Peppe Barra: "Vorrei una Procida ridente, bella, umile e vestita della sua semplicità".

Peppe Barra: "Vorrei una Procida ridente, bella, umile e vestita della sua semplicità".

Intervista di Gioconda Fappiano

Artista colto e raffinato, personaggio di rilievo della cultura del Novecento oltre che uno protagonisti più eclettici del recupero della tradizione popolare musicale e teatrale. Stiamo parlando di Peppe Barra, cantante e attore teatrale italiano sempre attento a contaminare i generi in quello che è un repertorio costituito da testi classici, filastrocche popolari, poesie, barcarole procidane e tammurriate. In questa intervista ci racconta la sua Procida e le aspettative per il futuro dell'isola.

Maestro, la prima domanda che vorrei farle riguarda Procida, capitale della cultura italiana per il 2022. “La cultura non isola” è stato uno slogan vincente. Sua madre era di Procida e lei è stato uno dei testimonial della  campagna di candidatura della più piccola delle isole del Golfo di Napoli.  Come immagina si presenterà Procida agli occhi del mondo per questo evento e cosa vorrebbe non venisse mai stravolto nell’identità dell’isola?

Vorrei che Procida si presentasse come un’isola ridente, bella, umile, vestita della sua semplicità, con i suoi luoghi bellissimi che mi riportano all’infanzia, luoghi in cui poter passeggiare con tranquillità senza i rumori assordanti delle auto.  Non vorrei Procida venisse invasa da un turismo aggressivo, commerciale, poco composto. Per la capitale della cultura del 2022 preferirei un turismo elegante, selezionato, rispettoso dell’ambiente, un turismo lento e disciplinato.

Procida sarà occasione di rinascita e ripartenza per tutta la Campania. I 44 progetti culturali e i 330 giorni di programmazione, come annunciato dai promotori, costituiranno una sorta di “laboratorio di felicità sociale”. Sarà presente anche lei con uno dei suoi spettacoli? 

Mi auguro di sì, di poter essere presente come artista nella mia isola. Sicuramente sarò a Procida per il “Premio Concetta Barra”, premio dedicato a mia madre e promosso dall’Università Federico II di Napoli, che si tiene già ogni anno nell’isola e del quale sono direttore artistico oltre che membro del comitato scientifico.  Senz’altro questa manifestazione nel 2022 verrà ulteriormente curata e conosciuta da un pubblico più vasto. 

Il “Premio Concetta Barra”, che lei ha appena menzionato, è nato dal desiderio di onorare sua madre che è stata una grandissima artista, ambasciatrice di una tradizione popolare che ha saputo rivisitare e interpretare in maniera unica e irripetibile. Eppure ad oggi sembra mancare la dovuta attenzione al patrimonio etnico-popolare campano e alla lingua napoletana. Lei cosa ne pensa? 

C’è molta negligenza nel campo culturale e soprattutto in Campania non si è ancora riusciti a realizzare uno spazio, un museo che raccolga i reperti, le testimonianze della nostra tradizione popolare, oltre che tutto il materiale audiovisivo che fa parte della nostra cultura, come invece è stato fatto altrove, ad esempio a Roma e a Venezia. Così si rischia di disperdere un patrimonio storico bellissimo ed importante, frutto della continuità e della ricerca attenta di molti artisti e studiosi. Penso ad esempio al lavoro fatto in campo letterario e musicale da Roberto De Simone e dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare, lo studio sulla cultura e la lingua napoletana di Annibale Rucello, solo per citarne alcuni. La lingua napoletana ha una musicalità elegante, tale da essere amata, protetta e tutelata, anche insegnata nelle scuole.  

Napoli, come il Vesuvio, è una città che ribolle di energia positiva e di una grandissima cultura che ha sempre però vissuto nella precarietà e nell’emergenza, soprattutto con l’attuale pandemia che ha penalizzato molto il mondo dello spettacolo e del teatro in particolare. Sono state comunque tentate forme di resistenza, penso ad esempio all’esperienza del “teatro delivery” e alla produzione di spettacoli trasmessi online. Qual è il suo rapporto con le tecnologie digitali? Possono, secondo lei, trasmettere anch’esse quelle esperienze sensoriali vissute nel luogo fisico del teatro?

Le piattaforme digitali, per quanto utili e suppletive degli spettacoli dal vivo, soprattutto nel periodo che stiamo vivendo, non hanno la stessa capacità di comunicazione del teatro. Mancano dell’emozione, del respiro, del calore, della corrispondenza con il pubblico, del dialogo, dell’applauso. Sono fredde, gelide, perché mancano del contatto fisico, delle sfaccettature umane di cui il teatro si nutre e che restituisce con partecipazione emotiva. Anche io quest’anno  ho realizzato uno spettacolo dal titolo Canti di Natale nell’ambito del Programma di eventi culturali per il Natale 2020 realizzato online dalla Regione Campania
su Ecosistema Digitale per la Cultura. Mancava però l’anima e l’energia trasmessa dal pubblico. Una mancanza questa che nessuno strumento digitale può colmare.

Napoli in passato è stata vista come “città della poesia”. Si può usare ancora oggi questa definizione?

Io credo di sì perché credo molto nei giovani, nella loro sensibilità poetica, nel loro desiderio di fare, affamati di potersi esprimere attraverso la nostra cultura. L’importante però è che queste energie non vadano disperse e soprattutto che si investa nel campo culturale. In passato si diceva che con la cultura non si mangia. Oggi penso che questo sia ampiamente smentito. Investire nella cultura significa investire nel futuro e nella speranza.

Qual è la narrazione e la rappresentazione che lei non ama della napoletanità e del Sud dell’Italia?

Non amo gli stereotipi così come non amo i complimenti gratuiti nei discorsi che si fanno su Napoli, e in questi giorni anche su Procida che sarà città italiana della cultura. Noi conosciamo bene le nostre realtà, le luci e le ombre. Io ho conosciuto la Procida degli anni cinquanta, con pochissimi alberghi, un luogo poco raggiunto dal turismo, una Procida culturale e discreta nel mostrarsi, ricca di suggestione e di fascino. Vorrei che fosse proprio questa l’immagine dell’isola che venisse fuori, quella che io amo, evocativa di una bellezza ricca di valori autentici. 

Maestro, lei ha lavorato con artisti di fama mondiale: Eduardo, Zeffirelli, Rota, De Simone, Özpetek solo per citarne alcuni. C’è attualmente un artista con cui le piacerebbe lavorare?

Ho una bella età e ho lavorato molto. Con questo non voglio dire di non avere ancora progetti. Quando Özpetek mi ha chiamato per la sua “Napoli velata” ho accettato con piacere il suo invito ma la mia vita è essenzialmente il teatro. Il cinema è lontano da me e non ho avuto neanche il tempo di cercarlo. Il teatro è da sempre la mia passione e la mia dimensione. 

Secondo lei, la bellezza salverà il mondo?

Più che la bellezza penso sia l’amore che salverà il mondo.

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