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Quando vince il talento e l'arte è pura passione: intervista a Sara Franci, illustratrice del fenomenico "Piccolo Buio"

Torino, Giugno 2019, intervista di Silvia Sardi

Incontro Sara in occasione del Salone del Libro, ma la intervisto nel bellissimo giardino della casa in affitto a Cavoretto, al suon degli uccellini e nel verde di un prato fiorito. Sara è di Firenze e la sua storia è bellissima: ha pubblicato "Piccolo Buio" l'anno scorso, disegnandolo su iPad e diventando un caso esemplare per la Apple stessa, che la cita tramite Angela Ahrendts durante la conference di lancio worldwide.

Come e perché hai realizzato Piccolo Buio?

Appena sono diventata mamma, mi sono resa conto di aver avvertito un po' di paura. Ero spaventata – un po' un classico per tutte le neo-mamme – e avvertivo delle paure inaspettate, su vari fronti: sarò brava, farò bene a fare così, è giusto andare di qui... Ero in stato di allarme, la responsabilità su questa piccola vita mi aveva messo di fronte a delle paure che fino a un momento prima non pensavo di poter provare. Mentre la gravidanza è stata meravigliosa, la nascita di mia figlia mi ha portato un'esplosione di sentimenti molto forti, alcuni bellissimi, altri meno, come appunto questa paura-per-lei. Così è nato il progetto: assecondando questa emozione e guardandola in faccia, dandole un nome, con la volontà di affrontare la paura. È stato terapeutico e al contempo un'esigenza fortissima, che ho voluto assecondare in quell'esatto momento quale urgenza immediata: tutte le sere mi mettevo a disegnare. Il testo l'ho scritto in due giorni. Ce l'avevo dentro. È stata una cura, perché l'arte è così. È quello: nello scrivere, la paura è uscita.

Agli incontri con i bambini ovviamente non parlo in maniera diretta di questa mia paura – lo faccio piuttosto con gli adulti, con i genitori. Per me Piccolo Buio è un pretesto per dire a tutti, grandi e piccini, che le paure vanno affrontate, perché la paura è assurda. Pochi bambini oggi si aprono e si raccontano: è come se si vergognassero. Allora mi apro io, mi confido dicendo loro che io ho delle paure e così poi anche loro si aprono e ammettono – come ovvio che sia – di avere delle piccole paure. Oggi c'è un grosso preconcetto sul dichiarare la propria debolezza e questa cosa non fa bene. Una cosa che ho imparato infatti  è di non nascondere il mio lato vulnerabile. Tutti lo abbiamo e nessuno dovrebbe vergognarsene.

Come mai parli ai bambini?

Perché io con Piccolo Buio parlo alla piccola me. Quel personaggio (quel bimbo/a con il cappuccio e le orecchie) esiste da sempre, è come se fosse una parte di me. È un linguaggio immediato, facile, che arriva subito. Sono contenta che i bambini siano il mio pubblico, perché sono gli adulti di domani. E sono felice di poter immaginare che per alcuni di questi piccoli individui il mio libro resterà di riferimento nella vita. Certe esperienze di quando si è piccoli restano impresse, per cui sono molto felice e mi reputo fortunata di avere questa opportunità con loro.

Facciamo un passo indietro, come nasce la pubblicazione del libro?

Nulla! io ho comprato l'iPad apposta per disegnare, perché non avevo tempo di prendere album e colori per farlo, per cui ho iniziato a fare i miei disegni sull'iPad che per me è stato uno strumento fondamentale, senza non ce l'avrei mai fatta: mia figlia aveva 2 mesi per cui il tempo era poco e dovevo ottimizzare. Io disegno a matita, non sono una grafica, per cui andai all'Apple Store di Firenze, anche su suggerimento di Fabio, mio marito (e ci tengo dire che mi ha sempre sempre sostenuto, in ogni momento e in ogni gesto)  e di li è partito tutto. Questa tecnologia ha svoltato la mia vita, davvero: tutte le sera mi mettevo sul divano e disegnavo. Poi, una volta finite le tavole, ho stampato in maniera indipendente una ventina di copie del libro, cha al tempo era su formato rettangolare, e per un caso fortuito è finito nelle mani di Pacini (Pacini Editore). Le risposte delle case editrici erano state zero, io ci avevo provato in effetti. E pensa che quando Piccolo Buio è arrivato nelle mani della Pacini, lo staff l'ha sfogliato proprio qui durante il Salone del Libro 2018.

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Un partenza lampo, un successo inaspettato ma subito riconosciuto: come ti senti?

