L'unicità del "padellino". Intervista a Imma Ferraro

L'unicità del "padellino". Intervista a Imma Ferraro

Intervista di Marina Maffei, luglio 2019

Se in tv e nelle cucine dei grandi ristoranti parrebbero spopolare solo chef uomini, nella realtà le donne non mancano ed eccellono. Tra queste c'è Imma Ferraro, che si definisce una creativa in cucina ed anche, con ironia, una “bruciapadelle”.

Napoletana verace e torinese acquisita, Imma, archiviate le precedenti esperienze lavorative, ha dedicato gli ultimi mesi ad un progetto particolare: il PAD, in corso Vittorio Emanuele II 32 a Torino, per la valorizzazione della pizza al padellino.

In questa intervista ci racconta del suo percorso formativo e della sua passione per la ricerca e la sperimentazione in cucina.

Imma, partiamo dall'inizio. Come ti sei appassionata alla cucina?

A 14 anni facevo il liceo classico e mi sono avvicinata al mondo del cioccolato. Ho provato a realizzare delle uova di Pasqua e al primo colpo, la fortuna del dilettante, mi sono uscite perfette. Quel piccolo successo mi ha spronato ad approfondire la tecnica e da lì ho avviato un business di uova personalizzate per i miei compagni di scuola che è durato due o tre anni. Ricordo che un mese prima di Pasqua la bidella cominciava a raccogliere le ordinazioni, dopodiché mi mettevo al lavoro e producevo uova per giorni. 

Sei figlia d'arte?

No, però è grazie alla mia famiglia se è nata questa passione. Mio padre, che era originario di Capri (mio nonno ne fu sindaco e farmacista) ed era un medico, mi ha trasmesso la curiosità e la cultura gastronomica. Era un grande amante del cibo. Ricordo quando decideva di festeggiare una qualche ricorrenza e imbandiva tavolate con formaggi di tutta Italia lasciando gli ospiti sbalorditi. Penso a lui quando sono in cucina, dove ordine e pulizia devono regnare come in una sala operatoria.

Dalla mamma e dalla sua famiglia ho appreso le tecniche. A casa nostra si cucinava tanto e mia madre ha anche gestito a lungo un catering a cui io stessa ho collaborato da ragazzina. 

Come ti sei formata?

Da autodidatta. A 18 anni mi sono staccata da mia mamma e mi sono specializzata in feste per bambini. Partivo da una idea – un paesaggio incantato con la neve, ad esempio – e curavo tutti gli allestimenti fino al cibo, coinvolgendo anche artisti che rendessero l'esperienza per i bimbi unica. Era un po' il mio modo per assecondare l'estro artistico che mi ha sempre accompagnato. A Napoli questa formula è piaciuta subito e sono diventata richiestissima. 

Poi, poco più che ventenne, ho avuto i miei due figli (uno dei quali, oggi, a diciassette anni segue le mio orme in cucina). La gavetta vera, nei ristoranti, l'ho quindi cominciata tardi, ma ho avuto da subito modo di partecipare a progetti interessanti.

Nel bel mezzo di questa fase ti arriva anche una chiamata importante: quella della Rai.

Era il 2013 e mi hanno contattato per un provino per La terra dei cuochi, programma televisivo che andò in onda in prima serata su Rai 1, condotto da Antonella Clerici. Si trattava di una sfida culinaria tra appassionati di cucina ed è lì che ho conosciuto lo chef pluristellato Davide Scabin, unico giudice professionista del programma a giudicare i piatti dei concorrenti.

Non hai vinto la sfida ma forse hai ottenuto il premio migliore: una chiamata da Scabin nel suo ristorante.

Quando Davide, nel bel mezzo della puntata, mi ha detto che mi offriva uno stage con lui, ho pensato fosse uno scherzo. Invece, mesi dopo mi ha contattato e io l'ho raggiunto in Piemonte. Era rimasto molto colpito dai miei babà e voleva inserirli nel menù della trattoria BluPum di Ivrea.

Da lì è nato tutto: a Torino mi sono sentita subito a casa e, nonostante all'inizio pensassi di tornare a Napoli, alla fine ho portato qui i miei figli e ho affrontato i progetti che sono scaturiti nel frattempo.

Fino al PAD oggi. Come nasce l'idea di questo locale?

Nasce dalla consapevolezza dell'unicità del padellino, un tipo di pizza soffice e dai bordi croccanti cotto nella teglia tonda, che per me che sono napoletana è stata una scoperta. Di origini toscane, il padellino a Torino è una istituzione, ma è conosciuto prevalentemente qui. Per forma, dimensione e consistenza lo trovo un piatto elegante e per questo mi sono detta che era giusto farlo conoscere in tutta Italia. A dare visione imprenditoriale a questo progetto sono stati Nicola Fanelli e Luca Manti, che hanno pensato al PAD come un vero e proprio format che aprirà anche in altre città, non solo italiane. Al PAD la pizza al padellino (come la farinata) può essere consumata sul posto o street food, grazie ai tre diversi formati da 22 centimetri, da 40 per condividerla e mini da 14 nella versione da passeggio. 

Per loro io ho studiato l'impasto, realizzato con una miscela di farine del Molino Fruttero di Fossano che è stata brevettata e si chiama Malafemmina, in omaggio alle mie origini, e ho poi curato la formazione per i ragazzi che lavorano al locale.

Tra i progetti per il futuro, resta l'obiettivo di arrivare a inserire la pizza al padellino in un menù da un ristorante: penso che occorra superare la stereotipo che vede la pizza, soprattutto se è un padellino e quindi piccolo, come alternativa ai piatti  tradizionali. 


Il miglior complimento ricevuto quando sei in cucina?

Quando mi dicono che da un mio piatto è scaturito un ricordo.

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