Intelligenza artificiale e filosofia secondo il filosofo tech Cosimo Accoto

Intelligenza artificiale e filosofia secondo il filosofo tech Cosimo Accoto

Intervista al filosofo Cosimo Accoto a cura di Valter Rota e Antonella Vitelli

Intelligenza artificiale e tecnologia digitale stanno ridefinendo in modo sostanziale ogni aspetto della nostra esistenza. In questa logica è facile comprendere quanto il pensiero filosofico diventi uno strumento essenziale per comprendere le trasformazioni in atto. 

Cosimo Accoto è filosofo tech e ricercatore affiliato al MIT, non ha bisogno di molte presentazioni, di certo è annoverabili tra le voci più autorevoli e innovative in questo campo. Con una formazione che fonde filosofia, ingegneria e management, il Nostro esplora le sfide e le opportunità offerte dal mondo digitale, proponendo un approccio interdisciplinare capace di dialogare con le complessità del nostro tempo.

E' autore di saggi fondamentali come Il mondo in sintesi e Il Pianeta Latente, Accoto non descrive solo i cambiamenti tecnologici, ma opera decostruendoli allo scopo di analizzarne il significato profondo, interrogando le nuove forme di realtà e agire umano. Nei suoi lavori la tecnologia non è presentata come un’estensione dell’umano, ma un agente autonomo, una forza culturale che, come egli stesso afferma, ci pone provocazioni intellettuali prima ancora che sfide tecniche. 

Un pensiero che si discosta profondamente dalla tradizione filosofica del Novecento, in cui la tecnica veniva vista come un prolungamento naturale delle capacità umane. A conferma di ciò, il filosofo Maurizio Ferraris sottolinea il modo emblematico in cui thailandesi e tedeschi definiscono il cellulare: "estensione della mano". Per Ferraris, il telefonino rappresenta uno degli apici della tecnica, l’"utensile degli utensili", uno strumento assoluto. È anche il simbolo di ciò che Heidegger definiva Zuhandenheit—l'essere a portata di mano—ovvero la condizione degli oggetti attraverso cui ci relazioniamo al mondo. Tuttavia, secondo la visione novecentesca, questa relazione tra uomo e tecnica rimaneva sempre subordinata a un orizzonte umano.

Accoto, invece, sposta il fulcro della riflessione dalla rappresentazione alla creazione. Nell’era dell’AI, la tecnica non si limita più a rappresentare il mondo o ad eseguire istruzioni, ma lo plasma e lo crea autonomamente, generando realtà sintetiche e virtuali che ridefiniscono i confini stessi dell’umano. 

Nell'intervista che segue Accoto ci guida attraverso concetti fondamentali per il presente e il futuro: dalle tecnologie astensive e la marginalizzazione dello sguardo umano, fino al ruolo dell’ontologia e alle nuove forme di cittadinanza non umana, offrendo una visione unica su come la civiltà computazionale stia rimodellando il mondo e l’umano stesso.

In filosofia la tecnica è stata spesso vista come un’estensione delle capacità umane, un insieme di strumenti che amplificano la nostra azione sul mondo. L’AI, però, sembra introdurre una novità radicale: non è solo un mezzo, ma un sistema autonomo che apprende, prende decisioni e ridefinisce il nostro rapporto con la realtà. Possiamo considerarla parte della tradizione tecnica o siamo di fronte a una nuova forma di agire e pensare, una discontinuità rispetto alla storia della tecnica?

Ho iniziato a proporre l’idea delle tecnologie “astensive” e non “estensive” dell’umano per marcare, un po' provocatoriamente, una differenza che viene emergendo nelle nuove ingegnerie. La tecnologia è stata strumento impiegato umanamente per un fine finora. Con l’arrivo delle intelligenze artificiali (etichetta storicamente ideologica) lo “strumento” diviene un “agente” a tutti gli effetti. In parte segue gli indirizzi umani, ma in parte produce orizzonti e mondi impredicibili e non determinabili. L’intenzione umana primaria nel costruirli in parte viene trasferita nella tecnologia, ma in parte emerge secondariamente dalla progressiva autonomia, simulazione e opacità di calcoli e procedure. In questa prospettiva, il mio suggerimento è di aprire un filone di ricerca che esplori questa eventualità di tecnologie diversamente astensive e non classicamente estensive. 

Nella filosofia della tecnologia, il termine "estensive" si riferisce a strumenti che estendono le capacità fisiche o mentali dell’uomo, come un martello o un computer. Le tecnologie “astensive”, concetto proposto da Accoto, vanno oltre: non si limitano a estendere le capacità umane, ma sviluppano un’autonomia che può creare nuove realtà o significati indipendenti dall’intenzione iniziale umana.

