“Te piace, o’ presepe?”. Quando fare tradizione significa innovare.

“Te piace, o’ presepe?”. Quando fare tradizione significa innovare.

Intervista di Gioconda Fappiano

A Napoli “La Scarabattola”, bottega d’arte nata nella seconda metà degli anni Novanta dal lavoro e dalle idee dei fratelli Salvatore, Emanuele e Raffaele Scuotto, rappresenta un’eccellenza nel campo dell’arte presepiale, ma non solo, muovendosi tra gli aspetti folcloristici della cultura partenopea e l’esigenza di scardinarne i luoghi comuni. Ne parliamo con Raffaele Scuotto.
Cominciamo dal nome “La Scarabattola”, un mobile - vetrina che contiene e protegge un presepe, una scelta questa del nome nel segno della tradizione che la vostra bottega artigianale continua però ad innovare.

Come fate a ricercare il nuovo in ciò che è antico? 

Ciò che è antico nasce da intuizioni straordinariamente contemporanee nel proprio tempo. La tradizione è stata sempre alimentata dalla sua capacità di rinnovarsi quindi il presepe nel Settecento napoletano è stato qualcosa di magnifico per la grandissima genialità e la modernità espressa. 

Se noi dovessimo continuare a fare solo quello che è stato già fatto, cimentandoci in un manierismo di ripetizione, non faremmo realmente tradizione.

Solo proseguendo nel raccontare un percorso umano nelle sue sfaccettature più moderne continueremo a muoverci su un percorso storico-tradizionale nel vero senso della parola, essendo così moderni quanto lo sono stati gli artisti del passato. 

Qualche anno fa avete fatto arrabbiare l’ex ministro dell’interno Salvini per una scultura che lo ritrae in versione giustiziere di immigrati. Fecero scalpore anche una vostra statuetta che rappresentava una giovane donna nuda intenta a lavarsi, oltre alle figure dei femminielli nei vicoli o dei guappi armati. A differenza di altre botteghe voi non producete statuette di personaggi famosi che invece spopolano sulle bancarelle di San Gregorio Armeno. Ci può dire quali sono le ragioni di questa scelta?

Secondo il nostro punto di vista è più corretto parlare di simboli. Il soggetto inteso come rappresentazione di un fenomeno complessivo è quello che c’interessa. 

Se invece di rappresentare i femminielli, ad esempio, avessimo rappresentato Vladimir Luxuria, noi avremmo creato una prigione concettuale intorno ad un personaggio senza liberarne i valori universali. La donna che era intenta a lavarsi nell’intimità della sua casa fu vista come una profanazione del presepe. 

Il paradosso è che la donna ritratta nella sua intimità fu additata come peccatrice, ma non l’occhio che spiava quell’intimità e che additava il peccato là dove non c’era.

 La nostra in realtà fu una provocazione che oggi si riesce meglio a comprendere data la popolarità di certe trasmissioni televisive tipo il Grande Fratello o di certi social network in cui si è pronti a spiare per cercare un colpevole, individuare il peccato pur di nascondere il proprio.

Se c’era qualcosa di peccaminoso in quel presepe allestito nel 2005 quello era da scovare proprio nello sguardo spione, nel prurito voyeuristico pronto a proiettare il proprio peccato sugli altri.

Chi acquista un pastore acquista una storia. Dove trovate l’ispirazione per creare i vostri personaggi?

 Due sono le categorie che possono realizzare i presepi. Una è quella degli autori che hanno un’intuizione legata al proprio essere anche artisti e alla conoscenza a tutto tondo del mondo dell’arte che li ispira, oltre chiaramente all’esperienza artigianale. Io, Raffaele Scuotto per La Scarabattola mi occupo principalmente di gestione e management mentre i miei fratelli, Salvatore ed Emanuele, sono due firme, due scultori che si interrogano su tutti i linguaggi dell’arte. Questo permette loro di avere delle intuizioni che possono essere utilizzate per il presepe. Inoltre c’è un continuo interrogarsi su quello che può essere il presepe oggi, su quello che è stato per il Settecento e su quello che non poteva essere. In una mostra dal titolo “Il mondo sospeso” ci siamo interrogati sulle presenze e le assenze del presepe napoletano, sui suoi vuoti, su quello che c’era e che non poteva esserci, sulle sue possibili contaminazioni con la contemporaneità. Ad esempio parlare oggi di omosessualità è un fatto del tutto normale, ma nel passato gli autori non potevano arrivare alla rappresentazione e allo sdoganamento della diversità nell’arte presepiale.