Sì, è stato assurdo: la Pacini a fine maggio mi ha contattato e detto che il mio libro piaceva, che avrebbero voluto pubblicarlo subito e così hanno iniziato a chiedermi un po' di modifiche, che sono riuscita a fare rispettando i tempi e lavorando durante le ferie. A Settembre 2018 siamo usciti. Giuro: è da un anno che sono in un frullatore e quando mi fermo a pensare un attimo sono ancora incredula di tutta questa storia e che sia successa proprio a me: non me l'aspettavo! Però ne sono felicissima e molto fiera, mi ha dato coraggio e ha di fatto aperto la strada da percorrere che realizza il mio sogno, tutt'oggi.

Com'è accaduto di essere citata in diretta mondiale da Apple?

Appena ho avuto il riscontro dall'editore sono tornata all'Apple a raccontare il fatto ai ragazzi dello Store, con i quali si era creato ormai un rapporto di scambio, di amicizia: per cui ho raccontato che il libro sarebbe stato pubblicato. È subito partita una mail ad Apple Italia, che ha fatto il giro e che poi è arrivata ad Apple America e – anche lì – il destino ha voluto che dopo pochi giorni ci fosse il K-note  di presentazione (incredibile!!) del nuovo iPad. Per loro la mia storia era la narrazione perfetta – e considera che io ho capito solo dopo qualche tempo quanto il fatto di avermi eletto a "testimonial" per l'iPad fosse stato eccezionale sia per me, ma anche per loro!  È successo perché ero al posto giusto al momento giusto!

Esiste una sincronicità?

Sicuramente. Io credo che tutto questo sia accaduto grazie all'arte, che mi ha concesso di esprimere me stessa con autenticità. Noi siamo una generazione che continuamente si fa mangiare dall'ansia, perché siamo portati a voler controllare cosa succederà domani, nel futuro, a discapito dell'oggi, di vivere il presente. Io invece ho capito che voglio stare bene oggi per fare ogni giorno le cose che sento di voler fare. La consapevolezza del qui ed ora è fondamentale.

Com'è cambiata la tua vita?

Da un lato non è cambiato nulla, perché continuo a lavorare e fare la mamma a tempo pieno – o almeno il più possibile, però certamente la mia vita è migliorata, si è riempita: faccio tantissimi laboratori e racconto il mio libro a molti bambini.

Quanto c'entra la pallavolo in questa storia?

Tantissimo. Per me lo sport è stato tutto fino all'altro ieri. A 13 ero in selezione provinciale, a 15 anni in serie B. E poi ho giocato fino ai 30. Ero schiacciatrice, una molla sottorete. Con la pallavolo sono cresciuta, mi ha insegnato cose fondamentali (le regole, l'affrontare le difficoltà, la sfida con se stessi) ma più dello sport in sé e per sé, sono le persone con le quali ho fatto questo percorso che hanno reso speciale la mia vita e che mi hanno portato ad essere quella che sono. Ora faccio yoga. Ho smesso per le ginocchia [ride].  

Questa visione della vita quanto è individuale e quanto è collettivo?

Io sono partita proprio da questo: anche l'Apple ne è rimasta colpita, perché fin dai primi incontri ho dichiarato che con questo libro avrei voluto più che altro lanciare un messaggio: io voglio dire a tutti che si possono affrontare le paure, vorrei dire ai bambini che le possano accogliere e capire ed avere così cura della loro emotività. È un approccio fondamentale. Noi generazionalmente siamo mamme mature, che possono occuparsi di insegnare ai bambini di non avere paura delle paure. È un atteggiamento fondamentale nella vita e lo è stato nella mia. È una risorsa utile e fondamentale per quando si diventa grandi. E poi io vorrei ritornare all'Arte, che è un veicolo di emozioni: quando si avverte un sentimento lo si può esprimere attraverso l'arte. Questo è il mio messaggio. Per me è un'esigenza, imprescindibile, che mi fa stare bene. Soprattutto ora che sono mamma, per cui lo stare bene con me stessa mi rende una donna migliore, più capace di amare, è importantissimo: a costo di dormire meno, ma almeno mi esprimo!

Ultima curiosità: come mai il libro si chiama PICCOLO Buio?

Perché una volta ho guardato un documentario sull'universo, che è un IMMENSO Buio. Così ho pensato a quanto siamo minuscoli noi essere umani, a quanto risulta piccolo lo stesso mondo, a confronto. Immagina allora quanto è piccolo il buio nella cameretta di un bambino? 

Sara sta lavorando a tanti nuovi progetti tra cui la possibilità di parlare ai ragazzi anche delle scuole medie e superiori: stay tuned e andremo a incontrarla nuovamente per farci aggiornare sulle evoluzioni!

Si ringrazia la Apple per la gentile concessione delle foto-ritratto di Sara: nello specifico la foto di copertina e quella in cui la si vede operativa con l'iPad sul divano.

 

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