Intervista di Marina Maffei, Torino, maggio 2019
Il New York Times l'ha definita “brillante, ricca di sensibilità, immaginazione, con grandi risorse tecniche e fluidità espressiva… una personalità sorprendente… una pianista da vedere”, e sorprendente, in effetti, Martina Filjak lo è davvero.
Nata a Zagabria (ma la mamma ha origini italiane), berlinese d'adozione, Martina parla fluentemente sette lingue e fa parte di quella schiera di solisti che si contendono i palcoscenici più prestigiosi in tutto il mondo. Dopo aver vinto giovanissima il primo premio ai Concorsi Maria Canals di Barcellona e Viotti di Vercelli, si è imposta all’attenzione del mondo musicale internazionale ottenendo il primo premio e la medaglia d’oro al Concorso internazionale di Cleveland nel 2009.
La intervistiamo in una pausa dalle una delle innumerevoli tournée.
Martina, quando e come nasce la tua passione per la musica?
Entrambi i miei genitori sono pianisti. Sono cresciuta giocando intorno al pianoforte, spesso accucciandomi sotto mentre i miei suonavano: era una piccola postazione privilegiata, potevo giocare e al contempo sentivo la musica vibrare intorno a me ed ascoltare quello che loro suonavano. È stato quindi naturale per me orientarmi allo studio della musica, che è diventata da subito una passione fortissima.
Hai capito da subito che il pianoforte era lo strumento che ti avrebbe permesso di esprimerti meglio?
Ho capito molto in fretta che senza musica non sarei riuscita a vivere, ma al pianoforte – strano a raccontarsi – non sono arrivata subito. Vista la mia infanzia, questo strumento sarebbe stata la scelta logica, ma la mia passione quando ero bimba era il suono del violoncello. Anche oggi, quando suono il pianoforte, uso la mano sinistra in una maniera un po' diversa, perché ho fatto mia la costante ricerca del suono di velluto del violoncello ma anche la polifonia, il contrappunto.
Poi, quando sono arrivata ai 15/16 anni, ho capito che nel pianoforte c'è un mondo tutto diverso, il mondo dell'orchestra. Ed è così che è scoccato un nuovo amore, una specie di “secondo innamoramento” verso questo strumento prezioso.
Quando hai capito che la tua carriera stava prendendo il volo?
Forse, due momenti importanti. Uno è sicuramente il concorso di Cleveland. Lì mi era diventato chiaro che sì, avrei suonato dei concerti e avrei avuto successo, almeno per un certo tempo. Da Cleveland sono passati 10 anni e sono ancora presente. Ed a questo ricollego il secondo e più recente momento fondamentale per la mia carriera, o meglio per la mia crescita personale come donna e come artista: ho infatti preso consapevolezza di ciò che ho ottenuto lavorando duramente in questi anni, così ho deciso di rilassarmi e di affrontare il futuro in maniera diversa, più consapevole.
La carriera è stabile e davanti a me ho varie possibilità per esprimermi nella maniera più autentica possibile, senza la lotta o la paura di 10 anni fa. È la semplice gioia di essere.
Quali sono i tuoi progetti musicali nel futuro prossimo?
Alcuni ritorni - per esempio, al bellissimo Palau de la Musica Catalana in Barcelona per un recital, al festival di Dubrovnik, a Bogotà, in Colombia, sempre per un recital. Poi, farò il mio debutto al Teatro Colon di Buenos Aires insieme all'Orchestra Filarmonica del Teatro Colon: porteremo il secondo concerto di Saint Saens. Invece, al Festival Enescu di Bucarest, porterò con me un pezzo di musica classica contemporanea italiana, con il brano “R”, composto da Nicola Campogrande, direttore artistico del noto festival MiTo Settembre Musica.
Chi è che ti ha influenzato maggiormente dal punto di vista artistico?
Un'ottima domanda, una risposta molto difficile. Sono una persona con interessi molto vari, perciò mi hanno influenzato artisti tra loro molto diversi, ma anche certi momenti dei concerti, delle opere, della natura.
Il mio idolo pianistico assoluto è comunque Svjatoslav Richter, per la sua forza interna, la sua versatilità, la sua magia ed un perfetto allineamento fra testa, cuore ed anima.
Mi ha colpito il fatto che sei una artista cosmopolita, per radici e vocazione. Pensi che questo ti abbia dato una marcia in più dal punto di vista professionale?
Sicuramente, la facilità con cui mi posso muovere in tante parti del mondo rendono la mia vita professionale più semplice. E sicuramente questo mi ha dato sicurezza ed una marcia in più.
Senti Berlino come la tua città d'elezione o c'è un posto che senti più tuo?
Berlino è stata il mio sogno assoluto per un lungo tempo, una città che per me - a questo punto della mia vita - offre un melange perfetto di società cosmopolita e cultura. E poi è facile partire e tornarvi. Tuttavia, sono convinta che non bisogna legarsi troppo alle idee oppure ai posti. La vita cambia, tutto è in costante mutamento, per questo non bisogna mai prendersi troppo sul serio.
Riesci a conciliare vita privata e carriera?
Attualmente, mi sono organizzata per avere 40/ 45 concerti all'anno, che mi consentono di avere un buon equilibrio tra lavoro e vita privata.
Come vivi il tuo ruolo di solista rispetto all'orchestra? E soprattutto, ti è mai successo, magari quando eri più giovane, di non esserti sentita presa abbastanza in considerazione per il fatto di essere appunto una ragazza?
Sì ....forse. Ma secondo la mia filosofia il mondo ci risponde in un modo che riflette il nostro personale livello di fiducia in noi stessi. Per questo, quando ho cominciato ad essere abbastanza affermata e la fiducia nelle mie capacità ed opportunità è cresciuta di pari passo, non ho mai avuto un problema con i miei colleghi. So che la lotta delle donne non è al 100% finita, ma vivendo nella società post femminista credo che - grazie alle migliaia di donne che hanno lottato per questo nostro privilegio – dobbiamo lavorare su noi stesse per liberarci di tutti i pensieri che vanno nella direzione “devo assolutamente affermarmi perché sono una donna”. Il mio motto personale anzi è diventato: “Posso fare tutto quello che voglio. Ma non devo fare nulla”. Potere e non dovere: penso infatti che sia la libertà delle scelte personali il regalo più prezioso che possiamo farci.
E che ci dici del rapporto con il pubblico?
Il pubblico è per me un artista invisibile, sempre presente, che risponde con il suo corpo (in senso acustico) e con la sua energia, la sua concentrazione, a ciò che accade durante un concerto. Parte integrante della magia che si crea durante un concerto.
Marina Maffei