L’ambizione della nostra bottega è stata sempre quella di creare un solco nuovo, uno spazio dove poter intervenire liberamente con la nostra poetica dell’argilla in quanto ci confrontiamo con una strada, quella di San Gregorio Armeno, che è ricca di artigiani che operano nel settore da diverse generazioni , un mondo ben collaudato da tanto tempo.

Più che metterci in concorrenza con questa realtà abbiamo cercato di intervenire con il nostro pensiero e la nostra sensibilità introducendo talvolta elementi di rottura con una continuità troppo spesso oleografica e poco innovativa.

La vostra bottega ha realizzato statue presepiali per la Casa Reale di Madrid, per il presepe di Terra Santa in Gerusalemme e per il presepe della Misericordia di New York. Possiamo dire che siete in qualche modo gli ambasciatori nel mondo dell’arte presepiale napoletana?

Molti ci vedono fra questi ma noi non sapremmo darci un titolo. Siamo impegnati nel fare bene il nostro lavoro e con molto orgoglio possiamo dire che la scelta da parte dei committenti da lei citati è venuta da concorsi cui abbiamo partecipato e siamo stati giudicati da commissioni scientifiche che ci hanno apprezzato fino in fondo, hanno premiato la fusione tra l’Arte e l’Artigianato, tra il pensiero e il fare espressa dalla nostra bottega. Noi non siamo i più bravi, siamo forse tra i più bravi, ma soprattutto siamo quelli che esplorano nuove possibilità, fanno ricerca alternativa. In questo momento ad esempio, stiamo lavorando con Antonio Aricò, uno dei designer più apprezzati a livello internazionale- che lavora per l’Alessi, per il Mulino Bianco, tanto per citare qualcuna delle aziende con cui collabora- muovendoci in un ambito molto diverso da quello del presepe. Ci siamo incontrati e abbiamo sviluppato un prototipo di angelo per il quale utilizzeremo delle contaminazioni cromatiche del design moderno. Questo prototipo, che dovrà uscire a breve, e la successiva produzione di angeli da design, rappresenta per noi un’ulteriore opportunità di lavoro non strettamente legata al periodo natalizio e su cui lavorare in altri momenti dell’anno, dando ossigeno al nostro settore. Chiaramente dobbiamo attendere il nuovo anno visto che la filiera attualmente è ferma a causa della pandemia.

A proposito di pandemia, quali sono stati i contraccolpi economici determinati da questa situazione eccezionale?

Nessuno può dirsi esente dai contraccolpi determinati dalla pandemia da Covid però devo dire che ci siamo celermente organizzati sfruttando i canali dell’e-commerce e possiamo ritenerci abbastanza soddisfatti. Devo dire che la nostra reputazione ci ha salvato in quanto ci hanno contattato comunque da diverse parti del mondo. Riguardo alle vendite legate alla stagione natalizia non dico che le abbiamo salvate del tutto, ma ci siamo difesi molto bene. Quello che ci ha pesato maggiormente dal punto di vista economico-aziendale sono stati i due mesi e mezzo di blocco totale che hanno visto i nostri laboratori fermi e quindi si è fermata la produzione.

La vostra bottega non crea solo pastori ma produce oggetti diversi legati alla storia di Napoli senza mai scadere nel folclore fine a se stesso o nell’oleografia. 

In quello che creiamo siamo sempre molto attenti a non cadere nello stereotipo, anche nella rappresentazione dei personaggi simbolo della città. Ultimamente ad esempio abbia creato un “Pulcibastiano”, cioè un Pulcinella trafitto da dolori antichi e nuovi, un Pulcinella vittima delle scaramanzie che cerca di divincolarsi fisicamente dal corno, simbolo della fortuna. A volte siamo talmente ancorati alla superstizione che facciamo delle scelte folli pur di perseverare su questa strada battuta o addirittura per questo rischiamo di bloccarci nel fare altre cose.