Pensiamo a come cambia il ruolo dell’occhio umano. Nell’orizzonte artificialmente ingegnerizzato del nostro pianeta lo sguardo umano si ritrova progressivamente e per molti versi marginalizzato o inidoneo. Questa rimozione tentata, negoziata, in parte realizzata, ha oggi molte forme e occasioni. Così, in alcuni contesti, lo sguardo è assente perché l’occhio non è in più grado di espletare la sua funzione giudicante di fronte al prodotto visivo artificiale di una macchina. Non è in grado di riconoscere il vero e il falso. In altre esperienze lo sguardo invece non è proprio più chiamato a svolgere la sua funzione decisionale, sostituito esso stesso dalla visione esclusiva ed escludente delle macchine. A vedere, al suo posto, è qualcuno o qualcosa d’altro. In ulteriori casi ancora lo sguardo è spiazzato perché l’immagine che viene guardata non ha più la sua antica funzione rappresentativa del reale. Il mio occhio, dunque, incrocia una visualità che ha un’altra natura: l’immagine non sta più al posto dell’oggetto che vorrebbe raffigurare. Non lo rappresenta più. 

Così come il cambiamento climatico avanza più rapidamente della nostra capacità di adattamento, anche l’intelligenza artificiale sembra evolversi a un ritmo che supera la nostra comprensione e regolamentazione. Esistono oggi strumenti filosofici o politici che possono aiutarci a colmare questo divario? 

Anzitutto, il cambiamento climatico è osservabile e pensabile solo in virtù di una computazione che scala a livello planetario ed extraterrestre anche. Sensori a terra e satelliti in cielo consentono oggi di leggere le trasformazioni disastrose della Terra. Certo, l’ingegneria è più avanti della scienza in molti casi e da qui l’impressione di una nostra incapacità di seguire l’accelerazione (e conseguentemente di comprendere e normare). Ma direi che è sempre accaduto così nel lungo corso della civilizzazione umana. Costruiamo strumenti (o agenti oggi) che conosciamo solo in parte e solo in opera una volta che lasciano i laboratori ed entrano nelle società. Ma fortunatamente oggi abbiamo anche teorie e pratiche che possono aiutarci. Come la simulazione computazionale che sta prendendo il posto dell’esperimento come nuova rivoluzione epistemologica. 

Facciamo l’esempio delle simulazioni computazionali via digital twinning. Forse allora l’umano che nascerà dall’impiego dei gemelli digitali (ad esempio, dei pazienti) sarà nuovo tanto quanto lo fu l’uomo nato dall’impiego delle dissezioni cadaveriche. Pensiamo a Leonardo da Vinci. Mutatis mutandis, anche in quel caso ci fu un approssimarsi ai corpi che venivano incisi per capire meglio il loro funzionamento. Le dissezioni (cadaveriche) verranno sostituite dalle simulazioni (algoritmiche)? Sensori e simulazioni, dunque, come bisturi e disegni? D’altro canto abbiamo già usato in passato avatar analogici per creare esperienze migliorative del mondo. Pensiamo ai manichini sensorizzati usati nei crash-test su cui costruiamo esperienze di guida più sicure. Così magari in futuro useremo avatar digitali (non più analogici) per creare nuove esperienze attraverso questa rinnovata filosofia simulacrale. 

Digital twinning: tecnologia che crea una copia virtuale (gemello digitale) di un oggetto fisico, come una macchina, un paziente o un intero processo industriale. Questo permette di simulare scenari, analizzare dati e fare previsioni senza interagire direttamente con la controparte reale.

Più volte nei suoi libri parla del necessario coinvolgimento dell’ontologia nel discorso dell’AI. Il Professor Maurizio Ferraris su questo magazine ha affermato che la differenza tra uomo e macchina concerne la capacità del primo di avere bisogni, desideri. È d’accordo?

Dire “macchina” e dire “umano” è già una categorizzazione ontologica dicotomica storicamente orientata e culturalmente collocata. In altre culture non occidentali questa dicotomia è variamente pensata e costruita se non proprio radicalmente negata. Partirei quindi dal mettere in questione queste categorie del pensiero. Ed è la cosa che ad esempio stanno facendo filosofi e giuristi. Dove mettere il confine tra l’umano e il modello linguistico alla ChatGPT, ad esempio. Il confine è nella tastiera, nei dati umani con cui viene addestrato, nel prompt che usiamo per interrogare l’applicativo, nella mia interpretazione della risposta della macchina?

Dove lo poniamo il confine? Se l’umano è soglia e il varco è linea, tornare a interrogarsi sulla nostra liminalità morfante, sul nostro essere soglia esitante di conoscenza, esperienza e intelligenza del mondo è uno dei compiti vitali della filosofia. 

E non solo. I giuristi si interrogano sulla categoria di persona giuridica e sulle sue trasformazioni in corso oltre l’umano (dalle corporation finanziarie alle specie bioingegnerizzate alle macchine a capacità computazionali crescenti). Una riflessione complessa e articolata che incrocia filosofia, giurisprudenza, economia e società. È un discorso che vale anche oltre il concetto di macchina. Gli indigeni dell’Amazzonia considerano “cittadino” il fiume che attraversa il villaggio e l’albero che ha in loco le radici. In occidente, la cittadinanza è riservata a ciò che storicamente chiamiamo umano. E abbiamo negato in passato intelligenza e senzienza a piante e animali in virtù di dicotomie e ontologie oramai datate. O pensiamo anche agli schiavi di un tempo: umani ma considerati alla stregua di cose. Teniamo conto, poi, che le macchine stanno sempre dentro assemblaggi umani-macchine desideranti.

