia Gregoretti, "due defunti eccellenti" per ricollegarci al concetto di falsa bontà. Gregoretti che hai conosciuto personalmente e che ha curato la nota introduttiva per un tuo libro di racconti. Cosa mancherà alla cultura italiana con queste due grandi assenze?
Ugo Gregoretti mi ha fatto dono di alcune righe che introducono il mio primo libro di racconti, Parla con Pedro. Di lui conservo il ricordo di una persona dallo sguardo vivace, dall’intelligenza critica molto spiccata e dal grande senso dell’umorismo e dell’ironia. Ha rivoluzionato con i suoi programmi il mondo della televisione da visionario e precursore dei tempi quale era. Camilleri è un autore che amo molto, un grande del panorama letterario internazionale. Nel mio libro cito il testo teatrale di cui sono entrambi autori, e che hanno anche interpretato insieme, Pinocchio(mal)visto dal gatto e la volpe, in cui il Gatto e la Volpe chiedono attraverso un processo che la loro posizione nella favola venga riabilitata: non era loro intenzione turlupinare il Burattino ma di insegnargli a non fidarsi del primo che passa. Invece su questi due educatori di rango è stato gettato fango. Io penso che Gregoretti e Camilleri abbiano avuto entrambi il dono di comunicare con leggerezza idee e concetti difficili. Cosa che solo chi è autenticamente grande sa fare.