E’ vero che è difficile dimenticare l’impianto esoterico della nostra città e neanche dobbiamo ignorarlo o trattarlo con spocchia, ma dobbiamo sforzarci anche di non esserne prigionieri.

Ad esempio nella realizzazione del Pulcinella che esce dall’uovo di Virgilio, abbiamo voluto tirare questo oggetto fuori dal luogo in cui questo è nascosto perché potesse essere conosciuto, perché questo contenitore di valori non diventasse testimonianza pietrificata nella leggenda e quindi sterile. Con coraggio invece abbiamo deciso di rompere il guscio di quest’uovo per tirarne fuori il pulcino- Pulcinella per l’appunto- affinché i valori di rinascita che esso rappresenta vengano esercitati.

La Scarabattola ha collaborato anche con il Rione Sanità, un quartiere difficile che è risorto grazie a delle iniziative pregevoli, apportando un contributo significativo. Non a caso avete resuscitato il personaggio di Peppeniello, un paggetto del quartiere che fa bella mostra in un presepe grazie alla vostra arte.

Nel 2018 abbiamo focalizzato l’attenzione sul Rione Sanità inserendolo in un presepe e realizzando la statuina di un paggetto nano spuntato fuori da un affresco restaurato nella chiesa principale del Rione collocandolo nella scena della Natività. Il quartiere ha poi simpaticamente chiamato Peppeniello questo paggetto. I miei fratelli Salvatore e Emanuele hanno anche speso energie e tempo per organizzare una mostra nelle catacombe di San Gennaro per dare una mano a questo quartiere. Parliamo del 2014 con l’evento “Paleocontemporanea”. Nel nostro piccolo diamo il nostro contributo nel sociale quando e come possiamo. 

Secondo voi per il rilancio turistico di Napoli che tipo di azioni servirebbero?

In primo luogo sarebbe necessario non confondere il folklore con il malcostume, capire la differenza che passa tra i comportamenti folcloristici legati alla tradizione territoriale, allo spirito allegro che ci distingue come napoletani, e i comportamenti sregolati e contrari alla legge. Napoli non deve essere etichettata come una città non abituata a rispettare le regole. Inoltre le regole non tolgono nulla alla nostra creatività, al nostro essere artisti in diversi campi e la fama ottenuta nel mondo da tanti napoletani non può essere offuscata e mortificata da comportamenti sguaiati che nulla hanno a che vedere con la napoletanità. Anche per quanto riguarda l’occupazione degli spazi pubblici e la tutela degli arredi urbani andrebbe fatto un discorso di attenzione e di tutela che gioverebbe a tutti. Inoltre a fronte del grosso proliferare di strutture ricettive e ristorative come bar, ristoranti, bed and breakfast, quasi nulla viene fatto per creare degli spazi protetti per le attività artigianali e artistiche, per la creazione di un Brand Napoli che richiederebbe il concorso di idee anche da parte di soggetti culturali qualificati come l’Accademia di Belle Arti o le Università. Il lavoro da fare è molto complesso, richiede coraggio ed impegno delle istituzioni, del Comune, della Regione, che certo farebbero meglio se lavorassero in sinergia per una città complessa come la nostra piuttosto che litigare, mostrando in tal modo più senso istituzionale. Inoltre purtroppo a Napoli vediamo una borghesia arroccata nei suoi palazzi e una governance cittadina molto spesso improvvisata.  Il che certo non giova a nessuno. 

Se si potesse trovare una parola che racchiuda un seme di speranza per la città di Napoli quale sarebbe?

Più che una parola dovremmo ricordare un antico detto napoletano che recita “O’ napulitan s’fa sicc ma nun more!, cioè i napoletani hanno trovato sempre il modo di superare scogli importanti con la loro inventiva, guardando le cose da un punto di vista nuovo, continuando a lavorare e a darci dentro e, anche quando la situazione è buia, vedendo sempre il bicchiere mezzo pieno. Siamo un popolo da sempre capace di resilienza.

Photo: www.lascarabattola.it





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