Lei descrive la transizione dalla società dell’informazione a quella computazionale, in cui non ci limitiamo più a raccogliere e analizzare dati, ma viviamo in un mondo sempre più plasmato dagli algoritmi. In questo scenario, come immagina la società del futuro? Esistono modelli filosofici o visioni di filosofi che possano aiutarci a comprendere questa trasformazione?

Più che singoli filosofi metterei in evidenza alcuni programmi di ricerca filosofica (ma non solo) che cercano di interpretare il nostro tempo presente e il nostro prossimo futuro secondo i suoi principi fondativi nuovi. La rivoluzione digitale, artificiale e sintetica ci spinge necessariamente verso un pensare per e con assemblaggi ricombinanti, ora consci ora inconsci, ora centralizzati ora distribuiti, ora fisici ora virtualizzati. Umani e more-than-human. Come ci indicano, sia pure da angolature e prospettive varie, alcuni importanti programmi e approcci di ricerca contemporanei. In una mia personale e provvisoria lista: complex systems, sociomateriality studies, post-human thinking, new media literacy, more-than-human studies, actor-network e assembly theory. E certamente ne dimentico qualcuno. 

More-than-human: approccio interdisciplinare che esplora come umani, animali, macchine e ambienti naturali interagiscono e si influenzano a vicenda. Non si concentra esclusivamente sull’uomo, ma considera la complessità delle relazioni con tutto ciò che lo circonda.

Però, la cosa più importante da mettere a fuoco credo sia questa.

Con il dispiegarsi planetario dell’intelligenza artificiale, noi non affronteremo solo problemi tecnici (con vulnerabilità e rischi re- ali di discriminazioni, manipolazioni, deprivazioni, polarizzazioni, alienazioni, contraffazioni).

Piuttosto e più radicalmente noi fronteggeremo delle provocazioni intellettuali. A partire da quella primaria sulla natura dell’umano (chi siamo? o, meglio, chi diveniamo?) declinata poi in molte altre domande di senso e di scopo: può esistere una scrittura formalizzata senza l’autore come accade per i modelli linguistici su larga scala? e una fotografia realistica senza il referente come avviene per le immagini sintetiche? e un’autonomia decisionale senza l’umano come immaginata dagli agenti artificiali? 

Questi non sono solo problemi, sono provocazioni. E se ai problemi tecnici lavoreremo, nel tempo e a tentativi, per trovare una soluzione ingegneristica di qualche tipo (informatica, legale, istituzionale e così via), alle provocazioni intellettuali dovremo invece rispondere, di necessità, con l’innovazione culturale. 

Cosimo Accoto | Filosofo tech, research affiliate e fellow (MIT Boston), adjunct professor (UNIMORE), startup advisor & instructor, Cosimo Accoto è autore di un’originale e apprezzata trilogia filosofica sulla civiltà digitale: Il mondo in sintesi (2022), Il mondo ex machina (2019), Il mondo dato (2017) tradotto quest’ultimo in più lingue, di recente anche in cinese. Il suo nuovo saggio è intitolato Il Pianeta Latente. Provocazioni della tecnica, innovazioni della cultura (2024, Egea). Pubblica su diverse riviste tra cui Economia & Management (SDA Bocconi School of Management), Harvard Business Review Italia, Sistemi & Impresa, Aspenia, MIT Sloan Management Review Italia, Civiltà delle Macchine. Ha maturato nel tempo e sul campo le sue competenze professionali e manageriali prima nella data industry per media measurement e analysis e infine nella consulenza strategica di management per la trasformazione digitale di grandi imprese e corporation. Molteplici i suoi attuali interessi di ricerca: filosofia del codice e della programmazione, sensor e software society, automazione robotica e teorie dell’intelligenza artificiale, blockchain e filosofia dei criptosistemi, computazione quantistica e biologia sintetica, filosofia delle realtà estese, sintetiche e immersive. Disegna e realizza innovativi philtech lab (laboratori strategici di filosofia dell’ingegneria) per istituzioni, organizzazioni, associazioni, think tank e aziende. Ospite frequente di programmi televisivi e radiofonici nazionali dedicati all’innovazione culturale e strategica, è speaker, contributor e discussant negli eventi executive e di leadership organizzati da The European House Ambrosetti, Aspen Institute Italia, Harvard Business Review Italia, Fondazione Leonardo. Inoltre, è advisor, ambassador e instructor per diverse startup innovative tra cui Feel (gov-tech), Open Search Network (data-people), SostenabItaly (digital-green). 

 

 

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